Scelto tra i tanti film che meritano attenzione
il nuovo lavoro di Gianfranco Rosi
Dal Festival di Venezia
Notturno
di Federica Fasciolo
Leone d’Oro con Sacro Gra, Orso d’Oro e Nomination agli Oscar con Fuocoammare, il regista italiano Gianfranco Rosi è tornato al Festival di Venezia in Concorso con Notturno, girato sui confini fra Siria, Iraq, Kurdistan e Libano.
Racconta la quotidianità che sta dietro la tragedia continua di guerre civili, dittature feroci, invasioni e ingerenze straniere, sino all’apocalisse omicida dell’ISIS. Storie diverse, alle quali la narrazione conferisce un’unità che va al di là delle divisioni geografiche. Tutt’intorno, e dentro le coscienze, segni di violenza e distruzione: ma in primo piano è l’umanità che si ridesta ogni giorno da un “notturno” che pare infinito. Notturno è un film di luce dai materiali oscuri della storia.
"In Medio Oriente - sono parole di Gianfranco Rosi - durante le riprese del film, ho incontrato le persone che vivono nelle zone di guerra.
Ho voluto raccontare le storie, i personaggi, oltre il conflitto. Sono rimasto lontano dalla linea del fronte, ma sono andato là dove le persone tentano di ricucire le loro esistenze.
Nei luoghi in cui ho filmato giunge l’eco della guerra, se ne sente la presenza opprimente, quel peso tanto gravoso da impedire di proiettarsi nel futuro. Ho cercato di raccontare la quotidianità di chi vive lungo il confine che separa la vita dall’inferno."
Nel film la guerra non appare direttamente: lo spettatore ne avverte la presenza nei canti luttuosi delle madri, nei balbettii di bambini feriti per sempre, nella messinscena dell’insensatezza della politica recitata dai pazienti di un istituto psichiatrico.
Un cantore di strada intona le lodi dell’Altissimo. Un bracconiere fra i canneti e i pozzi di petrolio. La grazia delle guerrigliere peshmerga. I terroristi dello Stato Islamico in carcere. L’angoscia di una madre yazida per la figlia prigioniera. Alì, adolescente, che fatica per portare il pane ai suoi fratelli. I segni della violenza e della distruzione sono ovunque ma resta in primo piano l’umanità che si ridesta ogni giorno da un notturno che pare infinito.
Il film, tuttavia, non è un reportage sull'interminabile guerra che insanguina la regione perlomeno dall'invasione americana dell’Iraq e la guerra civile siriana, bensì una narrazione per immagini e incontri ravvicinati che costruisce un’unità “umana” al di là delle divisioni geografiche. Di questo stato di tragedia permanente Rosi mostra gli effetti accompagnando al tempo stesso con discrezione ed empatia donne, bambini e uomini in momenti cruciali delle giornate, lasciando a loro la parola, registrata in presa diretta, fra interni intimi e drammatici (case, carceri, ospedali) ed esterni segnati dalle divisioni, dai conflitti, da durezze e fatiche, ma anche da momenti di toccante condivisione.