#361 - 1 marzo 2025
AAA ATTENZIONE - Questo numero rimarrà in rete fino alla mezzanotte del 31 marzo, quando lascerà il posto al numero 362. Ora MOTTI per TUTTI : - Finchè ti morde un lupo, pazienza; quel che secca è quando ti morde una pecora ( J.Joyce) - Lo sport è l'unica cosa intelligente che possano fare gli imbecilli (M.Maccari) - L'amore ti fa fare cose pazze, io per esempio mi sono sposato (B.Sorrel) - Anche i giorni peggiori hanno il loro lato positivo: finiscono! (J.Mc Henry) - Un uomo intelligente a volte è costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti (E.Hemingway) - Il giornalista è colui che sa distinguere il vero dal falso e pubblica il falso (M. Twain) -
Storia

NOTE SULLA
MEMORIA DEI GIORNI

-L'Aeronautica istituisce le Frecce Tricolori: Oltre un secolo di storia italiana nei cieli rivive ogni volta che la pattuglia acrobatica entra in azione. Su queste macchine volanti c'è spazio solo per i migliori, scelti per imprimere una "firma" verde-bianco-rossa nell'orizzonte di diverse città del mondo.
La tradizione acrobatica dell'aeronautica militare iniziò negli anni Trenta con la prima scuola di Campoformido, diretta dal colonnello Rino Corso Fougier, comandante del 1º Stormo. Alla guida di cinque Fiat C.R.20 i piloti si esibivano in una figura non dissimile dalla "bomba" d'epoca recente. Nonostante i buoni risultati che cominciavano a intravedersi, lo scoppio della Seconda guerra mondiale segnò una brusca frenata per questo tipo di attività, fino al forzato scioglimento della pattuglia.
Il clima di austerità dell'immediato Dopoguerra, legato in particolare al numero ridotto di velivoli disponibili, impedì la ricostituzione di una squadra ufficiale. All'inizio degli anni Cinquanta ciò favorì la nascita di diversi stormi che guadagnarono la ribalta internazionale, partecipando a numerose manifestazioni di forte richiamo. A fare da apripista fu il 51° stormo, seguito qualche anno dopo dal "Cavallino Rampante" e dal "Guizzo", più tardi divenuto popolare con il nome "Getti tonanti", fino alla comparsa nel 1957 di "Diavoli Rossi" e "Lanceri Neri".
Sul piano delle macchine si passò dai P-51D Mustang agli F-84F Thunderstreak, entrambi made in USA. A cavallo degli anni Sessanta, in vista anche del grande appuntamento con il Centenario dell'Unità d'Italia, si pensò alla formazione di un'unica pattuglia acrobatica, da affidare all'eccellenza dei piloti. In questo clima, il 1° marzo, si arrivò all'istituzione del 313° Gruppo di Addestramento Acrobatico PAN "Frecce tricolori", il cui quartier generale venne individuato nell'aeroporto di Rivolto (nel comune di Codroipo, provincia di Udine). Il gruppo, composto inizialmente da pochi elementi, volò con gli F-86E Sabre fino al 1963. Successivamente si arrivò a nove unità più il solista e alla possibilità di utilizzare fumi colorati, mentre dai cacciabombardieri Fiat G.91PAN si passò agli "italianissimi" MB-339PAN, tutt'oggi in dotazione. Gli stessi vennero modificati nel tempo fino a renderli estremamente leggeri e adatti a supportare le traiettorie più spericolate.
Il disegno attuale di questi modelli presenta sulla fiancata una banda tricolore su sfondo blu, e nello scarico posteriore un tubicino dal quale fuoriesce il fumo colorato, composto di olio di vaselina. Le figure eseguite dalla pattuglia variano da un'altezza superiore ai 2.000 metri a passaggi a bassa quota. Il pezzo forte delle loro performance li vede, con la formazione al completo, disegnare in cielo un tricolore lungo 5 km. Eseguito per la prima volta a Pratica di Mare, particolarmente suggestiva è stata la riproposizione in chiusura delle celebrazioni per il 150° dell'Unità. In ogni manovra non c'è margine d'errore, per questo si selezionano i migliori piloti tra quelli che hanno più di 1.000 ore di volo. Ciononostante, in 16 hanno perso la vita per incidenti verificatisi durante la fase di addestramento o nelle manifestazioni ufficiali. Un giallo tuttora irrisolto resta il disastro di Ramstein, di cui rimasero vittime tre piloti e 67 spettatori. L'episodio destò molti sospetti nell'opinione pubblica, legati al fatto che due dei piloti avrebbero dovuto deporre al processo sulla Strage di Ustica.

