#125 - 30 marzo 2015
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Cinema

La storia vera dei due fratelli Mark e Dave Shultz

Foxcatcher

Per la regia di Bennett Miller, una storia toccante,
ma in realtà priva dei numerosi accadimenti che portano avanti un film “usuale”.

di Federica Fasciolo

Foxcatcher

Foxcatcher racconta la storia vera dei due fratelli Mark e Dave Shultz, wrestler entrambi vincitori della medaglia d’oro olimpica, e del loro rapporto con il multimilionario John du Pont. Quest’ultimo contatta Mark per proporgli di entrare a far parte del suo team “Foxcatcher”, in cui allena per i campionati del mondo. Lo chiede anche a Dave, che però rifiuta per restare con la sua famiglia e non costringerla a traslocare.
Se c’è qualcosa che Foxcatcher ha compreso bene del cinema ben fatto è che spesso non servono troppe parole per far comprendere alla perfezione cosa accade all’esterno e all’interno dei personaggi e le relazioni che li legano: tutto traspare con sensazioni che arrivano dirette allo spettatore, qualunque sia il personaggio o il momento della storia. Obiettivo di quasi ogni film, si potrebbe dire, ma Foxcatcher sceglie un modo totalmente particolare per riuscire nella grande impresa.

Foxcatcher

“Il cinema è la vita senza i momenti noiosi”, disse Hitchcock. Bisogna andare dritti al punto in ogni scena. Foxcatcher invece ribalta tutto questo: pullulano i momenti di silenzio, di contemplazione di ciò che sembra essere nulla. Scene in cui la musica – solenne, malinconica o inquietante – è più alta delle parole, che si sentono poco, a volte per niente. Ma tutto ciò lo fa con uno scopo: quello di trascinare il pubblico nel senso di vuoto, di solitudine, di pesantezza più totale che permea la vita dei protagonisti. Di Mark che, nonostante il successo nello sport, nella vita non ha nient’altro e deve trovare la sua strada a prescindere da quella del fratello, e di du Pont, folle, umiliato dalla disapprovazione di sua madre e disperato nel tentativo di non sentirsi più solo.

Foxcatcher

È dunque questa tecnica a dare al film la sua vera forza, quella di creare empatia anche tramite la distanza. Senza, “Foxcatcher” porterebbe in scena una storia toccante ma in realtà priva dei numerosi accadimenti che portano avanti un film “usuale”. La fotografia, così come la colonna sonora, aiuta a creare questo senso di inquietudine e tristezza di fondo.
Ottima prova per Steve Carell, che gli è valsa infatti una nomination agli Oscar come migliore attore protagonista: siamo certamente più abituati a vederlo recitare in ruoli comici (“Una settimana da Dio” o “Un’impresa da Dio”, per portare degli esempi tra i più famosi), ma ha dimostrato nuovamente di essere un attore a tutto tondo, così com’era successo con la sua interpretazione in “Little miss sunshine” nel 2006. Channing Tatum (Mark) rende perfettamente il senso di vuoto e allo stesso tempo di frustrazione del suo personaggio, mentre Mark Ruffalo (Dave) è sempre più capace di creare sfumature da Oscar (quest’anno non l’ha vinto, ma coi ruoli giusti in futuro chissà…)

Foxcatcher

In conclusione, a volte i momenti di vuoto sembrano veramente troppi da sopportare mentre si vede Foxcatcher. Ma ciò che mi impedisce di parlarne male è che questi “vuoti” non creano noia come farebbe un qualsiasi film lento, ma sono invece studiati alla perfezione, voluti per portare chi guarda nell’atmosfera della vita dei protagonisti. Per vederlo, però, bisogna essere pronti a questa completa immersione.

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