#275 - 28 novembre 2020
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Racconto

Può capitare a ognuno di noi, una volta nella vita,
di essere un vagabondo

Il vagabondo

di Ruggero Scarponi

Se c’era una cosa che il Comandante Jakob non sopportava, erano i vagabondi, i barboni e i vagabondi.
Aveva per essi un profondo disprezzo e sognava il giorno in cui la sua città ma in verità, ogni città, ne sarebbe stata liberata una volta per tutte.
Questa sua ripugnanza lo aveva spinto, quando era ancora giovane, ad arruolarsi nella milizia volontaria per l’ordine e il decoro urbano, una sorta di corpo para-militare, benevolmente tollerato dalle Autorità e che agiva in nome e per conto di un misterioso “bene comune”.
C’è da dire che il comandante Jakob, divenuto comandante di una formazione della milizia, non si era mai macchiato di crimini ai danni dei poveretti che abitavano per le strade.
Come esigeva il regolamento si era limitato a denunziare, alla Pubblica Sicurezza, i vagabondi senza fissa dimora.
Tuttavia qualche episodio c’era stato. Qualche rissa, qualche bastonatura ma niente di particolarmente efferato, qualche ammaccatura, sì, ma senza spargimento di sangue.
Certo che al Comandante Jakob prudevano le mani e sognava il giorno in cui avrebbe ricevuto dal Governo l’autorizzazione a fare a modo suo.
Sognava questo momento e tante volte si era perso a fantasticare ad occhi aperti.
Desiderava, senza falsi pudori, di picchiare selvaggiamente quei reietti, quei rifiuti della società per scaricare su di essi la rabbia che loro stessi gli suscitavano con il loro comportamento anti-sociale e sognava altresì una società rinnovata, ripulita e perfettamente ordinata.
Ogni sera, dopo il lavoro, quando a casa indossava la divisa di Comandante della Milizia, prima di uscire per il servizio di ronda, sostava a lungo davanti allo specchio godendosi lo spettacolo prodotto dallo scintillio delle placchette metalliche, dei distintivi, delle decorazioni rilucenti di oro e d’argento. E i pantaloni lisciati con una piega diritta che finiva dentro a dei lucidi stivali in pelle nera.
Gli sembrava che quello, la sua stessa figura, fosse l’emblema della pulizia, dell’ordine e del bene comune.
Un sabato sera, poco prima della mezzanotte, il Comandante Jakob stava rientrando a casa al termine del servizio. La giornata era stata piuttosto intensa e movimentata. Infatti, dopo il lavoro, aveva partecipato a un raid contro i vagabondi che bivaccavano presso dei monumenti storici. Qualche insulto e qualche pugno era volato da una parte e dall’altra ma poi, l’organizzazione, il numero e la protezione discreta della polizia aveva consentito al Comandante Jakob e alla sua milizia di avere la meglio su quei poveracci.
Appena rientrato a casa il Comandante Jakob, assai stanco, si mise a letto e si addormentò sereno ripassando sul filo del sonno le immagini esaltanti di quella giornata.
Ma nel mezzo della notte, un logorio, un fastidio, un tedio angoscioso avevano preso posto nei sogni del Comandante Jakob facendolo smaniare come se avesse sullo stomaco una cena mal digerita.
E così ben prima dell’alba, dopo aver scalciato e rovesciato le coperte sul pavimento si era risvegliato tutto sudato e gravato da un’oppressione fisica e mentale.
Stanco di girarsi e rigirarsi nel letto, provò a sollevarsi su un fianco e ad accendere la lampada sul comodino.
Ne ebbe un momentaneo sollievo.
Era stanco, assonnato, con gli occhi pesti a causa di una forte emicrania. Aveva la nuca completamente bagnata di sudore e provava fastidio al contatto con la federa del cuscino. Allora, insofferente, decise di alzarsi.
Andò prima ad urinare in bagno e poi in cucina, dove prese dal frigorifero una bottiglia d’acqua. Ne versò in un bicchiere che bevve d’un fiato. Si sentì meglio. L’acqua fresca aveva dileguato il calore che l’aveva infastidito durante il sonno.
Anche l’emicrania gli dette tregua.
Girellò un poco per la cucina e senza nessun motivo si mise a guardare all’esterno dalle imposte semi-chiuse di una finestra. Era ancora notte fonda e di fuori non girava anima viva.
Poi, d’improvviso, scorse un’ombra con la coda dell’occhio.
Si fece attento, scrutò e infine riuscì a distinguere abbastanza bene il profilo di una figura accoccolata in terra, sugli scalini d’ingresso della sua abitazione.
Guarda, guarda, mormorò tra sé, e questo che ci fa a casa mia?
Volle osservare meglio per essere sicuro che quello che aveva visto fosse davvero quello che credeva.
Con circospezione aprì la finestra, badando a non fare rumore, fece capolino con la testa e a quel punto ebbe chiaro che sugli scalini di fronte alla porta d’ingresso si era rannicchiato tutto ravvolto in un vecchio cappotto, il misterioso personaggio.
Un vagabondo! Esclamò eccitato il Comandante Jakob.
Un vagabondo, qui, a casa mia! Esclamò di nuovo, quasi incredulo.
L’uomo sembrava essersi assopito in maniera istantanea e dormiva profondamente.
Il Comandante Jakob si ritrasse senza far il minimo rumore, riportò l’imposta nella posizione in cui si trovava qualche minuto prima e senza accendere la luce nella stanza, restò immobile, pensieroso.
