Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro
I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"
Jiah Khan
Diari di Cineclub n°61, V 2018
Di
Virgilio Zanolla
Il personaggio di questo numero, l’attrice Jiah Khan, è un nostro contemporaneo: lo anticipo al lettore perché, come presto vedrà, su alcuni aspetti della sua vicenda umana le indagini sono ancora in essere, pertanto sugli stessi non posso fornire conclusioni che restano da formulare.
Nafisa Rizvi Khan era islamica e di origine pakistana, nipote delle sorelle Parveen e Nasreen Rizvi, entrambe attive come attrici, registe e produttrici di film in lingua urdu, la prima col nome d’arte di Sangeeta e la seconda con quello di Kaveeta.
Era nata il 20 febbraio 1988 a New York, da Ali Rizvi Khan, uomo d’affari indiano-americano, e da Rabiya Amin, nativa di Agra nell’Uttar Pradesh e a sua volta attrice, negli anni Ottanta interprete di successo di film in lingua hindi.
Se aveva aperto gli occhi sul mondo nella Grande Mela, è pur vero che vi restò pochissimo: perché l’armonia tra i suoi genitori si guastò quasi subito e quand’ella aveva appena due anni il padre abbandonò la famiglia per non farsi più vedere, cosicché Rabiya si trasferì a Londra, dove formò una nuova famiglia ed ebbe altre due figlie, Kavita e Karishma.
Legatissima alla madre, Nafisa non perdonò mai il padre per la sua assenza: «Un uomo che lascia sua figlia quando lei ha appena due anni dovrebbe essere impiccato in pubblico» ebbe a dire anni dopo.
Nella capitale del Regno Unito Nafisa venne educata e compì gli studi con grande profitto. Col precedente della madre e di due zie attrici, il suo desiderio d’intraprendere anch’ella la carriera artistica era quasi inevitabile: ma grande impulso le venne quando, all’età di sei anni, ebbe occasione di vedere il premiatissimo film Raangela (1995) di Ram Gopal Verma: il quale - guarda un po’ - racconta la storia di una ragazza intenzionata a diventare attrice, che un affermato attore cinematografico, innamoratosi di lei, lusinga con l’offerta di una parte nel suo prossimo film.
Per avviarsi a questa professione, Nafisa tornò a New York e studiò al Lee Strasberg Theatre and Film Institute di Manhattan, imparando altresì varie forme di danza (inclusa quella del ventre) e perfezionando la voce con lezioni di canto.
Nel 2004, il produttore Mukesh Bhatt pensò a lei quale interprete del film Tumsa Nahin Dekha: A Love Story di Anurag Basu; Nafisa inizialmente accolse l’offerta, ma si tirò indietro quando Basu le fece capire che a sedici anni era troppo giovane per interpretare quel ruolo, passato all’attrice Dia Mirza. Trasferitasi a Mumbai (l’odierna Bombay: la città di Bollywood, la Mecca del cinema indiano), tre anni dopo ella esordì finalmente davanti alla macchina da presa come protagonista in Nishabd di Gopal Verma, l’autore di Raangela. Nel film, un dramma romantico (dove ebbe quale partner l’attore, produttore e uomo politico Amitabh Bachchan, uno dei fondatori di Bollywood, tra le personalità più influenti del cinema indiano), era Jiah, una diciottenne che faceva innamorare di sé Vijaj, fotografo sessantenne, padre d’una sua amica, provocando una crisi familiare. Un ruolo tutt’altro che facile, ricalcato in parte sulla Lolita di Nabokov, dove però Jiah (già, da quello stesso film questo divenne il suo nome d’arte) se la cavò con molta naturalezza. L’opera non incontrò grande successo al botteghino, tuttavia la critica non mancò di sottolineare l’efficacia della sua interpretazione, ricca di sfumature e sex appeal; nella circostanza ella incise anche il motivo Take Lite. Nafisa-Jiah venne candidata da Filmfare Awards (l’Oscar bollywoodiano) per il premio quale miglior debutto femminile: ma a vincere fu poi l’attrice indiana di nascita danese Deepika Padukone.
L’anno dopo, Jiah prese parte a Ghajini, scritto e diretto da A. R. (Arunasalam) Murugadoss: un thriller psicologico dove rivestì l’impegnativo ruolo di Sunita, una studentessa di medicina che s’interessa delle dinamiche del cervello umano, attratta dalla storia di Sanjay Singhania (Asmir Khan), le cui singolari amnesie rivelano un oscuro terribile passato. Il film ebbe grandissimo successo, tanto che si tradusse nella pellicola indiana ad avere incassato di più nell’anno 2008; la prova della bellissima attrice ventenne ottenne giudizi contrastanti: consensi per la sua presenza «squisita ed espressiva» ma anche qualche critica.
Nel 2010 Jiah lavorò nel film Chance Pe Dance di Ken Ghosh: un’opera musicale con molti numeri di danza, la storia di un aspirante attore (Shahid Kapoor) e della sua ragazza coreografa. Le riprese erano quasi state ultimate quando Ghosh le chiese incredibilmente di lasciare il film, e la sostituì con Genelia D’Souza. Sui motivi di questa sostituzione sono corsi fiumi d’inchiostro senza che la verità sia venuta a galla; Ghosh affermò che Jiah non si era mostrata all’altezza del compito: asserzione difficile da credere, dati i brillanti precedenti mostrati dalla stessa sia nella recitazione che nell’esecuzione delle più varie danze, per la quale si era preparata durante gli studi compiuti a New York; è possibile che nella decisione abbia avuto voce in capitolo Kapoor, che infatti sul set intrecciò una breve relazione con la nuova protagonista. Sta di fatto che il film si tradusse in un formidabile flop, cosicché a buon diritto Jiah poté esternare la sua felicità per averne lasciato il set quand’esso era ancora in lavorazione.