-Walter Chiari: La sua comicità frenetica e surreale, unita alle spiccate capacità parodistiche, ha fatto scuola sul piccolo e grande schermo.
Nato a Verona, da famiglia pugliese, e morto a Milano nel dicembre 1991, Walter Annichiarico, in arte Chiari, si formò come tanti a teatro con la rivista, debuttando al cinema con "Vanità", nel 1946, che gli valse il Nastro d'argento.
Lodato dalla critica per il ruolo di seduttore in Bellissima di Luchino Visconti, divenne in seguito un protagonista della commedia all'italiana e si fece apprezzare anche in TV per sketch memorabili, su tutti il Sarchiapone. Risucchiato nel 1970 in una brutta vicenda di traffico di droga, da cui venne prosciolto dopo 70 giorni di carcere, ritornò a fatica sotto i riflettori, vittima dei pregiudizi e della censura della RAI. Dal matrimonio con Alida Chelli ebbe un figlio, Simone Annichiarico, che lavora come presentatore televisivo sui canali Mediaset, dopo aver collaborato per LA7 e la TV pubblica.

-Pier Paolo Pasolini: Intellettuale tra i più geniali e controversi del Novecento italiano, in varie forme, dalla letteratura al cinema, seppe anticipare le trasformazioni della società italiana, evidenziandone limiti e storture.
Nato a Bologna, il suo primo amore fu la poesia, cui si dedicò scrivendo in vernacolo in aperta contestazione all'egemonia culturale della Chiesa. In particolare predilesse il friulano, per la cui tutela fondò nel 1945, insieme ad altri amici, l'Academiuta di lenga furlana.
Il trasferimento nella Capitale segnò l'ingresso nel mondo del cinema, prima come sceneggiatore e poi come regista, debuttando con Accattone nel 1961. Già dagli esordi dovette fare i conti con la censura, subendo successivamente una sorta di ostracismo per il contenuto forte e provocatorio delle sue opere, portato all'esasperazione in Salò e le 120 giornate di Sodoma, uscito postumo nel 1975.
Nemico giurato dei luoghi comuni e delle ipocrisie della società, affrontò fin dal primo romanzo Ragazzi di vita senza tabù il tema dell'omosessualità maschile. Morì assassinato nel novembre del 1975 e il corpo fu rinvenuto all'idroscalo di Ostia. Nonostante la condanna a Giuseppe Pelosi, sono in tanti a credere che sul delitto non sia stata fatta totale chiarezza.

-Giuseppe Mazzini: Nato a Genova e morto a Pisa il 10 marzo del 1872, è stato un patriota, politico e filosofo. Fu il fondatore della Giovine Italia nel 1831, presentata in Francia dov'era stato esiliato, per portare avanti gli obiettivi di indipendenza, unità e libertà nazionali. Mazzini diede un contributo unico alla nascita dello Stato unitario italiano, anche se gli costò la latitanza, l’esilio e la morte in solitudine.
Le sue teorie furono anche riprese dai movimenti europei per l'affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana dello Stato, tanto che lui stesso fondò altri movimenti politici per la liberazione e l'unificazione di altri stati europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e, infine, la Giovine Europa.
In Italia, puntava sull'unione degli stati in un'unica repubblica, retta da un governo centrale, sola condizione possibile per la liberazione del popolo italiano dagli invasori stranieri, contro un federalismo che avrebbe fatto dell'Italia, invece, una nazione debole. La sua salma, mummificata e sepolta a Genova, nel Cimitero monumentale di Staglieno, fu esposta al pubblico in occasione della nascita della Repubblica Italiana

-Inaugurato il tunnel sottomarino più lungo al mondo: Quando se ne ipotizzò la costruzione il Giappone era ancora sotto choc per le perdite umane e i disastri dei due attacchi atomici. La sua entrata in funzione diede al paese del Sol Levante un altro prestigioso primato nella storia del progresso ferroviario.
