Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro
I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"
Memmo Carotenuto
Diari di Cineclub n°98, X 2021
Di
Virgilio Zanolla
Lettore mio, se volessi lamentarti non potrei certo darti torto, perché non ci piove: grazie al talento comico e drammatico, alla maschera di rude di buon cuore dalla singolare voce roca e dall’arguzia bonacciona e tutta capitolina, Memmo Carotenuto - il personaggio che presento oggi - è noto, per dirla col Manzoni, «dall’Alpi alle Piramidi, / dal Manzanarre al Reno». Noto, sì: ma l’uomo e l’attore quanto sono davvero conosciuti? Ecco dunque che la mia proposta di un suo profilo biografico e professionale, risulta tutt’altro che provocatoria, meno gratuita di quanto potrebbe sembrare.
Cominciamo col dire che il vero nome di Memmo era Guglielmo. Figlio d’arte, era nato a Roma il 23 agosto del 1908, da Raffaele detto Nello (1876-1937), attore di una compagnia dialettale romanesca, e da Corinna Santarnecchi. Otto anni dopo di lui, da un altro legame Nello ebbe un secondo figlio, Mario (1916-95), anch’egli destinato a raggiungere la fama nel cinema quale egregio caratterista. Proprio quando Mario vedeva la luce, Memmo esordiva accanto al padre sulle tavole del palcoscenico, nella compagnia Bacci-Gambini: molto legato al genitore, egli pareva avviato a ricalcarne i passi nell’àmbito del teatro in vernacolo. Nel 1925, dopo avere ottenuto il diploma in ragioneria, entrò nell’Achille Maresca 2, una compagnia di rivista destinata a grande successo nella seconda metà di quel decennio, grazie alle presenze prima di Macario eppoi di Totò. Tuttavia, Memmo vi restò poco, perché presto passò al Teatro Futurista di Filippo Tommaso Marinetti: un’altra esperienza piuttosto breve ma significativa, dove apprese tra l’altro l’importanza della pantomima.
Fin dai primi decenni del muto, Nello Carotenuto era attivo anche nel cinema: il suo discreto curriculum nel mondo della settima arte, che lo vide attivo anche nel ruolo di Fantomas, ebbe il sigillo nel 1934 con l’unico film sonoro, 1860 di Alessandro Blasetti. Anche Memmo si sentì attratto dal grande schermo, tanto che a partire dal ’33 lasciò il teatro per lavorare esclusivamente sul set: ma per lunga pezza lo fece quasi solo come tecnico del trucco, proprio grazie all’esperienza acquisita in tanti anni di palcoscenico. Le sue prime apparizioni davanti alla macchina da presa avvennero nel ’35, in due lungometraggi: Vecchia guardia di Alessandro Blasetti e Lorenzino de’ Medici di Guido Brignone; nel primo, ambientato nel 1922 e chiara esaltazione del fascismo squadrista (non a caso fu molto apprezzato da Hitler), impersonò un infermiere in sciopero; il film vide l’esordio anche di altri futuri interpreti di livello, come Andrea Checchi. Per tornare davanti al set Memmo dové attendere ben sei anni: in Tosca (1941) di Jean Renoir e Carl Koch, vestì il ruolo del parrucchiere della regina; il film, interpretato da Imperio Argentina, Rossano Brazzi e Michel Simon, ebbe una gestazione assai lunga, soprattutto a causa dei numerosi cambi di programma, alcuni dovuti allo scoppio della guerra, che costrinse Renoir a ritornare in patria, dov’era stato richiamato nell’esercito. Nel frattempo, Memmo si era sposato ed era diventato padre di due figli, Nennella e Bruno. Nell’autunno ’43, quando con la caduta del fascismo, per proseguire l’attività alcune maestranze del cinema italiano si trasferirono negli studi veneziani della Giudecca, Memmo fece altrettanto, aderendo di fatto alla Repubblica di Salò. Durante quel periodo riapparve davanti alla macchina da presa nella parte di Riccardino nel melodrammatico Senza famiglia di Giorgio Ferroni, che venne distribuito solo a guerra finita, nel ’46.
Prese poi parte, come attore, a Il Passatore di Duilio Coletti (’47). L’anno successivo, Vittorio De Sica gli dette il brevissimo ruolo di un uomo della folla nel suo primo capolavoro, Ladri di biciclette. Nel ’49 fu il pistolero sudista nella commedia Adamo ed Eva di Mario Mattòli, interpretata da Macario e Isa Barzizza. Per Memmo, l’anno della svolta nel cinema fu il 1952, quando apparve in tre film: fu Raimondo nel melodrammatico Prigioniera della torre di fuoco di Giorgio Chili, un detenuto nel dramma poliziesco-sentimentale Processo contro ignoti di Guido Brignone, e un ammalato ricoverato in ospedale in Umberto D. di De Sica; proprio quest’ultimo ruolo costituì il trampolino di lancio della sua carriera d’attore: scegliendolo quale compagno di stanza del protagonista, un finto bacchettone lesto a recitare ad alta voce il rosario per ingraziarsi le suore che distribuivano il cibo, De Sica aveva visto giusto. Da allora, Memmo ottenne ruoli sempre più articolati, molto anche in grazia della sua voce dal timbro inconfondibile, di straordinaria fonogenia a dispetto delle sue caratteristiche poco ortodosse.
