1924 - 2024: omaggio al grande compositore a cento anni dalla morte
Roma - 28 Piazza di Pietra Fine Art Gallery
Giacomo Puccini
"Si chiama Tosca ma si dice Roma"
Giacomo Puccini, moriva a Bruxelles nel novembre del 1924, afflitto da un papilloma sotto l’epiglottide, diagnosticato inoperabile.
Puccini, un uomo in musica fin da bambino: orfano precocissimo del padre, (organista a Lucca), ha sei sorelle dai nomi impossibili: Odilia, Tomaide, Iginia, Nitteti, Ramelde e Macrina, del padre prenderà il posto come Maestro della Cappella Municipale, ruolo spettante ai Puccini, da generazioni. Fino al Conservatorio, cui lo iscriverà la madre, a Milano, dove dividerà le forti privazioni con il compagno di stanza Pietro Mascagni.
Ma il successo e il contratto immediato con la casa musicale Ricordi sono altrettanto precoci. E così l’agiatezza fino all’acquisto della casa nella maliosa solitudine lacustre di Torre del Lago, dove coltiverà le sue passioni dalla bicicletta, la caccia, la pesca, fino ad un parco automobili principesco, e.... la pittura.
I pittori avranno un ruolo importante nella vita pratica ed artistica del musicista. Durante la gestazione di Boheme per esempio, nasce addirittura un Club, nel modesto capanno del calzolaio gambe di merlo a Torre, dove ogni pomeriggio ci si raduna per accese discussioni intervallate dagli spassi tipici delle congreghe maschili in vernacolo, e Il Doge, come Puccini è soprannominato, riesce anche a comporre.
Vi si susseguono in visita i pittori epigoni della Scuola Labronica, gli allievi di Giovanni Fattori, fino ai transfughi innamorati di quel “modernismo” tutto francese, per il quale si deve “Dipingere non la cosa ma l’effetto che produce” ma che già Gauguin, perfidamente, aveva battezzato non Impressionisti (ricorrono ora i loro 150 anni) ma “pupillisti”.
Si va da Galileo Chini a Plinio Nomellini, Ferruccio Pagni, Franco Fanelli, Raffaello Gambogi, i fratelli Tommasi, Lorenzo Viani. Del resto Marcello, il pittore che già è in di Boheme canta “...pingere mi piace o cieli o terre o inverni o primavere”: pare il manifesto di tanto accattivante vedutismo di quel lembo di Toscana. E non è la musica di Puccini anche pittura musicale di minuti, dettagliati particolari? Ad alcuni di loro affiderà gli affreschi della sua Villa oggi suggestivo museo.
E il pittore è anche in Tosca: lei ne è innamoratissima e lui, Cavaradossi, canta turbato che l’arte nel suo mistero le bellezze diverse in se confonde, nutrendo il suo talento di due somiglianze che diverranno una Madonna in un affresco in Sant’Andrea della Valle a Roma. E Francesca Anfosso nella sua Galleria, 28 Piazza di Pietra, ha sposato una nuova idea di Paolo Giorgi (dopo la mostra per il ritrovamento della tomba di Tutankhamon del 2022) e deciso di ospitare una singolare collettiva, per ricordare il fatidico anniversario pucciniano, con degli artisti della figurazione e del realismo magico tra pittori e pittrici, riuniti sotto un titolo, una dedica precisi: Si chiama Tosca, ma si dice Roma.
Gli Artisti sono Ennio Calabria, Raniero Botti Sergio Ceccotti, Anna Di Stasi, Mario Fani, Marco Martelli, Duccio Trombadori, Paolo Giorgi, Daniela Pasti, Luca Morelli, Verena D’Alessandro, insieme alla giovane disegnatrice di gioielli Beatrice Ferraldeschi che ha indagato nei preziosi in voga in quell’ottocento nel quale Tosca, generosissima, canta, “diedi gioielli della Madonna al manto”, evocandone alcuni.
Come si vede, pittori cui è cara l’immagine, il racconto di sapiente manualità e che si cimentano in un opera a misura unica 50x50, intorno ad un tema Tosca appunto, che è anche Roma: fin dai primi accordi dell’opera vi si respirano la sua magnificenza, la grandiosità imperial-vaticana, il suo barocco spettacolare, gli intrighi politici, gli amori, le crudeltà. Il titolo della collettiva offre una vasta gamma di possibili approcci al mondo di Giacomo Puccini che della capitale, arrivò a studiare anche il suono della Campana Grande di San Pietro.