#369 - 1 dicembre 2025
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Cinema

I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"

Steve Reeves

Diari di Cineclub - I dimenticati, 125. Steve Reeves

Di

Virgilio Zanolla

Steve Reeves

Di Steve Reeves ho già detto qualcosa nel profilo dedicato a Sylvia Lopez (n°77, XI 2019, pp. 42-43). Può sembrare incredibile, ma come vedremo, il primo vero re dei bodybuilders, - il cui apporto nel cinema è agli occhi della stragrande maggioranza dei patiti della settima arte limitato alle sue apparizioni nei peplum, o per dirla all’italiana, nei film sui ‘forzuti’ di moda nel Bel Paese tra la fine degli anni Cinquanta e la seconda metà dei Sessanta - per una serie di circostanze spesso dipese da lui, perse l’occasione per essere il protagonista di alcuni film memorabili; naturalmente, il più delle volte quelle pellicole riuscirono tali proprio a motivo di chi le interpretò al suo posto: non si può giurare dunque che se le avesse interpretate lui il successo sarebbe arriso lo stesso, ma neppure il contrario.

Stephen Lester Reeves era nato il 21 gennaio 1926 a Glasgow, una cittadina del Montana che allora contava appena trentanove anni di storia ed è nota come middle of nowhere (in mezzo al nulla), trattandosi del comune americano più lontano da una qualsiasi grande città di tutti gli States. Era l’unico figlio di una coppia di coltivatori, Lester Dell e Goldie. Quand’egli contava solo due anni suo padre morì, vittima di un incidente agricolo. Otto anni dopo, sua madre si trasferì con lui in California, ad Oakland; dove Steve trovò il suo primo lavoro, occupandosi di consegnare i giornali in bicicletta, la stessa con cui si esercitava a superare di slancio notevoli salite. Nel contempo, studiò e si diplomò alla Castlemont High Scholl. Era un ragazzo esuberante, che sapeva imporsi sui coetanei grazie alla sua figura atletica: un giorno però venne battuto nella lotta da un ragazzo assai meno prestante di lui; avendo appreso che il tipo si allenava coi pesi nel cortile di casa decise di fare altrettanto. In quel periodo conobbe Ed Yarick (1910-88), un celebre culturista che in città aveva aperto una palestra per praticare questa disciplina, ancora poco nota al grande pubblico. Così divenne suo allievo, specializzandosi nel sollevamento pesi e ottenendo in poco tempo grandi risultati.

Steve Reeves

Nel ’43, quando ancora non aveva partecipato a nessuna competizione culturista, venne chiamato alle armi, arruolato e inviato nel Pacifico, dove prestò servizio nelle Filippine. Al termine della guerra, tornò ad Oakland e riprese ad allenarsi, strutturando viepiù il suo fisico armonioso. Era un bellissimo ragazzo dai lineamenti regolari, gli occhi azzurri e i folti capelli bruni; alto 186 cm, pesava 98 kg e sviluppò una circonferenza toracica di 132 cm, segnando alla vita 73,5 cm e ai bicipiti 46 cm. Il suo metodo per allenarsi, all’epoca innovativo, consisteva nella ripetizione - tre volte a settimana, per almeno quattro ore a seduta - di un programma completo per lo sviluppo armonioso di ogni gruppo muscolare del suo corpo, partendo dai deltoidi per giungere ai polpacci, con l’utilizzo di un’apposita panca e di manubri, hack squat, donkey calf e altri attrezzi specifici.

Presto Steve cominciò a segnalarsi nei concorsi per bodybuilders, avviando una rapida scalata verso il successo: eletto Mr. Pacific Coast negli anni 1946 e ’47, Mr. America nel ’47, Mr. World nel ’48, nel ’50 raggiunse il titolo più ambìto, quello di Mr. Universe. Si era nel frattempo trasferito a New York, dove, intenzionato a diventare attore, studiò recitazione prima con Stella Adler poi presso la Theodora Irvin School of the Theatre, esordendo in palcoscenico in un numero di vaudeville accanto al comico Dick Burney. Ė in quel periodo che il cinema cominciò ad accorgersi di lui, grazie a un agente che ne promosse l’atività, ottenendogli un contratto settennale con la Paramount.

