Con riferimento alle Encicliche Papali sul Creato e l'Ambiente
Il Movimento Azzurro segnala sue iniziative
Giornata Mondiale del Creato
di Rocco Chiriaco
Per l'appuntamento con la Giornata mondiale del Creato, ormai da dieci anni consolidato per gli ambientalisti cattolici, il primo all’indomani della pubblicazione della lettera Enciclica Laudato sì, il motivo d’essere del Movimento Azzurro, sancito nel 1992 dal Congresso nazionale che ha dato vita alla Associazione dopo una lunga riflessione iniziata già nel triennio precedente attraverso una accurata elaborazione delle tesi proprie del Cattolicesimo democratico e del popolarismo, cui ci ispirammo, si rafforza e trova ancora maggiore ragione e scopo per proseguire nell’attualità del proprio impegno.
I delegati all’Assemblea costituente, guidata da Gianfranco Merli, approvando il corposo documento “Etica e Ambiente” hanno concretizzato l’obiettivo di giungere alla creazione di un soggetto politico, democratico ed indipendente nello scenario ambientalista che si materializzava, sempre più consistente, in quel periodo storico e per questo nei lunghi anni di esistenza in vita il Movimento Azzurro ha trovato conforto nel pensiero cristiano che si è evoluto attraverso numerose esortazioni degli ultimi tre Pontefici della Chiesa cattolica, miranti ad attualizzare la questione ambientale ai nuovi scenari socio economici, alle nuove e più forti emergenze globali ambientali ed antropiche e ad una maggiore sensibilità ecologica e sociale sviluppatasi nei Paesi cosiddetti avanzati.
Oltre ai frequenti richiami rivolti all’intera umanità, tesi ad educare ad un maggior rispetto del Creato e ad una saggia amministrazione dei beni comuni che lo stesso ci dona, i Pontefici Romani dei nostri giorni hanno tracciato la linea ambientalista per i propri cristiani attraverso specifiche lettere encicliche, a partire dalla “Centesimus annus” pubblicata nel 1991 dal Santo Papa Giovanni Paolo II “Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui. Si avverte in ciò, prima di tutto, una povertà o meschinità dello sguardo dell’uomo, animato di possedere le cose anziché di riferirle alla verità, e privo di quell’atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l’essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create. Al riguardo, l’umanità di oggi deve essere conscia dei suoi doveri e compiti verso le generazioni future”.
Parte da questo messaggio ambientalista “al mondo” che, per la sua natura, possiamo definire “ordinatorio” per i cattolici, il rinnovato impegno degli ambientalisti di ispirazione cristiana anche in Italia.
Nello stesso anno Gianfranco Merli dava vita al Movimento Azzurro, fondando l’impegno degli ambientalisti cattolici, che vi aderivano, sul Manifesto “Ecologia Etica Economia”, il quale costituisce ancora oggi la chiave di volta di tutto il pensiero ambientalista e delle azioni del Movimento Azzurro sviluppatesi in quest’ultimo quarto di secolo.
Il Papa, Santo Carol Wojtyla, con la centesimus annus ha ripreso con forza i temi della responsabilità dell’uomo verso l’ambiente: “Del pari preoccupante, accanto al problema del consumismo e con esso strettamente connessa, è la questione ecologica”. Numerosissimi sono stati i suoi interventi sulla materia negli anni, ne ricordiamo uno per tutti a cui il Movimento Azzurro ha preso parte, la “Giornata della Terra” durante il Giubileo del 2000.
Durante il Pontificato di Giovanni Paolo II, inoltre, è stato pubblicato il Testo della Dottrina sociale della Chiesa cattolica il quale dedica un intero capitolo alla salvaguardia dell’Ambiente. Anche questa fase, per certi versi rivoluzionaria rispetto al nostro impegno, ci ha visti protagonisti nella testimonianza e nella divulgazione del “nuovo” modus operandi degli ambientalisti cattolici.
Successivamente il Santo Padre Benedetto XVI, ha addirittura rafforzato l’attenzione verso i temi ambientali, con continui interventi e l’impegno è culminato nella enciclica “Caritas in veritate” nella quale dedica uno dei quattro capisaldi del rinnovato umanesimo alla questione ambientale, centrale insieme a quelle economica ed antropologica.
La percezione della sfida e l’esigenza di un nuovo pensiero (non solo economico-sociale) in grado di dire al meglio la novità dei fatti che sono sotto gli occhi di tutti e che proprio la recente crisi finanziaria ha ancor più aggravato, spinge a riconsiderare luoghi comuni e pregiudizi inveterati per addentrarci dentro una interpretazione originale del fatto umano della globalizzazione. Guidano la riflessione della Caritas in veritate due presupposti, da cui scaturisce una prospettiva di grande respiro per la vita della società e della Chiesa.
I due presupposti di fondo sono da un lato la convinzione che lo sviluppo non è solo una questione quantitativa, ma risponde piuttosto ad una vocazione e dall’altra il fatto che la giustizia, pure necessaria, non è autosufficiente perché esige la carità, così come la ragione ha bisogno della fede.
La prospettiva che emerge è dunque “una visione articolata dello sviluppo”, che porta a ritenere come la questione sociale sia oggi inscindibilmente legata alla questione antropologica.
1. Lo sviluppo è una vocazione
Affermare che “il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità: l’uomo infatti è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale” significa sottrarre ad un cieco determinismo la lettura della globalizzazione e ribadire che anche questo complesso fenomeno è legato alla variabile umana.
2. Lo sviluppo richiede la carità oltre la giustizia
Si tratta di un impegno che non può essere svolto dalle sole scienze sociali, in quanto richiede l’apporto di saperi capaci di cogliere in maniera illuminata la dignità trascendente dell’uomo”.