La sua carriera proseguì spedita, e il ’53 lo vide partecipare a sette film, ritagliando personaggi memorabili come il carabiniere Sirio Baiocchi di Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini (che avrebbe replicato l’anno seguente nel sequel Pane, amore e gelosia dello stesso regista, e nel ’58 in Tuppe tuppe, marescià! di Carlo Ludovico Bragaglia, dove Baiocchi è ormai promosso brigadiere), il vanesio e scansafatiche impiegato Bertuscelli, collega di lavoro di Arduino (Peppino De Filippo) de Lo scocciatore di Bianchi, il ladro Venturini di Stazione Termini di De Sica. Ben otto le pellicole nelle quali apparve nel ’54, con parti brevi ma incisive come l’azzimato maggiordomo Battista de I tre ladri di Lionello De Felice e il Cesare di Peccato che sia una canaglia di Blasetti. Nel ’55 furono sette, e tra esse spiccano i personaggi del comandante Panaccione ne Le vacanze del sor Clemente di Camillo Mastrocinque, di Vannuccio in Piccola posta di Steno, del Ciuffo ne La ladra di Mario Bonnard, di Nando in Bella non piangere di David Carbonari, una biografia romanzata di Enrico Toti in un film (per lui) insolitamente drammatico.
Il suo successo cresceva, e con esso la popolarità: le migliori attestazioni dell’uno e dell’altra gli vennero proprio dal costante aumento delle sue partecipazioni cinematografiche: undici film nel ’56, quattordici nel ’57, quattordici nel ’58... Nel ’56, che fu forse il suo anno di maggior esito, per il personaggio dell’umanissimo ex galeotto Quirino Proietti ne Il bigamo di Luciano Emmer Memmo fu premiato col Nastro d’Argento quale migliore attore non protagonista: Quirino, compagno di cella di Mario De Santis (Marcello Mastroianni), in carcere per bigamia, è l’unico a credere alla sua innocenza sospettando un’omonimia, e a rintracciare il vero responsabile, scagionando così l’amico. Lavorando con Totò e Peppino, Memmo interpretò Fernando ne La banda degli onesti e Ignazio ‘il Torchio’ in Totò, Peppino e i fuorilegge, film diretti entrambi da Mastrocinque. Grandi apprezzamenti ottenne inoltre per la figura del sanguigno tranviere Alvaro in Poveri ma belli di Dino Risi, compagno di stanza di Salvatore (Renato Salvatori), personaggio che fu presente con eguale successo anche nei sequel Belle ma povere e Poveri milionari, diretti dallo stesso Risi rispettivamente l’anno dopo e nel ’59; in Poveri ma belli fu presente anche suo fratello Mario Carotenuto. Con l’altro protagonista del film, Maurizio Arena, quell’anno Memmo lavorò anche in Tempo di villeggiatura di Antonio Racippi, disegnando la simpatica figura del capo cameriere Alfredo. Ciliegina sulla torta di quel periodo straordinariamente favorevole, la figura di Crepereio nella commedia Mio figlio Nerone di Steno, dov’egli divise il set con Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Gloria Swanson e Brigitte Bardot.
Nel ’57 Memmo tornò a lavorare con Mario in Susanna tutta panna di Steno, con Marisa Allasio e Nino Manfredi, dove vestì i panni di Scorcelletti figlio; nel drammatico Solo Dio mi fermerà di Renato Polselli (biografia del sacerdote don Salvatore d’Angelo, fondatore a Maddaloni del Villaggio dei Ragazzi), nel quale interpretava un maresciallo dei carabinieri, ebbe con sé il figlio Bruno, che in quella circostanza esordiva come attore davanti alla macchina da presa, e nel musicarello A vent’anni è sempre festa di Vittorio Duse, in cui impersonava il direttore di una scuola agraria, ebbe accanto sua figlia Nennella. In Padri e figli di Monicelli fu il guardiano dello zoo Amerigo Santarelli, marito di Ines (Marisa Merlini) e padre di cinque figli, oberato dai problemi economici ma capofamiglia felice. In Mariti in città di Comencini, fu il commerciante di mobili e bigiotteria Ferdinando Felicetti, timoroso che la moglie in vacanza lo tradisca, ma sensibile al fascino di una bella cliente sposata. In Gente felice di Mino Loy interpretò don Luigi, il parroco della frazioncina di Cerchiano. Un altro personaggio memorabile a cui dette vita fu, nel ’58, il Cosimo de I soliti ignoti di Mario Monicelli, un galeotto che commette l’imprudenza di svelare al suo collega di detenzione Peppe er Pantera (Vittorio Gassman) il piano per scassinare la cassaforte del Banco dei Pegni, e che tradito da questi, dopo aver tentato di anticipare il colpo con un’iniziativa individuale finita in modo tragicomico, morirà investito da un tram. Per questa parte, egli fu candidato a un secondo Nastro d’Argento quale miglior attore non protagonista.