Steve Reeves

Nel ’49 esordì nella settima arte nel cortometraggio di Robert Tansey Kimbar of the Jungle, ambientato nell’Africa nera, interpretando una specie di Tarzan che proteggeva un’avvenente fanciulla bionda (Virginia Heweitt). Quell’anno stesso Cecil Blunt DeMille stava preparando il film biblico Sansone e Dalila, un progetto molto ambizioso al quale lavorava addirittura da quindici anni: mentre per il ruolo di Dalila Hedy Lamarr si era imposta sulle altre concorrenti, per quello di Sansone aveva pensato a Burt Lancaster, il quale però era stato costretto a rinunciarvi a causa di un problema alla schiena. Il regista aveva allora contattato Steve, impressionato dal suo fisico scolpito, e dopo avergli fatto un provino si era detto soddisfatto di lui, chiedendogli però di dimagrire di sette chili; egli impiegò tre mesi per raggiungere gli 87 kg richiesti, ma a quel punto DeMille si era ormai orientato su Victor Mature, al quale assegnò la parte. Il film ottenne uno straordinario successo di pubblico e di critica: fu la prima grande occasione cinematografica perduta dal Nostro.

Steve si consolò con qualche apparizione televisiva, e nel ’53 fece una breve comparsata accanto a Jane Russell nel numero Ain’t There Anyone Here for Love in un’altra pellicola di grande esito, la commedia Gli uomini preferiscono le bionde (Gentlemen Prefer Blondes) di Howard Hawks. L’anno seguente ottenne finalmente un parte, quella del luogotenente Bob Lawrence nel noir Jail Bait di Edward Davis Wood Jr, film che riuscì il meno sciatto di colui che molti critici ebbero a definire «il peggiore regista di tutti i tempi». Appave quindi nel piccolo ruolo di Ed Perkins nel musical Athena e le 7 sorelle (Athena, ’54) di Richard Thorpe, con Jane Powell, Debbie Reynolds, Edmund Purdom e Vic Damone: opera che venne accolta con una certa freddezza. Egli tentò di farsi strada anche in teatro, a Broadway, nelle commedie musicali Kismet di Edward Knoblauch e The Vamp di Sam Locke, John Latouche e James Mundy, entrambe del ’55; in quest’ultima interpretava Sansone.

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Nel ’57 Steve apparve in tv come guest star nel popolarissimo The George Burns and Gracie Allen Show trasmesso dalla rete CBS, impersonando il proprietario di una palestra. L’anno dopo si sottopose a un provino in costume per interpretare il protagonista del musical Li’l Abner di Melvin Frank, che uscì nel ’59; ma il regista finì per preferirgli Peter Palmer, che aveva rivestito lo stesso ruolo anche in teatro. Deluso dal cinema, con pragmatismo Steve si occupò di pubbliche relazioni per gli American Health Studios, e aprì alcuni centri fitness. In quello stesso 1957, in Italia, il regista Pietro Francisci cercava il protagonista maschile del film a basso costo che aveva in progetto di girare, Le fatiche di Ercole: dei candidati fino allora esaminati era francamente perplesso, quando sua figlia, che aveva visto Reeves nel musical di Thorpe, lo segnalò alla sua attenzione. A Francisci egli parve promettente, e lo contattò offrendogli, per la modesta cifra di 10.000 dollari, d’interpretare la parte di Ercole e il biglietto aereo per l’Italia. Sulle prime Steve rimase incredulo, ma infine si persuase e volò a Roma. Si trovò così a lavorare con attori e maestranze italiani, a fianco di Sylva Koscina, Gianna Maria Canale, Lilli Granado e altre affascinanti bellezze. Con le piacevolezze e gl’incerti del mestiere: come quella volta - il 19 novembre ’57 a Prato - in cui prima che iniziasse la ripresa di una scena, il leone che nella pellicola Ercole avrebbe dovuto affrontare e uccidere fuggì dalla gabbia del circo a cui apparteneva e se ne andò tranquillamente a spasso per la città.