Sul piano del trasporto su rotaia, il Giappone figurava tra le nazioni che avevano investito maggiormente dopo la Seconda guerra mondiale. Nel 1964 fu inaugurata qui la prima linea ferroviaria dedicata esclusivamente all'alta velocità, denominata Shinkansen, che entrò in funzione con il treno Shinkansen Serie 0 (dalla peculiare forma a proiettile), a quel tempo il più veloce al mondo (poteva raggiungere i 210 km/h).
Già dal periodo Taisho (1912-1925) ci si era posto il problema di realizzare un collegamento stabile tra le due maggiori isole dell'arcipelago nipponico, Honshu e Hokkaido, separate da uno stretto tratto di mare. Tuttavia, solo a partire dal 1946 si effettuarono i rilievi geologici della zona, in base ai quali si approntò una prima bozza della linea ferroviaria. Lasciato nel cassetto per un decennio, lo studio dell'opera fu ripreso in maniera più decisa verso la metà degli anni Cinquanta, in seguito al tragico affondamento di cinque navi passeggeri provocato da un tifone.
Il boom economico del ventennio '60-'70 creò il clima adatto per l'inizio effettivo dei lavori che avvenne nel settembre del 1971, con l'obiettivo di collegarla alla linea dell'alta velocità. Le condizioni geologiche particolari del fondale marino, formato da rocce vulcaniche, complicarono le attività di scavo, dando luogo a frequenti incidenti in cui persero la vita 34 operai. Completato il tunnel pilota nel 1983, cinque anni dopo l'opera, costata complessivamente 3,6 miliardi di dollari, venne portata a termine.
Integrato nella linea ferroviaria Kaikyo (che collega le prefetture di Hokkaidō e Aomori), il tunnel prese il nome di Seikan, nato dalla combinazione dei caratteri kanji (caratteri di origine cinese usati nella scrittura giapponese) delle prime lettere di Aomori e Hakodate, le due principali città collegate attraverso lo stretto.
All'inaugurazione del 13 marzo 1988 venne certificato lo storico primato di "più lungo tunnel sottomarino del mondo": lungo 53,85 chilometri di cui 23,3 chilometri sotto il fondo marino. A questo se ne aggiunsero altri due. Il primo relativo al "più profondo tunnel ferroviario operativo nel mondo", in virtù dei 140 m al di sotto del fondale marino (240 m sotto il livello del mare) che fa segnare il livello dei binari. L'altro è legato alle due stazioni ricavate all'interno della galleria, le prime al mondo realizzate sotto il mare: la Tappi-Kaitei e la Yoshioka-Kaitei. Entrambe furono progettate come vie di fuga in caso di incendio o altro, dotate di moderni sistemi di sicurezza e soccorso. La prima funge ancora oggi da museo sulla storia del Seikan.
Il primato relativo alla lunghezza rimase inalterato anche dopo l'apertura del Tunnel della Manica nel 1994, anche se quest'ultimo poteva vantare un tracciato sottomarino più lungo (39 km contro i 23 del Seikan). Inaugurato il 1º giugno 2016 e aperto al traffico viaggiatori il successivo 11 dicembre, il Gotthard Base Tunnel (Galleria di base del San Gottardo), in Svizzera, è diventato il più lungo tunnel ferroviario del mondo con doppio binario in due canne con i suoi 57,104 km.

-Sequestro Moro: L'agguato sanguinario. La tormentata prigionia. La condanna a morte. Tutto in 55 giorni, i più lunghi della storia della Repubblica italiana, che segnarono il passaggio tra due epoche e il tramonto di un progetto politico che, forse, avrebbe potuto scrivere un futuro diverso per il Paese.
Nel panorama dei cosiddetti anni di piombo, il 1977 aveva segnato una decisa svolta verso lo scontro violento sul piano politico e sociale, combattuto tra i gruppi eversivi di sinistra e di destra e tra questi e le forze dell'ordine. Il '78 non era iniziato con migliori auspici: la sera del 7 gennaio si era consumata la strage di Acca Larentia, in cui avevano perso la vita tre giovani del Movimento Sociale.
