Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro
Una iniziativa di "Diari di Cineclub"
Henri Garat
I dimenticati, 5. Henri Garat [Diari di Cineclub n°24, I 2015, p. 9]
Di
Virgilio Zanolla
Ogni epoca ha i suoi gusti, ogni età i suoi divi.
Agli albori degli anni Trenta, nel
decennio in cui il culto della bellezza fisica nel cinema avrebbe raggiunto
l’apice, nella Francia del presidente Doumergue ebbe inizio la stagione divistica
di Émile Henri Camille Garassu in arte Henri Garat.
Nato a Parigi il 3 aprile
1902, figlio di un attore d’operetta d’origine rumena e una cantante lirica
israelita, Garat aveva lo spettacolo nel sangue, tanto che a neppure un anno era
già apparso in scena; però solo nel ’20, dopo aver svolto vari mestieri, grazie al
bell’aspetto venne assunto come boy al Casino de Paris e figurante al Moulin
Rouge.
Sapeva cantare, e nel ’26 ebbe la prima grande occasione rimpiazzando
Maurice Chevaliernell’operetta Ça, c’est Paris a fianco di Mistinguett: fu
l’inizio di un’intensa attività teatrale, che nel ’28 lo portò per la prima volta
davanti alla macchina da presa nel film L’Île d’Amour di Jean Durand e Berthe
Dagma.
Da allora la sua carriera si sviluppò con ritmi sfolgoranti: tanto che, con
l’avvento del sonoro, nell’àmbito della commedia musicale Garat tenne testa
allo stesso ‘roi’ Chevalier, imponendosi nel ruolo di bel giovane scanzonato in
film come Le chemin du Paradis di Wilhelm Thiele e Max de Vaucorbeil (’30),
a fianco di Lillian Harvey, Le congrès s’amuse di Erik Charell e Jean Boyer e Il
est charmant (’31) di Louis Mercanton, che ne fecero un principe azzurro,
l’idolo del pubblico femminile, e lo portarono all’estero, prima a Berlino, dove
interpretò The Congres Dances (’32, versione anglo-tedesca de Le congrès
s’amuse diretta dallo stesso Charell) accanto a Lilian Harvey e Lil Dagover, poi
a Hollywood, per Adorable di William Dieterle (’33, versione americana di un
altro suo successo, Princesse, à vos ordres di Hanns Schwarz e Max de
Vaucorbeil) accanto a Janet Gaynor.
Di successo in successo, Garat ebbe come partner alcune delle più note attrici francesi dell’epoca, da Meg Lemonnier a Danielle Darrieux a Jacqueline Delubac, e lanciò motivi famosissimi, tuttora ascoltati, che fecero sognare stuoli d’ammiratrici: «Je t’aimerai toujours, toujours», «Avoir un bon copain», «La biguine», «C’est un mauvais garçon» (dal film omonimo di Jean Boyer, del ’36), «J’ai donne mon coeur aux femmes»... Acclamato, ricchissimo, Garat riceveva dalle ammiratrici una media di 200 lettere al giorno; divideva il tempo libero tra le sue due più grandi passioni, le donne e le automobili: sulla sua auto aveva fatto impostare la suoneria del clacson con le quattro note iniziali del popolare ritornello de Le chemin du Paradis; possedeva anche uno yacht e un aereo e acquistò perfino un castello in Normandia. A rovinarlo furono la smania per il gioco, le donne e la cocaina: la seconda delle sue quattro mogli, la contessa russa Marie Tchernycheff-Besobrasoff, sposata nel ’39, durante la guerra si rivelò una collaborazionista della Gestapo e causò all’attore un sacco di guai; nel ’44 per disintossicarsi egli si rifugiò in una clinica svizzera.
Nel dopoguerra Garat era
ormai un’altra persona: ma anche il cinema era cambiato, e in esso purtroppo lui
non trovava più posto. Tentò di nuovo la strada della rivista: nel ’50 scrisse al
commediografo Albert Willemetz, autore dei testi di tanti suoi successi,
proponendosi per la rinnovata Revue de l’Empire a fianco di Arletty, ma le parti
erano già state assegnate; toccato per la sua precaria situazione economica,
Willemetz gli inviò 500 franchi. Garat riprese comunque a cantare, esibendosi a
Parigi e in Costa Azzurra, una volta anche in coppia con la sua ex partner Lillian
Harvey, e finì con l’aggregarsi ad un circo.
Intanto, nel ’51 si era sposato per la
quarta e ultima volta, e aveva avuto un figlio, Marcel; coinvolto in diversi guai
giudiziari, dopo un’esperienza poco fortunata con la gestione di un negozio di
giocattoli, chiamato Le chemin du Paradis in ricordo del suo primo grande
successo cinematografico, venne abbandonato anche dalla consorte e dal figlio.
La morte lo colse all’ospedale di Hyères il 13 agosto del ’59; l’idolo
d’impiegate, operaie e sartine negli anni che precedettero il Fronte Popolare
aveva appena cinquantasette anni.