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Quando, il 20 febbraio del ’58, il film apparve nelle sale cinematografiche italiane, riscosse fin da subito un clamoroso successo di pubblico; che presto si ripeté anche negli altri paesi europei in cui venne proiettato. Negli Stati Uniti, dove nel ’59 il produttore Joseph Edward Levine ne acquistò i diritti di distribuzione per la Warner Bros., Hercules incassò addirittura cinque milioni di dollari. Ma quando ciò si verificò Steve aveva già interpretato altri cinque film ‘italiani’: il sequel Ercole e la regina di Lidia (’59), diretto ancora da Francisci, per il quale percepì lo stesso compenso, e che riscosse ancora vasto esito; l’avventuroso Agi Murad il Diavolo Bianco di Riccardo Freda (id.), tratto da una novella di Tolstoj, dove il suo compenso salì a 20.000 dollari; l’epico e catastrofico Gli ultimi giorni di Pompei di Mario Bonnard (e il non accreditato Sergio Leone), con Christine Kaufmann e Fernando Rey; lo storico-epico Il terrore dei barbari di Carlo Campogalliani, a fianco di Chelo Alonso; e La battaglia di Maratona di Jacques Tourneur e Bruno Vailati, accanto a Mylène Demongeot e Sergio Fantoni. Sempre nel ’59, ormai finanziariamente bene avviato, l’attore sposò una sua antica compagna di liceo, Sandra Smith. Un matrimonio che si rivelò subito infelice, tanto che presto i due si separarono per poi divorziare e lui si consolò tra le braccia dell’avvenente Sylvia Lopez, conosciuta sul set di Ercole e la regina di Lidia.

Steve Reeves

Durante le riprese de Gli ultimi giorni di Pompei Steve, che interpretava Glauco Leto, subì la lussazione di una spalla perché il carro che guidava finì contro un albero, e un nuovo infortunio in una scena ambientata in acqua. Questi incidenti ne condizionarono certe prestazioni, cosicché sui set dové sempre più spesso fare ricorso a controfigure. Frattanto, il vasto successo dei suoi film l’aveva reso popolarissimo, al punto che nel 1960 essi occupavano il primo posto nel botteghino di ben venticinque paesi. Tale riscontro aveva reso più attenti i produttori: tanto che per l’unica pellicola che egli interpretò nel ’60, l’avventurosa Morgan il pirata, dove aveva di nuovo come partner Chelo Alonso, la Lux Film, per la quale Reeves aveva interpretato due volte Ercole, si associò ad altre due case di produzione, una delle quali francese, e al regista inizialmente designato, Primo Zeglio, venne affiancato l’ungherese naturalizzato americano André de Toth. Quell’anno Steve si fidanzò con la ventottenne polacca Aline Janine Czartjarwicz, che a Cinecittà si occupava dei contratti stipulati con attori stranieri; la coppia si sposò il 24 giugno 1963 nella chiesa di S. Marco a Lucerna, in Svizzera: ella gli rimase accanto tutta la vita. Non ebbero figli.

