#256 - 8 febbraio 2020
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Editoriale

La Comunicazione

di Dante Fasciolo

Ne abbiamo parlato poco tempo fa,
ma sento la necessità di parlarne ancora.
In verità basterebbero poche parole,
ma ormai siamo immersi nella palude,
agitiamo le nostre parole, i nostri pensieri,
nelle sabbie mobili della comunicazione
che ama autodefinirsi moderna,
aperta, disponibile al confronto.

La realtà suona un’altra musica,
accordi dissonanti, note sconvenienti,
e gli spartiti sono imbrattati di umori maleodoranti,
di indicibili ed indelebili bugie
che spingono la vigliacca iniezione di veleno
nel tessuto fragile, impreparato,
a volte ingenuo di una società
troppo distratta, troppo presa
dalle quotidiane difficoltà della vita.

C’è chi guida con destrezza questo stupro,
e poco si può fare per arginarne la foga,
ma molto potrebbero fare i cosiddetti media,
cioè i giornali, che si prestano all’inganno
per cercare di arginale la loro caduta libera;
cioè la radio, che nasconde il ghigno mentre
amplifica nefandezze senza pudore;
cioè la televisione che esalta la lite,
la contrapposizione becera, e si fa eco
di insignificanti e superficiali richiami che ammaliano
con spot di poche parole ripetute alla nausea,
capaci di infervorare e armare di odio e vendetta
le periferie culturali, urbane e mentali.

Finte difese di principi,
incapacità nel procedere civile e sociale,
muovono i loro passi con scarponi chiodati
schiere di politici omuncoli padroncini
avvezzi a calpestare incuranti il prossimo,
forti della loro perniciosa
comunicazione al cianuro.

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