Sul piano politico c'era una situazione instabile, che a meno di due anni dalle elezioni aveva già portato alla caduta del governo monocolore della Democrazia Cristiana, guidato da Giulio Andreotti. Di fronte a quest'impasse e per dare una risposta convincente al Paese, attraversato da una profonda crisi sociale, il presidente della DC Aldo Moro sostenne l'ipotesi di un governo di solidarietà nazionale, con la partecipazione dei comunisti.
Si trattava di un gesto politico di considerevole portata, i cui echi oltrepassarono i confini nazionali. Il PCI del segretario Enrico Berlinguer si diceva pronto al compromesso storico, rivendicando lo strappo con Mosca. Le resistenze però erano forti sia all'interno della DC, sia tra gli alleati internazionali dei due principali partiti italiani.
Da un lato gli USA timorosi che, nell'ottica della guerra fredda, un partito filosovietico al governo avrebbe potuto minare i piani militari della NATO. Dall'altro l'URSS giudicava tale prospettiva una forma di emancipazione dal modello sovietico, in favore di quello americano. In questo scenario destò molti sospetti il coinvolgimento di Moro nello scandalo Lockheed, dal nome dell'azienda americana che ammise di aver pagato tangenti a politici e militari stranieri, per vendere a Stati esteri i propri aerei. Ne uscì con una piena assoluzione il 3 marzo, tredici giorni prima che accadesse l'irreparabile.
La mattina di giovedì 16 marzo Moro era atteso alla Camera, dove Andreotti avrebbe dovuto presentare il nuovo governo con il sostegno, per la prima volta, dei comunisti. Alle 9 scese dalla sua abitazione romana e salì a bordo della Fiat 130 blu di ordinanza, seguita dall'Alfetta bianca della scorta. All'incrocio tra via Fani e via Stresa, ad attenderlo un commando di 19 brigatisti (11 secondo un'altra versione), armati di mitragliette automatiche e pronti a far scattare un agguato in pieno stile RAF (gruppo terroristico tedesco di estrema sinistra).
Bloccando il corteo con due auto all'inizio e alla fine dello stesso, e ostruendo le vie di fuga laterali con altri veicoli parcheggiati, i terroristi entrarono in azione facendo fuoco sulla scorta e sulle due guardie del corpo dell'auto blu. La fotografia che si parò davanti alle prime persone accorse sul posto era agghiacciante: sulla strada un tappeto di bossoli e sangue, nei due abitacoli crivellati di colpi i corpi senza vita di Domenico Ricci (appuntato dei Carabinieri), Oreste Leonardi (maresciallo dell'Arma), Francesco Zizzi (vice brigadiere di Polizia), Giulio Rivera e Raffaele Jozzino (entrambi agenti di Polizia).
Passarono 48 ore prima che le Brigate Rosse rivendicassero l'attentato e il sequestro di Moro, attraverso una foto dello stesso, ritratto con alle spalle la famigerata "stella a cinque punte" e un comunicato in cui si annunciava che il presidente della DC sarebbe stato processato da «un tribunale del popolo». La reazione dei cittadini si tradusse in cortei e manifestazioni per gridare il proprio dissenso alla violenza brigatista.
Le istituzioni reagirono approvando una serie di "leggi speciali" volte a dare più poteri alle forze dell'ordine e agli investigatori nell'attività di contrasto al terrorismo. Sul piano politico emersero forti divisioni tra chi era per trattare con i sequestratori, come il PSI, e la maggioranza (DC e PCI in testa) che era invece per la linea dura. Nonostante il dispiegamento di forze, con migliaia di blocchi stradali e perquisizioni, le indagini sembravano non portare da nessuna parte.
Nei 55 giorni che seguirono ci fu uno stillicidio di comunicati delle BR, ipotesi giornalistiche e polemiche politiche, con il blocco moderato che accusava l'area comunista di essere contigua agli ambienti brigatisti. Il conflitto sociale non si fermò e alcuni episodi, come l'omicidio di due giovani di sinistra del centro sociale "Leoncavallo", lo esacerbarono ulteriormente. Nel frattempo le speranze di vedere liberato Moro si facevano sempre più deboli, nonostante gli accorati appelli di personalità di rilievo mondiale, come papa Paolo VI e il presidente degli Stati Uniti d'America, Jimmy Carter.
