#270 - 19 settembre 2020
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Arte

Pasta terrestre, destino celeste

Roma - Centro Artistico culturale - Storica Galleria La Pigna

Mutatio naturae

Le sculture di Pasquale Simonetti

Di Laura De Luca

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Ho sempre ammirato gli scultori per la loro dimestichezza diretta e schietta con madre Natura. Più dei pittori, che trattano in definitiva una materia mediata, quale è il colore che esce dal tubetto, costruito spesso in laboratorio, gli scultori si avventurano in un faccia-a -faccia impegnativo, il più delle volte fisicamente faticoso, con la materia bruta e grezza, nell’ardua missione di ingentilirla, trasformarla, renderla poesia.

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Pasquale Simonetti deve essere proprio nato scultore, con la vocazione cioè a questo confronto maschio e senza complimenti con materiali diversi, e la capacità di rispettarli in quanto tali traendo da essi il meglio, a cominciare dalla loro fratellanza con le origini stesse del nostro pianeta: gesso, rame, bronzo, basalto, acciaio, vari tipi di legno, dei quali individua e distingue non solo consistenza, modellabilità e friabilità, ma perfino profumo. Originario di Carbonara di Nola, provincia di Napoli, frequenta l’Istituto d’Arte del capoluogo campano e lavora per molti anni come operaio: altra manifestazione del suo rapporto intimo con la materia e dunque con il creato, umile e insieme nobile praticantato della sapienza delle mani.

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Parlando con Simonetti se ne riceve infatti la serena conferma che ogni scavo di qualsiasi materia da lui intrapreso finisce sempre per mantenere quello che promette. In Cosmo scalfito, ad esempio, il mix di rame, acciaio e legno riconduce alle stesse origini della vita sulla terra, e infatti il richiamo di quest’opera monumentale è al rispetto e alla salvaguardia del pianeta. In La Maschera, in basalto, affiorano ricordi della civiltà etrusca , e infatti l’enigmatico sorriso sembra restituire, fra loro sovrapposti, l’imperturbabile espressione delle statue italiche, ma anche l’ineffabile distanza-prossimità del sorriso de La Gioconda.

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In una essenziale sintesi di linee e di volumi, le sculture di Simonetti riassumono con semplicità tante suggestioni dell’arte italiana, inclusa la corposa tradizione classica, riattingendo indietro nel tempo fino alla eredità greco-romana, e tuttavia, pur nelle tre dimensioni, hanno poi la forza assolutamente inedita di alludere alla sintesi spregiudicata delle provocazioni del design italiano della metà del XX secolo: e così corposità della tradizione classica e leggerezza della grafica si “fondono” – è proprio il caso di dirlo – in un miracoloso esito di levità tridimensionale. Il marmo spicca il volo, il pesante si riscatta, ed è come se la terra –la pasta odorosa, dura e morbida della nostra maltrattata terra- si ricordasse in qualche modo, per tramite delle mani di Simonetti, del suo inevitabile destino celeste.

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