Interventi di Francesca Boschetti e Daniela Iorio
Vanita versus Vanitas
Vanità versus Vanitas è il titolo della mostra personale di Rossana Placidi. La mostra raccoglie una selezione di opere di scultura realizzate dal 1977 ad oggi.
“La vanità è intesa qui come il desiderio di esibire la propria capacità e confrontarsi con un pubblico anche sconosciuto”, dice l’artista, “è intesa inoltre come vanitas, cioè quella impermanenza del reale che la scultura, e l’arte in generale, tenta di combattere fissando nella materia i pensieri, le emozioni, le sensazioni e le immagini che sarebbero destinati a svanire per sempre”.
La storica d’arte Francesca Boschetti e la scrittrice e psicoterapeuta Daniela Iorio ci raccontano l’arte di Rossana nei due testi pubblicati nel catalogo della mostra disponibile in galleria, che potete leggere di seguito.
Mente - Cuore - Istinto
Rossana Placidi inizia ad avvicinarsi alla scultura giovanissima, a soli 16 anni. Passo dopo passo,
arricchisce le sue conoscenze specifiche frequentando diversi corsi, che aggiungono nuove possibili
direzioni alla sua ricerca. Nel tempo le sue preferenze si orientano con decisione verso la creta,
dunque la modellazione “per via di porre”, come la definiva Leon Battista Alberti nel De Statua,
alla quale si affianca più recentemente la pietra leccese, materiale duttile, che la invita a
confrontarsi con la scultura “per via di levare”. Raramente appare il colore ad accompagnare
l’andamento dei volumi.
Nel corso degli anni la sua produzione si articola in tre filoni distinti, tutti presenti in mostra, che
possiamo definire d’après, figurativo-realistico e zoomorfo.
Il primo filone è figlio della mente e racconta le scelte estetiche di Rossana, che seleziona opere di un passato più o meno remoto, con cui misurarsi. Non solo sculture, dalla statuaria greco-romana a Rodin fino a Francesco Messina, ma anche capolavori della pittura, che richiedono un’operazione di traduzione dalla bidimensionalità alla terza dimensione. Conquistano così lo spazio circostante figure desunte dalle pitture rupestri del paleolitico, da Bosch, Munch, Picasso.
Il secondo filone è figlio del cuore e ripercorre fedelmente le sembianze di persone amate, la figlia
Silvia, il nonno Giulio e Fred Buscaglione, un intruso all’apparenza, in realtà un personaggio che
appartiene all’infanzia di Rossana.
La perizia con cui sono definiti i tratti somatici e i minimi
dettagli mira ad un realismo estremo e svela i gesti attenti, facendo immaginare le sue mani che
ripercorrono i sentieri della memoria, accarezzando la creta con affettuosa dedizione.
Il terzo filone è figlio dell'istinto e dà vita a forme zoomorfe: dettagli di fiori, forse di corpi,
strutture complesse che avviluppano lo sguardo in circuiti imprevisti e lo conducono lungo le linee
dinamiche dell’immaginazione. Sono volumi plasmati da mani danzanti, che rievocano la sensualità
botanica di Georgia O’Keefee e suggeriscono una decifrabilità immediatamente negata, quasi
fossero totem che alludono a riti segreti. È questo il filone che attinge le energie creative più in
profondità e rivela un’urgenza espressiva da tenere accesa e da nutrire.
(Francesca Boschetti)
Nasce nella pietra la scultura di Rossana Placidi: è nella pietra che nasce come opera d'arte e, poi,
forte degli insegnamenti profondi che ha assimilato, è con la pietra che ispirazione e fantasia si
coniugano in opere sempre più mosse.
E' la pietra leccese la pietra che accoglie la mano di Rossana e se ne fa trasformare: dal blocco alto
70 cm, che diviene una stilizzata ma non per questo meno seducente verticalità di linee sinuose che
si rincorrono, Armonia verticale, a quello che diviene La metamorfosi, alto 40 cm, ovvero la prima
comparsa di un motivo che rimarrà caro alla scultrice dove l'elemento vitale mantiene il suo segreto
nel farsi vegetale e, poi, animale e umano. E al blocco più piccolo e sottile che ben si presta a una
sintesi perfetta nella forma circolare che acquista, dove si alternano il ruvido e il liscio: si chiama,
questo disco, Natura e cultura. Una sintesi, dicevo, perché le due modalità scultoree formano una
felice accoppiata più che una coppia di opposti. Anche se in successive, più complesse, opere il
ruvido e il liscio servono all'analogo scopo di differenziare due entità, come il maschile e il
femminile, l'esito artistico riesce sempre a passare dall'una all'altra come in una trasposizione
musicale, più che dare luogo a una polarizzazione netta. Un contributo pregevole, e incantevole, a
un'apertura al dialogo, o all'incontro o all'Abbraccio, anzi, come è intitolata un'altra opera sulla
dualità, che sembra essere una delle cifre più distintive di quest'artista.
E quando passerà per lo più alla creta in opere di stupefacente solidità già allo sguardo la scultrice
raggiunge un alto livello estetico in un'opera che ha richiesto un grande lavoro e l'azzardo di
tecniche nuove, La conchiglia dove, in creta colorata, si alternano le due modalità contrastanti in
una sorta di 'vela' fortemente convessa e una cavità ricca di elementi interiori.
Tornando un'ultima volta alla pietra leccese, un posto del tutto particolare occupa un altro blocco
basso e quadrato, un cubo compatto adibito a una Ricerca della forma, che sfoggia una bellissima
curva come fosse uno studio per un capitello antico. L'associazione che l'emozione per quel tratto
sontuoso eppure lieve porta a fare è alle cosiddette Cariatidi di Amedeo Modigliani quando l'arte
classica bussa alla porta del pittore del Novecento rivoluzionario dell'arte. Bello ritrovarne un tratto
nella scultrice di oggi.
(Daniela Iorio, scrittrice, psicoterapeuta, autrice del libro “Arte per mano femminile. Una
prospettiva personale”.)