Il 6 maggio, le BR comunicarono l'esecuzione della condanna a morte. Tre giorni dopo il corpo di Moro fu rinvenuto in via Caetani, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata, simbolicamente, tra via delle Botteghe Oscure e Piazza del Gesù (dove avevano sede rispettivamente il PCI e la DC). Della strage di via Fani e dell'omicidio Moro furono accusati e processati 14 brigatisti, la maggior parte dei quali oggi è in regime di semilibertà.
Inchieste giornalistiche successive fecero emergere il possibile coinvolgimento nella vicenda di altri soggetti, tra cui la loggia P2, la rete clandestina della NATO e i servizi segreti di diversi paesi. A supportarle gli innumerevoli ritardi e punti oscuri nelle indagini svolte all'epoca dei fatti e alcuni aspetti nella dinamica del sequestro e della prigionia, secondo alcuni, non riconducibili al modus operandi tipico delle Brigate Rosse.

-Inaugurato il traforo del Gran San Bernardo: Una delle prime grandi opere del miracolo italiano fu la galleria di quasi 6 km che metteva in collegamento la Valle d'Aosta con il cantone svizzero del Vallese. Il primo traforo autostradale attraverso la barriera alpina aprì un fondamentale varco verso l'Europa.
In pieno boom economico, l'Italia aveva iniziato dalla fine degli anni Cinquanta un'ampia serie di interventi infrastrutturali, atti a potenziare la rete di collegamenti tra Nord e Sud e con il centro Europa. In particolare, si puntò a migliorare le vie di comunicazione con la Svizzera, fino a quel momento concentrate per lo più sulle gallerie ferroviarie del San Gottardo e del Sempione, inaugurate rispettivamente nel 1882 e nel 1906.
I governi delle due nazioni confinanti raggiunsero un accordo per aprire un passaggio nel versante valdostano delle Alpi, nello specifico attraverso il valico del Gran San Bernardo. Il progetto prevedeva la realizzazione di un tunnel autostradale lungo 5.798 metri, che metteva in collegamento i comuni di Saint-Rhémy-en-Bosses (distante 20 chilometri da Aosta) e di Bourg-Saint-Pierre, nella Svizzera vallese.
I lavori, affidati all'ingegnere piemontese Giorgio Dardanelli (figura storica dell'urbanistica di quegli anni), partirono nel 1958 e furono portati a termine sei anni dopo. Nel corso degli stessi rimase impresso nella memoria l'incontro tra le due squadre di minatori impegnate nell'opera: il 5 aprile del 1963, caduta l'ultima parete di roccia, italiani e svizzeri s'incontrarono a metà strada, nel cuore della montagna.
Esattamente un anno dopo, la mattina di giovedì 19 marzo, il tunnel del Gran San Bernardo fu inaugurato alla presenza delle massime autorità italiane ed elvetiche. Si trattava del primo traforo stradale alpino (il secondo fu il Traforo del Monte Bianco, completato nel 1965), rivestito da uno spesso strato di cemento armato e strutturato in un'unica carreggiata, con due corsie di marcia a doppio senso. I veicoli che vi transitavano erano tenuti al pagamento di un pedaggio, calcolato in base alle diverse tipologie.
Nei decenni successivi emersero diverse criticità in merito all'affidabilità dei trafori alpini, in generale e solo dopo la tragedia dell'incendio scoppiato nel 1999 all'interno della galleria del Monte Bianco (che causò la morte di 39 persone), si adottarono misure di sicurezza più stringenti, avviando la realizzazione di una "galleria di servizio e sicurezza" e garantendo un migliore addestramento del personale di soccorso.
Rimasta negli anni una cruciale via di comunicazione con l'Europa, il traforo del Gran San Bernardo festeggiò, il 25 giugno del 2010, uno storico traguardo: il transito del 25.000.000° utente, premiato con il pedaggio gratuito e un cesto di prodotti tipici delle due sponde alpine, insieme con il 24.999.999° e il 25.000.001°. In quell'occasione si fece un bilancio complessivo di 46 anni di attività, evidenziando che in quest'arco di tempo avevano imboccato il tunnel oltre 22 milioni di auto e più di 2 milioni di camion.