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I film successivi in cui Steve lavorò furono, nel ’61 Il ladro di Bagdad di Arthur Lubin e Vailati, La guerra di Troia di Giorgio Ferroni, e Romolo e Remo di Sergio Corbucci, dov’ebbe come colleghi Virna Lisi e l’ex culturista e amico Gordon Scott, anch’egli destinato a una fortunata carriera nei peplum; nel ’62, con La leggenda di Enea di Giorgio Venturini e Il figlio di Spartacus di Corbucci, apparve in un’altra pellicola di Corbucci, Il giorno più corto, per lui la prima di genere comico, una parodia del bellico Il giorno più lungo, che vide la partecipazione (a titolo gratuito, per salvare dal fallimento la Titanus) di 88 attori di nome, tra cui David Niven, Simone Signoret, Annie Girardot, Anouk Aimée, Stewart Granger, Walter Pidgeon, Belmondo, i nostri Totò, Fabrizi, Macario, Tognazzi, Lisi, Valeri, Chiari, Franchi e Ingrassia, e perfino dello scrittore Ernest Hemingway. Intanto, la sua retribuzione era salita a 250.000 dollari a film, ciò che in quel momento faceva di lui l’attore più pagato d’Europa.

Steve Reeves

Nel ’63 Steve fu il protagonista dell’avventurosa Sandokan, la tigre di Mompracem, la prima delle due pellicole tratte da un romanzo di Salgari e dirette entrambe da Umberto Lenzi; l’altra, apparsa l’anno seguente, fu I pirati della Malesia, nella quale ebbe come partner la ventitreenne Jacqueline Sassard. In quei primi anni Sessanta egli gettò sconsideratamente alle ortiche due magnifiche occasioni cinematografiche: prima gli proposero il ruolo di James Bond in Agente 007 - Licenza di uccidere, ma il compenso non gli parve adeguato, poi quello di Joe in Per un pugno di dollari, ma dubitò che potesse avere credibilità un western girato da un regista italiano e ispirato dalla storia giapponese di un samurai. Sugli spaghetti-western fu presto costretto a cambiare idea, tanto che volle lui stesso interpretarne uno, del quale con Roberto Natale curò anche la sceneggiatura, Vivo per la tua morte! (I Live For Your Death!) di Camillo Bazzoni, uscito nel ’68. Si trattò del suo ultimo film.

Steve Reeves

Dopo del quale Steve decise di chiudere la carriera nel cinema, e con Aline fece ritorno in America, dove acquistò un ranch di 150 ettari a Jacksonville, nell’Oregon, occupandosi di allevamento dei cavalli, l’altra sua grande passione assieme alle auto da corsa. Poi la coppia si trasferì in un altro ranch, a Valley Center presso Escondido, in California. Rimasto vedovo nel 1989, quattro anni dopo lui si fece una nuova compagna, Deborah Reeves Stewart (il cognome è questo, ma non risulta chiaro se l’abbia sposata); non trascurò il culturismo: anzi, s’impegnò a combattere l’uso di steroidi e anabolizzanti, che nei decenni Settanta-Ottanta imperava nelle palestre, sensibilizzando sui gravissimi rischi che comportavano per la salute. Sul bodybuilding scrisse i libri Powerwalking (1982), Building the Classic Physique: The Natural Way (’95) e Dynamic Muscle Building (postumo, 2003), tutti ristampati. Risale al 2000 la sua ultima apparizione sullo schermo: fu se stesso nel film televisivo A&E Biography: Arnold Schwarzenegger - Flex Appeal.
Il 29 aprile di quell’anno, a motivo di un coagulo di sangue, all’età di settantaquattro anni, tre mesi e dieci giorni Steve cessò di vivere, nello stesso luogo in cui undici anni prima si era spenta l’amata moglie Aline, al Palomar Hospital di Escondido; il giorno prima aveva subìto un intervento chirurgico esplorativo a causa di un linfoma di cui soffriva. Sul re dei bodybuilder esistono varie pubblicazioni. La sua biografia autorizzata, Steve Reeves - One of a Kind di Milton Moore, uscita nel 1983, costò all’autore - che si valse della collaborazione di Aline Reeves - ben dodici anni di lavoro. Nel ’99 Chris LeClaire pubblicò un’altra biografia descritta come autorizzata, Worlds To Conquer, ma Deborah ne rilevò diverse inesattezze.

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