Foto dall'alto e un elicottero che salva una vita
In volo sul Nepal
di Guido Alberto Rossi
Come ben sappiano ci sono giorni fortunati e giorni terribili dove non va niente per il verso giusto, iniziando dal mattino quando ti tagli facendoti la barba.
Un imprecisato giorno dell’ottobre del 1994 è stata la giornata fortunata della signora Johnson, psicologa di Boston USA, fortunata al punto che grazie al fatto che passavo di lì per caso (nota frase) in elicottero, non è morta.
La storia inizia a Milano, quando il Touring Club mi affida l’incarico di fare un reportage per illustrare la Guida Blu del Nepal, ma accorciamola di 6.816 km (distanza Milano-Katmandu) e partiamo dalla mattina del giorno fortunato di Mrs. Johnson, turista americana colpita dal mal di montagna o malattia da altitudine in coma a 3.750 metri di quota a Namche Bazaar.
Eravamo in elicottero, (plurale) perché oltre al pilota, comandante Pun c’era anche Laura e volavamo nella zona dell' Everest, avevamo appena fotografato il lago Gokyo a 5.700 mt di quota, che era la massima altezza o tangenza che poteva raggiungere il nostro biturbina, quando riceviamo una chiamata di soccorso dalla torre di controllo del Syangboche Airport, l’aeroporto più alto del mondo.
Ci dicono che un turista sta male e se possiamo intervenire, Pun non si scompone e mi dice che il più delle volte è qualcuno che ha preso alla leggera la salita e stanco non ne vuol più sapere e cerca un passaggio, ma siccome sono io che dispongono del velivolo sta a me decidere. Gli dico che possiamo intervenire se ci danno cinquemila dollari (costo del volo), ovviamente era una italica bugia solo per tastare il terreno, rispondono immediatamente che va bene e quindi scendiamo a Syangboche.
Appena fermate le pale dell’elicottero vengo assalito da una giovane americana sull' orlo dell’isterismo che mi dice: Mrs. Johnson, psicologa di Boston è in coma, le rispondo che anche se era Mr. Smith, idraulico di Dallas le avrei dato una mano se potevo. Arriviamo al margine della pista dove la signora Johnson incosciente, infilata in un tubo Zodiac che fa da camera iperbarica è assistita da una giovane dottoressa Francese in tenuta da trekking. Ovviamente è una situazione grave e bisogna fare in fretta, possiamo solo salvarla se scendiamo a Kantmandu il più velocemente possibile, ma Pun mi prende da parte e mi informa che se la signora muore possiamo essere ritenuti responsabili con grane e richieste danni al seguito. Ovviamente è una scelta difficile che viene risolta dalla nostra dottoressa Francese, di cui purtroppo non ricordo il nome, (ma che d’ora in poi chiamerò Marianne) la quale si prende non solo la totale responsabilità ma decide di accompagnarci e assistere Mrs. Johnson durante il volo, lasciando marito e compagni di viaggio e dopo aver faticato una settimana per arrivare ai piedi del Everest e giocarsi il resto della vacanza rimasta nello smog di Katmandu.
La nostra psicologa in coma era una grande e grossa signora di mezza età che sicuramente aveva preso questa impresa come una passeggiata nel parco e adesso era più di là che di qua. Cerchiamo in tutti i modi d’infilare il tubo Zodiac nell’elicottero senza successo, alla fine Marianne decide di sfilarla dal tubo e metterla alla bello e meglio sul pavimento tra i sedili, darle una mascherina d’ossigeno che le verrà tenuta appiccicata alla faccia da Laura. Salutati velocemente coniuge e amici Marianne balza a bordo, decolliamo e giù a manetta verso il fondo della valle.
Durante il volo che sarà durato circa mezz’ora Marianne si prodiga con iniezioni, pizzicotti ai capezzoli e forse anche una preghiera, che è tutto quello può fare in questa situazione.
Intanto Pun avvisa Katmandu della situazione e all’atterraggio c’è un’ambulanza e funzionari dell’ambasciata USA che scaricano Mrs. Johnson e senza neanche dire grazie a Marianne che le ha salvato la pelle se ne vanno.
Alla sera abbiamo mangiato e bevuto insieme a Marianne, contenti come se fosse Natale di aver conosciuto una persona super meravigliosa come la nostra dottoressa. Della signora Johnson non abbiamo più avuto notizie, se non che si era salvata senza un merci, cher Marianne.