-Don Giuseppe Diana ucciso dalla camorra: «Per amore del mio popolo non tacerò» s'intitolava l'ultimo appello di un prete coraggioso, divenuto un simbolo della lotta anticamorra.
Dopo la laurea in Teologia biblica e in Filosofia (presso l'Università Federico II di Napoli), nel 1989 Don Giuseppe Diana divenne parroco della chiesa di San Nicola di Bari, nella sua natia Casal di Principe. In quegli anni il clan dei Casalesi era in piena ascesa, destinato, sotto il controllo del boss Francesco Schiavone, detto Sandokan, a diventare uno dei più sanguinari della storia d'Italia.
Don Diana divenne per i suoi fedeli un punto di riferimento contro le violenze e i soprusi del potere criminale, denunciando più volte dall'altare e nei vari incontri l'assenza delle istituzioni di fronte a quello scenario. Il culmine di questo impegno fu il celebre manifesto distribuito a Natale del 1991, a tutte le parrocchie della città. In esso richiamò la Chiesa a non rinunciare «al suo ruolo "profetico" affinché gli strumenti della denuncia e dell'annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili».
Entrato nel mirino dei clan, la mattina del 19 marzo 1994 venne ucciso nella sua sagrestia, con cinque colpi di pistola sparati da un solo killer. Ricordato da associazioni e iniziative intitolate a suo nome, Don Diana è diventato un simbolo del movimento antimafia. In particolare, la cooperativa "Le Terre di Don Diana" gestisce la produzione agricola nelle terre sottratte ai clan, dando lavoro a diverse persone.

-Prima attrice italiana a ricevere l'Oscar: Il dramma di una moglie devota che dopo la morte del suo amato scopre di essere stata a lungo tradita e schernita dalla gente. È la protagonista del film La rosa tatuata che proiettò Anna Magnani tra i grandi di Hollywood.
Per il pubblico americano, nel primo decennio postbellico, il cinema italiano ebbe un volto e un nome precisi: Vittorio De Sica. L'attore e regista ciociaro aveva guadagnato la prestigiosa ribalta degli Academy Awards, primo italiano a farlo, con due insuperabili capolavori come "Sciuscià" (1946) e "Ladri di biciclette" (1948), che gli meritarono in seguito il riconoscimento di padre del neorealismo cinematografico.
In quegli stessi anni, sul palcoscenico italiano nasceva una nuova stella che per la sua verve tipicamente romanesca, era ormai nota più con il soprannome di Nannarella che con il suo vero nome. Dopo gli esordi a teatro e con ruoli secondari sullo schermo, nel 1941 la Magnani ottenne i primi consensi grazie allo stesso De Sica, che la scelse come coprotagonista in Teresa Venerdì.
Il successo internazionale arrivò quattro anni dopo con la straordinaria interpretazione di Pina nel capolavoro neorealista di Roberto Rossellini (che le fu compagno di vita per un periodo), Roma città aperta, per il quale ottenne il Nastro d'argento come "miglior attrice non protagonista". Il ruolo principale in Bellissima (1951), del grande Luchino Visconti, le spalancò definitivamente le porte di Hollywood.
A pensare per primo a lei fu lo sceneggiatore Tennessee Williams, popolarissimo negli USA per il dramma teatrale Un tram chiamato desiderio, portato sullo schermo da Elia Kazan. Williams buttò giù la sceneggiatura di un film dal titolo "La rosa tatuata", pensando alla star romana nel ruolo della protagonista. D'accordo con il regista Daniel Mann le proposero la parte e quest'ultima accettò, pur tra mille tentennamenti legati agli affetti familiari e al suo attaccamento alla quotidianità di Roma
Iniziò le riprese nei panni di Serafina Delle Rose, giovane immigrata in America legata al marito Rosario, di professione camionista, da un rapporto di profonda devozione. La tragica morte dell'uomo segna il suo doloroso isolamento dal mondo esterno, in cui coinvolge anche la figlia e da cui si ridesta bruscamente quando viene a conoscenza della relazione extraconiugale del consorte. A quel punto decide di ritornare a vivere, aprendosi al corteggiamento di Alvaro (interpretato da Burt Lancaster), collega del marito.