Si sforzava di escogitare qualcosa di particolarmente ingegnoso e punitivo, qualcosa che l’indomani avrebbe potuto raccontare, pieno di orgoglio, agli uomini della sua formazione.
Deve essere qualcosa di rapido, pensava il Comandante, d’imprevisto. Qualcosa, pensò, che lo faccia trasalire per lo spavento.
Qualcosa che gli lasci un segno indelebile e che possa rappresentare un monito per tutti quelli della sua categoria.
Il Comandante Jakob tornò ancora un momento alla finestra per assicurarsi che il vagabondo fosse ancora nella medesima posizione.
Rapido si decise. Si rivestì di tutto punto con la divisa di comandante della milizia e poi, gongolando di piacere, prese in mano uno scudiscio di cuoio pregustando l’uso che ne avrebbe fatto di lì a poco.
Così abbigliato uscì cauto sull’uscio di casa.
Il vagabondo non si era accorto di nulla e sembrava dormire tranquillo.
Il Comandante Jakob gli arrivò silenzioso alle spalle.
Ora poteva ascoltarne il respiro grosso.
Che impudente, pensò, venire proprio a casa mia. Non è solo un vagabondo costui, costui è di certo un provocatore.
Il Comandante Jakob era incerto sul da farsi. A quell’ora della notte, infatti, se avesse agito come aveva pensato di fare e cioè, svegliando con urla e insulti l’intruso per poi percuoterlo con durezza, avrebbe di sicuro messo a soqquadro l’intero quartiere.
Molti dei vicini che si stavano godendo le ultime ore di sonno della notte non è detto che avrebbero presa bene la cosa.
Intanto, però, constatò con stizza che il vagabondo continuava a dormire sugli scalini di casa sua e che lui, ancora, non era riuscito a far nulla.
Si sentì ridicolo nella sua divisa da capo della milizia che solo pochi minuti prima s’immaginava avrebbe intimidito e fatto sobbalzare di spavento il poveraccio.
Questo senso d’impotenza gli fece montare una rabbia feroce.
Percorse con lo scudiscio le spalle infagottate del vagabondo e pure la testa, nascosta da un cappellaccio di feltro vecchio e malconcio.
Le mani gli prudevano e dovette serrare le labbra per reprimere il desiderio di pestarlo a sangue.
Ma quello dormiva e non sembrava intenzionato a svegliarsi.
Il Comandante Jakob era frastornato. Non riusciva a credere che avendo a disposizione per la prima volta uno di quei maledetti pezzenti, cui rifilare, con pieno diritto, stavolta, una memorabile lezione, non potesse approfittarne per il solo fatto di non turbare la quiete pubblica.
A malincuore, si risolse, il Comandante Jakob a rientrare a casa per cercare di riprendere il sonno interrotto con la ferma intenzione di mettere in atto il suo progetto l’indomani mattina, al risveglio, quando ormai l’intero quartiere era in piena attività.
In tal caso scacciare con insulti e percosse l’indesiderato avrebbe di sicuro suscitato l’approvazione dei vicini.
E quindi, suo malgrado, ripiegò sull’uscio di casa e mentre si voltava per dare ancora un’occhiata al vecchio addormentato si ricordò all’improvviso come in un flash rapido e istantaneo, un fatto sepolto tra i ricordi da molti anni.
Ne fu turbato perché l’aneddoto che gli era salito alla memoria aveva delle analogie con la vicenda di quella notte.
Tutto si era svolto ai tempi dell’università.
Una sera si era attardato a fare un po’ di baldoria con i suoi compagni di corso e rientrando ben oltre la mezzanotte aveva trovato chiuso il portone del pensionato dove era alloggiato.
Infatti le regole dell’abitazione dettate dalla terribile signorina Snauzer, una vecchia zitella inacidita, proprietaria dell’immobile, erano tassative, il rientro serale era fissato entro le ore ventitré, senza eccezioni e derogare a tale disposizione equivaleva a dormire fuori.
Pertanto il giovane Jakob accortosi di essere arrivato tardi e non avendo l’ardire di svegliare la terribile zitella si era trovato costretto ad accomodarsi sui gradini dell’abitazione per tentare di dormire un poco in attesa che il portone venisse riaperto al mattino.
E quale fu la sua sorpresa quando al risveglio si trovò accanto, sullo scalino, un vassoietto con una tazza di caffè fumante, una brioche e un biglietto sul quale stava scritto, potevi suonare, stupido!
Al ricordo di quell’episodio il Comandante Jakob sorrise commosso. Com’erano lontani quei tempi! Com’era lontana la sua gioventù e la terribile signorina Snauzer dall’aspetto burbero si era rivelata, all’occasione, una donna comprensiva e sensibile.
Il ricordo mise di buon umore il vecchio Jakob che tornato a letto si addormentò sereno fin quasi al mattino, quando si alzò ancora una volta per sistemare una certa cosa.
Poi con l’animo leggero attese il segnale della sveglia.
Quando uscì di casa il vagabondo non c’era più. C’era al suo posto un vassoietto con i resti di una colazione a base di caffè e brioche. E c’era anche un bigliettino sul quale c’era scritto, grazie!
Sorrise il vecchio Jakob nel raccogliere il vassoietto per riportarlo in casa. Scosse un poco la testa ripensando a quanto era avvenuto e poi, come ogni mattina, si preparò per andare in ufficio a lavorare.

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