In quello stesso 2010, ella prese parte ad un altro lungometraggio, Housefull di Sajid Khan, un film comico che venne girato anche a Londra e (molti mesi) in Italia: la storia di un ragazzo sfortunato, Aarush (Akshay Kumar) che una coppia di amici induce al matrimonio con una bella ragazza, Devika; egli si reca con la moglie in luna di miele in Italia; ma presto lei lo lascia per un ex fidanzato, e Aarush, deciso a suicidarsi, viene salvato da Sandy (Deepika Padukone), una ragazza che finisce per innamorarsi di lui. Il ruolo di Jiah fu quello di Devika, la moglie fedifraga; ma anche se tutto sommato secondario, il personaggio a cui ella dette vita piacque alla critica, la quale pure non risparmiò al film pesantissime recensioni. A dispetto di ciò, Housefull ottenne un clamoroso successo di pubblico, tanto da risultare uno dei film col maggiore incasso della storia del cinema indiano.
Jiah ebbe nuove interessanti offerte, e nel dicembre del ’12 firmò un contratto per tre film con Siddhartha Jain, coproduttore di Ragini MMS. Prese subito parte ad Aap Ka Saaya di Udhas Singh: nel ruolo della moglie del protagonista, interpretato da Ranbir Kapoor, un miliardario che la tradisce con una bella cameriera (Koena Mitra). Ella però non giunse a completare le sue riprese - e il film rimase inconcluso - , perché la mattina di martedì 4 giugno 2013 venne trovata appesa per il collo a un ventilatore a soffitto nella sua camera da letto nella residenza di famiglia nell’edificio Sagar Sangeet nel quartiere di Juhu, a Mumbai. L’autopsia stabilì che l’attrice era morta per impiccagione alle 23:45 circa della sera precedente, suicidandosi in un momento in cui sia sua madre sia la sorella Kavita non erano in casa. La tesi del suicidio fu avvalorata dal ritrovamento, il 7 giugno da parte della sorella, di una nota di Jiah nella quale essa mostrava d’aver pianificato la sua morte; la famiglia poi fece sapere che uno dei motivi fosse la depressione dovuta ad un aborto recente. Ma in seguito la madre accusò il fidanzato di Jiah, Sooraj Pancholi, d’averla uccisa ed avere inscenato il suicidio: arrestato il 10 giugno, il giovane (figlio degli attori Adtya Pancholi e Zarina Wahab) venne processato per via di numerose incongruenze che nel frattempo erano emerse nella ricostruzione del fatto. Tuttavia, il 1° agosto 2016 il CBI (Central Bureau of Investigation), a cui l’Alta Corte di Giustizia indiana aveva assegnato l’incarico di fare luce sulla dinamica dei fatti, escluse dal caso l’omicidio, confermando la tesi del suicidio; la madre di Jiah però non si dette per vinta e assunse l’esperto forense britannico Jason Payne-James, che il 20 settembre di quell’anno presentò un rapporto dove chiariva come l’impiccagione della venticinquenne attrice era stato una messa in scena, e che i segni sul viso e sul collo indicavano come il presunto suicidio fosse stato in realtà un omicidio. In effetti, le foto scattate al cadavere sono impressionanti, e purtroppo circolano sul web.
Ciò nondimeno, poco tempo dopo Sooraj Pancholi venne scarcerato e poté esordire come attore, diventando subito un beniamino del pubblico femminile indiano. Nel dicembre ’15 il ”Mombai Mirror” rivelò che in base a un rapporto del CBI era emerso come Jiah, incinta di quattro mesi, probabilmente spinta da Sooraj, avesse assunto un farmaco abortivo, che le aveva causato una forte emorragia. Chiamato con urgenza da lei, Sooraj, invece di portarla in ospedale, per timore dello scandalo che avrebbe compromesso il suo futuro cinematografico allora ancora in essere, le avrebbe estratto il feto con le mani, gettandolo nella toilette; il suicidio dell’attrice sarebbe stato motivato da questo avvenimento. Accusato formalmente di favoreggiamento del suicidio di Jiah, dal marzo 2018 Sooraj è ancora in attesa di giudizio: noi, che come italiani purtroppo conosciamo i tempi biblici della giustizia indiana, speriamo comunque che presto o tardi la verità venga interamente in luce e la giustizia sia fatta.
Dopo esequie alle quali parteciparono molti dei più importanti attori e cineasti di Bollywood, Jiah riposa nel cimitero musulmano di Juhu. Qualche tempo fa, la tv indiana ha trasmesso un episodio della serie Yeh Hai Aashiqui liberamente ispirato alla vicenda della sua morte, con gli attori Mihika Verma e Rithvik Dhanjani nei ruoli di lei e Sooraj; in esso, la tesi proposta è quella del suicidio dell’attrice.