19 agosto: Giornata Mondiale della Fotografia
Dal dagherrotipo ad oggi : evoluzione, involuzione
Photoshop
di Guido Alberto Rossi
Secondo me Photoshop è un po' come una pistola, se usata per difenderti da orde selvagge è positiva, se invece viene usata per una rapina nei tuoi confronti è negativa.
Photoshop se lo usi per aggiustare una vecchia foto il cui negativo ha seri graffi o per migliorare il colore di un’immagine ormai sbiadita secondo un codice deontologico, non scritto, può andare bene, ma se incominci a modificare la foto inserendo o togliendo oggetti, persone etc. esistenti nello scatto allora è male, se poi è un’immagine di fotogiornalismo è peccato mortale, truffa e vilipendio perché metterebbe in discussione tutta la veridicità di una foto e a lungo andare non si potrebbe più credere all’occhio imparziale della macchina fotografica.
Recentemente all’assegnazione di un importante premio fotogiornalistico, la foto vincente è poi stata squalificata perché il fotografo ha “ripulito” con Photoshop una fotocamera abbandonata in un angolo dell’immagine, particolare ininfluente nel contesto della foto, ma concetto inammissibile nelle foto di news.
Invece per le foto pubblicitarie tutto è consentito, sono comunque studiate, progettate, costruite e posate, quindi se togliamo i brufoli dal fondo schiena di una modella, va bene. Peccato per Nino Mascardi che quando ha scattato la famosa campagna per il marchio Roberta (art director Gianni Venturino) non esisteva Photoshop e quindi il lato B della modella doveva essere perfetto e senza brufoli. Immaginate quanto casting è stato necessario: decine di modelle in mutande prima di trovare quella giusta.
Credo che con l’invenzione di Photoshop alcuni fotografi siano quasi più bravi nella postproduzione (così si chiama il lavoro al computer per sistemare i file fotografici) che non dietro la macchina fotografica. Se fate caso a moltissime immagini di viaggio pubblicate nei periodici vediamo dei cieli con colori finti come il presepio che però vanno di moda e francamente non so se è colpa del fotografo o del picture editor (quello che sceglie le foto in una rivista) con il cattivo gusto. Certo è che queste schifezze fotografiche non si vedono stampate nelle belle riviste.
Ovviamente più il fotografo è bravo e meno deve intervenire in postproduzione, ho diversi amici bravi che scattano e consegnano il lavoro così com’è stato scattato, altri invece meno bravi che passano ore davanti al computer per sistemare foto scadenti già in partenza.
Nelle foto scattate per le agenzie di stock generico Photoshop può essere un amico importante a rendere magari irriconoscibile alcune persone fotografate in un contesto. Personalmente ho fatto “inventare” dal mio amico Franco Bestetti le facce ed il croupier che sono presenti intorno ad un tavolo da gioco scattata in un casino di Las Vegas, spero di essere perdonato dai puristi dell’immagine comunque meglio condannato da loro che citato per danni da un giocatore riconoscibile anche dalla moglie ignara, che lo pensava al lavoro. Non era comunque una foto di news e quindi la mia coscienza è a posto.
C’è stato un fotografo che per gioco ha creato una modella inventata e costruita con tanti pezzetti di altre belle ragazze solo per dimostrare la flessibilità e potenza della tecnologia.
Recentemente l’artista/fotografo Mike Winkelmann, detto Beeple, ha venduto un enorme JPG creando un’opera fotografica composta da 5.000 token (lucchetto digitale basato sulla Blockchain che ne fa un pezzo unico) a Settanta milioni di dollari USA tramite la casa d’aste Christie’s, aprendo così una porta importante alla Crypto Art.
Oggi moltissimi fotografi che creano foto artistiche nella expertise delle foto specificano se è stato utilizzato o no Photoshop.
Non so se è nato prima il file fotografico digitale o Photoshop o se addirittura sono gemelli monozigoti, comunque sia, sono complementari ed inseparabili. Ovviamente il digitale ha facilitato enormemente la vita dei fotografi professionisti bravi ma purtroppo ha anche permesso a dei fotografi asini di proliferare correggendo poi i loro disastri di ripresa con Photoshop.
Ma se facciamo un bilancio tra pro e contro il digitale direi che i pro battono i contro un milione a uno. Basta pensare alle foto fatte con i cellulari, ci permettono di documentare momenti importanti o divertenti della nostra vita, come poi verranno conservati e passati ai posteri è un altro discorso.
Nel fotogiornalismo lo scatto in digitale ha permesso di scattare una foto e trasmetterla in tempo reale ad un giornale o agenzia fotografica che poi sempre via internet la diffonde in ogni angolo del globo, in molti casi può arrivare prima il file della foto di un disastro dall’altra parte del mondo che il camion dei pompieri.
Ovviamente questa tecnologia è andata a vantaggio della commercializzazione delle foto, oggi fotografi e agenzie si scambiano milioni di foto e tutti i fotografi, anche quelli asini, possono farsi un sito e finire nel web, sperando di vendere delle immagini, prima o poi troveranno qualcuno a cui piace il loro lavoro.
La cosa più impressionante è stata la velocità con cui il digitale e internet hanno sostituito la vecchia cara pellicola diapositiva. Basta pensare che nel 2003 tutte le agenzie fotografiche avevano archivi pieni con milioni di foto analogiche e nel 2004 era più facile trovare un pollo grasso in Etiopia che una diapositiva in giro per le redazioni. Grazie anche alla facilità d’archiviazione dei file nei server dell’agenzie si è creata un’offerta di fotografie maggiore della richiesta del mercato, così è nata la Prima guerra mondiale dei prezzi delle foto. Molte grandi agenzie hanno immediatamente detto di amare i loro fotografi, sposando così lo slogan delle multinazionali degli hamburger che dicono di amare i loro vitelli.