Racconti di fotografia
Marcella
Classe 1919, segni particolari: carattere al titanio
Un meritato ricordo
di Guido Alberto Rossi
La settimana scorsa Marcella Pedone è partita per il suo ultimo viaggio a quasi
104 anni, qualche giorno prima eravamo stati al telefono una buona mezz’ora e mi aveva raccontato che stava lavorando ad una nuova mostra fotografica che le avrebbe dedicato il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, a cui lei ha donato tutto il suo straordinario archivio fotografico e filmato, le sue macchine fotografiche e le sue due roulotte.
Marcella è stata sicuramente una delle più grandi fotografe editoriali Italiane, purtroppo poco conosciuta dal grande pubblico e poco considerata dai sempre soliti critici imbratta carta. Sicuramente ogni italiano che è andato a scuola dagli anni 50 e anche oggi quelli che sono sui banchi hanno imparato e tuttora imparano la geografia e la botanica grazie alle sue immagini pubblicate sui libri scolastici di tutti gli editori nostrani.
Purtroppo il suo nome è sempre stato scritto in fondo al libro e a lei, con il suo carattere maremmano non è mai importato nulla di fare cadere dall’alto il suo lavoro e tirarsela come invece fanno molte capre fotografiche che se la tirano per aver azzeccato qualche scatto, mentre Marcella aveva sempre scattato immagini uniche, un po’ come per un cecchino che ogni colpo è nel centro del bersaglio.
Aveva iniziato a fotografare negli anni 50, girando l’Italia ed il mondo da sola e con macchine fotografiche di grande formato che pesavano quasi più di lei. Credo che non ci sia angolo dell’Italia che Marcella non abbia fotografato. Aveva ormai più di sessant’anni quando ha scattato un servizio sulla caccia al camoscio in alta montagna, portandosi nello zaino le sue macchine fotografiche 6X9, che come peso ed ingombro sono quasi come il camoscio stesso.
Nonostante pesasse forse quaranta chili bagnata, aveva una resistenza che ho visto in pochi giovani baldi e forti, se si metteva in testa che doveva scattare una foto da un certo punto, non c’era terreno che poteva fermarla. Era uno spirito libero che amava la natura, era convinta che non eravamo soli nell’universo e odiava i medici e le medicine, preferiva curarsi a modo suo (ovviamente quando possibile).
L’anno scorso le era venuta un’ulcera purulenta ad una gamba e nessuna pomata era riuscita a migliorare la situazione finché lei non usò degli impacchi con le foglie d’oro, (antico sistema dei faraoni egiziani) e guarì.
Potrei scrivere mille pagine di tutte le sue avventure, comprese quelle legali contro editori disonesti, che erroneamente pensavano di fregarla perché era una donna.
Con le sue 170.000 diapositive che ha lasciato nella mani del museo, siamo sicuri che il patrimonio che ci ha lasciato non andrà a fare muffa in qualche cantina ma vedrà la luce con diverse mostre.
Vi racconto di Marcella perché oltre ad essere stata una grande fotografa e mia amica è stata la prima fotografa che ho reclutato nel 1976 a Camogli mentre ambedue fotografavamo la sagra del pesce fritto e io avevo appena aperto la mia prima agenzia fotografica, la Action Press. Abbiamo lavorato insieme fino al 2014 quando ho ceduto la mia ultima agenzia.
Grazie Marcella!