Nel ’59, nel ’60 e nel ’61 Memmo ebbe di nuovo occasione di lavorare sul set accanto a Mario: prima ne Le sorprese dell’amore di Comencini, poi - stavolta entrambi da protagonisti - ne I piaceri dello scapolo di Giulio Petroni e in Mariti in pericolo di Mauro Morassi; negli ultimi due, conservando nelle rispettive parti i veri nomi di battesimo. A recitare con loro in entrambi i casi, la ‘tentatrice’ Sylva Koscina, e nel primo Gina Rovere, Graziella Granata, Marisa Merlini, Andrea Checchi, nel secondo Franca Valeri, Pupella Maggio, Dolores Palumbo e Pietro De Vico.
La sua carriera procedé con successo per tutti gli anni Sessanta, sebbene registrando un discreto rallentamento. Egli apparve pure in televisione, pigliando parte con Carlo Romano a una serie di sketch di “Carosello” che pubblicizzavano l’idrolitina Gazzoni. Negli anni Settanta partecipò a otto film, l’ultimo dei quali - Un amore in prima classe di Salvatore Samperi (’80), dove interpretò un vecchio ferroviere cieco - uscì pochi mesi prima della sua morte.
In quarantacinque anni di attività Memmo lavorò in 111 pellicole, passando dalla retorica fascista (Vecchia guardia di Blasetti, ’35) al neorealismo (Ladri di biciclette e Umberto D. di De Sica, ’48 e ’52), al neorealismo rosa (Pane, amore e fantasia di Comencini, ’53; Poveri ma belli di Risi, ’56; Susanna tutta panna di Steno, ’57), ai musicarelli (A vent’anni è sempre festa di Duse, ’57; Cantando sotto le stelle di Marino Girolami, ’56; Non cantare... baciami! di Giorgio Simonelli, ’57; Canzoni a tempo di twist di Stefano Canzio, ’62), alla commedia all’italiana (I soliti ignoti di Monicelli, ’58; Gli onorevoli di Sergio Corbucci, ’63), alle parodie di altri film (La Pica sul Pacifico di Roberto Bianchi Montero, ’59; Rocco e le sorelle di Giorgio Simonelli, ’61; Il giorno più corto di Corbucci, ’62; Divorzio alla siciliana di Enzo Di Gianni, ’63), e perfino agli spaghetti-western (Di Tresette ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno di Giuliano Carnimeo, ’74), apparendo anche in produzioni straniere o internazionali (Psicanalista per signora di Jean Boyer, ’59; Fernandel, scopa e pennel di Maurice Cloche, ’61; ...poi ti sposerò di Philippe De Broca, ’64; Die Hochzeitsreise di Ralf Gregan, ’69), e vestendo di volta in volta con successo i panni di ladro, falsario, ex galeotto, forzato, maresciallo, brigadiere, sergente maggiore, capitano, nostromo, commendatore, impiegato, parroco, barone, maggiordomo, capo cameriere, vigile urbano, tassista, benzinaio, portalettere, tramviere, ferroviere, stuccatore, operaio ascensorista, impresario teatrale, allenatore di calcio, guardiano dello zoo, reclutatore di comparse, direttore di una scuola agraria, direttore di un’agenzia immobiliare, e molt’altri ancora.
Memmo Carotenuto è morto a Roma il 23 dicembre 1980, colpito da infarto, all’età di settantadue anni e quattro mesi. La sua salma riposa nel Cimitero Flaminio, accanto a quella della moglie. Dei suoi due figli, se Nennella lasciò il cinema dopo A vent’anni è sempre festa per sposare in quello stesso ’57 l’attore Luciano Marin, dopo Solo Dio mi fermerà Bruno ha intrapreso con discreto successo la carriera d’attore, recitando col padre in altri quattro film e apparendo in opere significative come Estate violenta di Valerio Zurlini (’59), La legge di Jules Dassin (id.), Madame Sans-Gêne di Christian-Jacque (’61) e Per un pugno di dollari di Sergio Leone (’64).