Uscita nel 1955, la pellicola conquistò la platea statunitense e fece incetta di nomination (otto in tutto) all'edizione degli Oscar dell'anno seguente, portando a casa tre statuette: "miglior fotografia", "miglior sceneggiatura" e "miglior attrice protagonista". Un riconoscimento quest'ultimo che consacrò la Magnani tra i grandi del cinema di allora, vincendo la concorrenza di vere e proprie eroine nazionali, del calibro di Susan Hayward e Katharine Hepburn.
Avvertita al telefono della sua nomination, Nannarella, anti-diva per eccellenza, pensò subito a uno scherzo e non vi diede alcun peso, rinunciando a partecipare alla grande "notte di Los Angeles". Quando un giornalista americano, alle cinque di mattina, le annunciò al telefono di essere entrata nella storia come prima attrice italiana a ricevere l'Oscar, non credette alle sue orecchie. Prese coscienza che era tutto vero solo quando Marisa Pavan, coprotagonista nel film, le portò la statuetta che aveva ritirato al posto suo.
Premiata per lo stesso ruolo con un Bafta, come attrice internazionale dell'anno, e con un Golden Globe, come migliore attrice in un film drammatico, la Magnani sfiorò la seconda statuetta quando fu scelta da De Sica come protagonista della Ciociara, parte che rifiutò e che venne poi affidata a Sofia Loren. Fu quest'ultima a vincere l'Oscar nel 1962 e ancora oggi lei e la Magnani sono le uniche attrici italiane insignite del prestigioso premio.

-Vincent van Gogh: Inarrivabile esempio di genio artistico folle e incompreso, con capolavori insuperabili quali Campo di grano con volo di corvi e Notte stellata diede inizio all'arte moderna.
Nato a Groot Zundert (la casa natale è ancora visibile sulla piazza principale!), iniziò a dipingere a trent'anni, realizzando molte delle sue opere più note nel corso degli ultimi due anni di vita. La sua produzione, che raccoglie ben 864 tele e di più di mille disegni, consta soprattutto di autoritratti, paesaggi, nature morte di fiori, dipinti con cipressi, rappresentazioni di campi di grano e girasoli.
Lavorò come apprendista per la casa Goupil, che vendeva riproduzioni di opere d'arte, e qui approfondì le tematiche artistiche. Licenziato, si dedicò agli studi teologici e finì a fare il predicatore tra i minatori, ma fu allontanato per il suo fanatismo religioso. Nel 1885 realizzò la prima grande opera, I mangiatori di patate, in cui celebrava il lavoro umile dei contadini.
Oltre che dalla povertà e dalla mancata considerazione degli altri, fu perseguitato dalla psicosi epilettica, con "stadi crepuscolari" seguiti da attacchi di panico, che lo portarono più volte a tentare il suicidio. L'ultimo tentativo fu fatale: il 29 luglio del 1890 morì nella sua casa di Auverse, due giorni dopo essersi sparato un colpo di rivoltella.
Fonte d'ispirazione per le correnti pittoriche del XX secolo, su tutti L'espressionismo, van Gogh lasciò diverse opere battute poi all'asta per cifre altissime, come "Autoritratto senza barba" (venduto per 71,5 milioni dollari nel 1998 a New York) e "Autoritratto con orecchio bendato" (ceduto nel 1990 per 90 milioni di dollari).
Delle oltre 800 tele e mille disegni che ci ha lasciato, Vincent van Gogh, in vita, riuscì a venderne soltanto uno. Tutti gli altri, eccezion fatta per quelli donati ai pochi amici artisti, restarono al fratello Theo per poi passare al Museo Van Gogh di Amsterdam, il più importante dedicato alle opere del pittore postimpressionista.
Il suo animo inquieto fu per lui croce e delizia, causa di continue sofferenze e fonte ispiratrice della sua sublime pittura, fatta di emozioni e impeti spirituali resi con i colori e le forme dello stile impressionista. Per questo dipingere fu per lui più una necessità interiore che un'attività professionale.
Nel 2005, alla vigilia del 152° anniversario della sua nascita, Google ha dedicato a van Gogh un doodle globale, modellato sul celebre dipinto "Notte Stellata", conservato al Museum of Modern Art di New York.

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