In tal modo il Papa si fa carico, ancora una volta, di restituire dignità alla domanda su Dio e di riaprire all’interno del dibattito pubblico la questione della fede, che è chiamata a purificare la ragione, così come la carità orienta e finalizza la giustizia, se il mondo non vuole soccombere alle sue logiche disumanizzanti.
3. Lo sviluppo sociale è la questione antropologica
Il punto di approdo di quanto detto sul rapporto tra giustizia e carità e la prospettiva più originale del testo pontificio è ricondurre la questione sociale alla questione antropologica, marcando la necessaria correlazione che esiste tra queste due dimensioni che stanno o cadono insieme.
4. La questione ambientale: la priorità dell’ecologia umana L’attualità della questione ambientale ha molto colpito la pubblica opinione e può rappresentare una sorta di controprova sperimentale della validità della lettura dello “sviluppo integrale”, che Benedetto XVI propone a tutti gli uomini di buona volontà, sulla scia della grande intuizione della Populorum progressio di Paolo VI. La trattazione del tema dell’ambiente, cui è espressamente dedicato una parte significativa del capitolo IV dell’enciclica, rileva una ricorrente preoccupazione nel magistero del Pontefice il quale scrive: ”La Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di se stesso. E’ necessario che ci sia qualcosa come un’ecologia dell’uomo, intesa in senso giusto. Il degrado della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana: quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio.
Attraverso questo percorso ed in perfetta evoluzione sinergica, giunge a noi l’Enciclica di Papa Francesco “Laudato sì”vera rivoluzione culturale e mediatica attraverso la quale il Santo Padre, oltre che indicare ai cattolici la via e i “doveri” per la salvezza del mondo e della umanità, indica qual è la categoria di genere umano che in primo luogo porta la responsabilità di agire per la salvezza del creato e per creare le condizioni di una possibile convivenza di tutto il genere umano nella casa comune che è la terra, la quale allo stato attuale si presenta sempre più squilibrata per concentrazioni di presenze nell’ambito dei territori continentali ed uso e distribuzione delle risorse comuni.
Tutto questo ancor più da quando nella cultura ambientale si è maggiormente affermato un certo ambientalismo, che si è concretizzato in politica di governo per il consolidamento del potere nei Paesi cosiddetti forti.
Per sei capitoli e duecentoquarantasei paragrafi Francesco martella incessantemente la politica, già di per sé ammaccata, esangue e sul punto di estinguersi, per rimanere in tema. Cosa che peraltro non desterebbe rimpianto, se non fosse che insieme scomparirebbero libertà e giustizia, collegate organicamente a essa, nell’ambito dello stesso ecosistema: “Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade.. prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno - economico finiscano per distruggere non solo la politica, ma anche la libertà e la giustizia”.
Sono dunque i politici, o meglio gli statisti, a risultare la specie più in pericolo, nell’enciclica sulla biodiversità, stretti, e stritolati, dall’alleanza tra economia e tecnologia, che ha generato il mostro, ibrido e ingordo, sterile ma insaziabile della tecno-finanza: “La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei vertici mondiali sull’ambiente…La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia…”
Mentre il Laudato si’ di Francesco d’Assisi costituiva un cantico universale ante litteram, quello di Francesco da Buenos Aires esprime un’ode globalizzata, letteralmente. Non solo la traduzione nelle diverse lingue, ma l’adozione di linguaggi differenziati, spaziando dagli aborigeni australiani, religiosamente attaccati alle loro terre, ai migranti sub sahariani, sradicati e in fuga, dalla guerra e dall’effetto serra. Un tratto forte, ben definito, e molteplicità di personalizzazioni. Un vettore ecologico che riduce la velocità e scala le marce fino ad arrestarsi e arretrare, qualora necessario: “… se in alcuni casi lo sviluppo sostenibile comporterà nuove modalità per crescere, in altri casi, di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti decenni, occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo, a porre alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi…Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro”.
L’azione responsabile dell’uomo verso un ambientalismo di nuova generazione, che però affonda le radici nella cultura cristiana dei millenni che ci hanno preceduti: l’ambientalismo del fare, secondo il mandato biblico, non secondo il recentissimo “fare” di origine partitica e correntizia che vorrebbe gli ambientalisti, o pseudo tali, piegati alle ragioni del Si alle economie degli affari, delle imprese e dei capitali;
L’attenzione dedicata al fenomeno della globalizzazione, che interessa l’umanità, come l’ambiente ed oggi più che mai, constatiamo, l’economia:
L’attenzione alla risorsa acqua, per il suo uso e la gestione nel nostro Paese, ma anche e soprattutto come risorsa di vita per la intera umanità;
L’attenzione al territorio ed alle foreste, all’assetto idrogeologico ed all’agricoltura, ma anche alle città, all’urbanistica ed all’architettura, alla storia ed alla cultura delle regioni, delle aree e delle popolazioni.
Questo è l’impegno nel quale dobbiamo proseguire, perseverando nel migliorane la qualità.
Lo dobbiamo a tutti noi impegnati in prima persona, a tutti coloro che hanno fondato e fatto crescere il Movimento Azzurro, grazie a Dio ancora siamo presenti in tanti, consentendoci oggi di avere voce e riconoscimento nella società e nelle istituzioni.
Amici del Movimento Azzurro, siamo nella perfetta continuità e coerenza del nostro impegno, dobbiamo ancora costruire base sociale sulla quale edificare consenso e soprattutto, nuovo impegno sul territorio perché sulla scorta dell’entusiasmo e del vigore, che scaturirà dalla rinnovata dirigenza, si garantisca la giusta continuità ad un messaggio così importante e profondo quale quello che i nostri padri fondatori, Gianfranco Merli in testa, ci hanno consegnato oltre vent’anni or sono.