Televisione, gioia e dolore
Zapping
Frammenti semiseri di cronaca televisiva
di Luigi Capano
Abbiamo patito una massiccia overdose di cronaca politica in queste ultime settimane a causa delle tanto attese e sbandierate elezioni europee.
Nonostante ci fossimo impegnati in uno zapping frenetico e compulsivo proprio non si riusciva a eludere in nessun modo lo stucchevole predicozzo elettorale con il ricco contorno di promesse e buoni propositi. Ma, almeno nel nostro caso, la politica è un oppiaceo che non dà assuefazione. La campagna elettorale – sempre ossessiva e giaculatoria – amplificata a dismisura dai media, sembra voler ricondurre il teatro alle proprie antiche origini rituali. Perché, in effetti, del teatro e del rito sembra avere tutte le caratteristiche, almeno quelle prettamente esteriori.
Le maschere attoriali dietro le quali si nasconde non si sa chi, il proscenio sempre ben illuminato, il pubblico – sempre in mille modi blandito - che democraticamente è chiamato ad applaudire o a dissentire. E poi, le psichedeliche parole “mantriche”: gettonatissima la pregiata “integrazione” assieme al suo esecrato contraltare, il sordido “razzismo”.
Come sempre chi vince gongola e ringrazia e chi perde si lecca le ferite, cerca una spalla fraterna su cui piangere, oppure taglia corto e platealmente si dimette parodiando gli sventurati eroi delle tragedie greche.
Un rito in cui sono assenti gli dei ma, si sa, questo è il tempo degli stati laici e sull’Olimpo le pale eoliche rimpiazzano ormai gli antichi numinosi abitanti.
Puntuali come la morte anche in queste elezioni sono riapparsi i consueti fantasmi: fascismo, nazismo, nazifascismo. Che sembrano però aver fatto il loro tempo, visti i risultati del voto che ha premiato i presunti infestati di turno. Registriamo un’altra curiosa locuzione che gode di una certa diffusione tra i media: “parlare alla pancia della gente” utilizzata ambiguamente e con una certa versatilità a volte per riconoscere un talento comunicativo, a volte per stigmatizzare la ricerca di un facile consenso.
Da appassionati d’arte ci viene spontaneo immaginare una folla di creature teriomorfiche sortite dal mondo fantastico del fiammingo Hieronymus Bosch provviste di un enorme orecchio innestato sul bassoventre e, al posto della testa, un addome prominente e ricettivo. Una metafora icastica – se non grottesca - del rito laico della campagna elettorale e del suo democratico (apparente) protagonista: l’elettore tartassato - per più settimane - dalle insistenti e spesso suadenti opinioni dei partiti politici che a gran voce ne reclamano il voto salvifico e palingenetico.
Dato che siamo in vena di curiosità linguistiche ci soffermiamo appena, in conclusione, su un errore volgarotto diffuso inizialmente nel linguaggio televisivo ma che sta ormai assumendo dimensioni pandemiche.
Ci riferiamo alla locuzione “piuttosto che”: in lingua italiana è sinonimo di “anziché” ma viene spesso erroneamente usata con valore disgiuntivo ( come fosse “o”, “oppure”). L’errore, se democraticamente accolto, si tramuta “alchemicamente”nel suo contrario.