La carta/miracolo del clich
Pass e accrediti
Racconti di fotografia
di Guido Alberto Rossi
Il primo pass non si scorda mai, è la prima tappa della vita professionale di un fotografo, dopo aver comprato la macchina fotografica ed imparato ad usarla.
Il primo accredito è sempre il più difficile da ottenere, perché sei alle primissime armi, sei un free lance e nessuna testata importante ti fa una lettera per l’accredito, poi man mano che sali la lunga scala della carriera diventa più facile e poi arriva anche il momento che sei abbastanza conosciuto in alcuni ambienti che il pass te lo danno ormai per abitudine.
Non c’è avvenimento sportivo, festival, fiera, festa popolare compreso il concorso Ugola D’Oro di Capranizza che non richieda un accredito per la stampa ed in seguito alla valutazione dell’ufficio stampa dell’organizzazione venga rilasciato il necessario pass senza il quale non vai da nessuna parte e non scatti mezza foto.
Il pass ti consente di accedere alle aree riservate ai fotografi e cineoperatori lungo un circuito di motorsport o nelle apposite “fosse” di alcuni campi da tennis e piste di atletica che ovviamente ti consentono d’immortalare un punto clou.
Per darvi un’idea alla famosa Festa di San Firmino a Pamplona, dove un gruppo di matti scatenati sfida la sorte correndo per i vicoli davanti ad un gruppo di tori altrettanto scatenati, la buca per la stampa è in una specie di cantina in un palazzo d’angolo, sei ad altezza strada e usi un grand’angolo. Qui
il mio amico Giancarlo Majocchi ha immortalato in una spettacolare foto: zoccoli, corna e desperados.
Però, può anche capitare, come una volta che nel circuito di Imola, durante una gara del campionato moto GP, gli organizzatori avevano costruito una magnifica tribunetta tutta per noi, proprio davanti all’uscita di una chicane e quando ci recammo sul luogo la trovammo occupata da un gruppo di grossi, sudati, puzzolenti e molto bevuti bikers teutonici che alla nostra richiesta di andare via risposero con insulti e lanci di bottiglie. Lì vicino c’era un giovane carabiniere, forse al suo primo giorno da effettivo, che prese le nostre difese e ordinò ai barbari di sgombrare, ricevette il nostro stesso trattamento e sconsolato ci consigliò di trovarci un’altra postazione.
Il mio primo pass l’ho avuto in maniera del tutto inaspettata e francamente credo che oggi sarebbe difficile ripetere la situazione: siamo nel agosto del 1966 sotto gli ombrelloni dei bagni Imperatrice a San Remo, il nostro vicino di spiaggia si presenta: buongiorno sono Alberto Ballarin e lì inizia la mia carriera, Alberto è il vice direttore di Sport Illustrato, il settimanale della prestigiosa Gazzetta dello Sport. Gli racconto della mia passione per le auto da corsa e delle foto che scatto da dietro o sopra la rete dell’autodromo di Monza. Mi invita ad andarlo a trovare in redazione con le foto. Appena rientro a Milano, ovviamente ci vado a razzo, gli faccio vedere le mie quattro foto in croce, le prende su e va nella stanza accanto, torna dopo cinque minuti con in mano una fascia per fotografi che ti consentiva di andare ovunque nei box a cinque centimetri dalle auto e piloti e lungo il circuito oltre l’odiata rete metallica negli spazi appositi per fotografi e cineoperatori, in pratica il sogno si avvera.
Una volta ai box, scateno il dito destro dello scatto e cerco di fare del mio meglio riprendendo i probabili vincitori; vince Ludovico Scarfiotti su Ferrari e così quella domenica sera stampo tutto quello che ho scattato su di lui più altri campioni venuti bene ed il mattino corro alla Gazzetta con il malloppo, risultato: copertina e servizio interno con tanto di firma, ormai è fatta! Mi vedo già ad un passo dal Pulitzer!
Arriva il 1967 con la Guerra dei 6 Giorni ed io voglio andarci, ma come faccio per l’accredito? M’informo al Consolato israeliano e come da regolamento chiedono la lettera di un giornale, non conosco nessuno al di fuori delle riviste di motorsport, però c’è un amico fotografo che insieme ad altri ha un’agenzia fotografica e di PR, ma che si occupa esclusivamente di moda e lavora solo per i femminili, convinco la segretaria a farmi la lettera magica e così su carta intestata dell’agenzia Bramos torno al Consolato, è un successo! Non vengo buttato fuori e mi danno ulteriori istruzioni, la guerra fortunatamente è brevissima e finisce in soli sei giorni, ma io ormai voglio andarci lo stesso.
Una volta a Tel Aviv in coda con i fotografi veri, nonostante le mie due Leica al collo credo di assomigliare più ad Alice nel paese delle meraviglie che ad un vero fotoreporter. Grazie a Santi Visalli, che conosco mentre sono in fila e che la racconta bene all’ufficiale addetto e mi descrive come se fossi vero, ottengo anche qui il pass, servirà per fare i tour organizzati dall’esercito israeliano per far vedere un po' di carri egiziani distrutti e catturati.
Arriviamo nel 1968, ho qualche rullino in più d’esperienza, qualche pass in più e voglio andare in Vietnam, allora collaboravo abbastanza spesso con il settimanale L’Europeo e grazie a Gianfranco Moroldo, riesco ad avere la lettera magica e via. Arrivato a Saigon mi presento al JUSPAO che è l’ufficio addetto al rilascio dei pass per la stampa presso il MACV (che tradotto vuol dire Military Assistance Command, Vietnam), qui c’è da compilare un po' più di fogli che per lavorare negli autodromi, ma del resto qui è roba seria. Quel giorno appena ottengo il mio pass, un sergente aggiorna il numero sulla lavagna dei fotografi, cineoperatori e giornalisti presenti il mio è il 586 e mi augura buona fortuna.
Con il passare degli anni mi diventa sempre più facile ottenere i pass, non dico facile come comperare il gelato, ma neanche difficile come uscire a cena con una bella ragazza (non conoscevo ancora Laura).
Con l’evolversi della civiltà anche i vari uffici stampa si evolvono e anche la figura del fotografo free-lance viene riconosciuta tanto quanto una lettera d’accredito e diventa semplice, se lo sei davvero, avere il pass necessario; ovviamente vieni dopo gl’inviati delle importanti agenzie o testate; se il numero degli accrediti è limitato è un po' come essere in lista d’attesa sul volo Roma – Milano il venerdì pomeriggio.
Non ho mai lavorato lungo i red carpet dei grandi festival dove devi essere super bravo per riuscire a fare delle foto migliori e più vendibili degli altri fotografi che scattano come invasati lo stesso tuo soggetto e sono tutti intorno a te, come i circa 300 accreditati ogni anno al Festival del Cinema di Cannes.