Sul filo del sentimento
La felicita'
...io so dove sta...
Parte seconda
di Roberto Bonsi
Dopo la parentesi estiva, riprendiamo ora il nostro precedente e naturalmente per iscritto discorrere sulla felicità “tout-court”.
Ci sarebbero un “mare magnum” di cose da scrivere e da elencare, ma lo spazio è risaputo è sempre un po’ tiranno.
Esiste dunque una definizione perlomeno scientifica sulla felicità?
Secondo alcuni la stessa non esiste perché non è possibile protrarre a lungo tale positività nell’uomo.
La felicità non può esistere come stato durevole in quanto la vita ci pone spesso davanti a degli ostacoli e a delle situazioni che si devono superare, e non sempre ci si riesce appieno, e tutto questo porta inevitabilmente verso uno strato di prostrazione che comprensibilmente è l’antitesi della felicità stessa. Il suo nel nostro intimo, e nella nostra coscienza è solo uno stato temporaneo, è quindi di fatto è un che di distopico che appartiene alla quotidianità del nostro vivere, e più semplicemente è un attimo di sola natura esistenziale.
La felicità è però suddivisa in tre precisi strati, in quanto i nostri fattori emotivi vanno da una parte minima (il dolore) ad una parte media ( la serenità), così tanto inseguita ed ambita, ed infine la parte massima (la gioia).
Secondo lo scrittore francese Geoges Bernanos (Parigi: 1888, Neuilly -sur -Seine1948): -“Gioire della gioia che si può trovare negli altri, è il segreto della felicità”-. Siete d’accordo?.
Una persona per sua natura, oltremodo empatica può di certo aderire alla tesi proposta da Bernanos, ma la felicità intesa come tale possiede tante e tante sfaccettature da dover opportunamente scrivere uno o più libri, e nella prima parte del nostro articolo che sempre potete rileggere, fra gli altri, chi scrive ha menzionato il torinese professor Paolo Crepet, psichiatra e sociologo di chiara fama soprattutto televisiva, ed è risaputo che tale fama “allarga gli orizzonti” di chi si presta come “attore” in una certa situazione massmediologa, creando così “mostri”, ma anche autorevoli e seguiti personaggi di valore, ed il Crepet è uno di questi.
Vi ricordate di Stendhal?. Ora usiamo piacevolmente qualche rigo per lui. Questo scrittore francese noto anche per l’effetto “sindrome” che abbiamo ereditato ed espresso con il suo nome d’arte, in realtà si chiamava: Marie-Henry Beyle (Grenoble: 1783-Parigi: 1842), è stato autore di romanzi epici, tra i quali: “Il rosso e il nero”, “La Certosa di Parma”, Vanina Vanini, Cronache italiane”, Roma, Napoli e Firenze”, “Passeggiate romane”, “Memorie di un turista”, e cosi via … . Stendhal ha ritenuto osservare quanto la sola bellezza, sia di fatto una promessa di felicità.
Emile Zola, noto ed apprezzato giornalista e scrittore, anch’egli francese, molti anni più tardi, ebbe quasi a rispondergli: -“La bellezza ha promesso la felicità?. Non credo. Ha promesso la verità, e la questione è sapere se con la verità si farà mai la felicità?”
Il 265 Arcivescovo di Roma Capitale e vi scriviamo del Papa emerito Benedetto XVI, ebbe a dire: -“Se il Buddismo seduce è perché sembra un promessa di toccare l’infinito, la felicità, senza avere obbligazioni religiose concrete. Una spiritualità erotica in qualche modo”.
A suo tempo, il “Vate” per eccellenza, l’abruzzese Gabriele D’Annunzio, scrisse una ben nota poesia sulla bella città di Ferrara, e tale componimento recita così nell’ incipit: “O deserta bellezza di Ferrara, ti loderò come si loda il volto di colei che sul nostro cuor s’inclina per aver pace di sue felicità lontane”-.ù
Un altro scrittore francese, Baudelaire (Parigi: 1821-Parigi 1867) , autore tra gli altri, del celebre: “I fiori del male”, scrisse: “Ci sono tanti tipi di bellezza quanti sono i modi abituali di cercare la felicità”.
Ma ora basta scrivere e parlare di questa pur “sacrosanta” felicità, ora cercatevela da soli, forse è la miglior cosa!. Siamo stanchi di scriver di essa, ora vogliamo solo lunghi momenti di meritata serenità, o almeno così si crede, ma anche la serenità fa parte della ricerca infinita dell’uomo in quanto tale, questo nell’intimo del suo cuore e della sua mente. Sempre tornando a Baudelaire, comprendiamo che l’essere umano è da sempre fortemente diviso tra lo “Spleen” e l’ “Ideal”, e la felicità è racchiusa in questo ultimo contesto di natura filosofico-esistenziale.