Il 666 notturno
di Ruggero Scarponi
Il vecchio autista gli mise una mano sulla spalla prima di parlare.
E così, ragazzo, ti hanno affibbiato il 666 notturno, vero?
Matchis, così si chiamava il giovane autista neo-assunto dalla società tranviaria, rispose svelto, si, me l’ha comunicato stasera il capo-servizio, appena ho messo piede nel deposito.
Che figlio di puttana! Esclamò Hurd, l’anziano autista, che gran figlio di puttana, aggiunse, rincarando la dose.
Conosco il tragitto, lo interruppe Matchis, me lo sono studiato sulla mappa, anzi, tra tante corse mi sembra la più semplice, in pratica, una volta usciti dal deposito, si raggiunge piazza di , si supera il ponte di e poi tutto dritto filato, fino all’ospedale provinciale. Lì c’è il capolinea. Non è difficile, me la posso cavare, anche se è la mia prima corsa senza assistente.
Uhm, bofonchiò il vecchio autista, e scommetto, soggiunse, che quel maiale del capo-servizio non ti ha detto nulla di quanto c’è dopo il ponte di, eh?
No, rispose il giovane, perché cosa avrebbe dovuto dirmi?
Beh, io non posso parlare, biascicò il vecchio, però una cosa te la dico lo stesso: qualunque cosa avvenga durante la corsa, tu non abbandonare mai la cabina di guida, qualunque cosa, mi hai capito? Lì sei al sicuro, concluse tetro.
Ce n’erano di dicerie su quella strana corsa, la più breve e la più semplice di tutte, il suo tragitto era diritto, su un lungo viale spazioso, con solo tre fermate in tutto. Eppure…di notte non la voleva nessuno e doveva essere regolarmente soppressa per mancanza di personale.
Matchis lo sapeva, ma Matchis era giovane e pieno di energie. E di dicerie e superstizioni sentiva di potersene sbattere. Era stato assunto con contratto a tempo indeterminato, ad appena diciannove anni, questo significava che avrebbe potuto avere tutto ciò che desiderava, un’auto tutta sua, fumo, il bar al sabato, con gli amici e anche una ragazza, magari anche una fidanzata. Il suo stipendio era di sicuro tra i più alti se confrontato con quello dei suoi coetanei. D’ora in avanti sentiva di essere un privilegiato. Il 666 notturno, dunque, non poteva rappresentare un problema, solo i vecchi e gli sciocchi potevano farsi suggestionare da storie di spiriti, zombie e anime dannate. Lui sarebbe andato per la sua strada senza timore perché era giovane, in buona salute e con tutta la vita davanti.
Alle 23,45, Matchis salì al posto di guida del 666 notturno. Spinse il pulsante dell’accensione elettronica. Il motore del bus si avviò silenziosamente. Prima d’innestare la marcia Ispezionò rapidamente i vari indicatori sul cruscotto e dopo essersi assicurato che tutto era in ordine pigiò sul pedale dell’acceleratore e subito il pesante mezzo si mosse.
Il giovane autista ebbe un brivido. Una piacevole euforia s’impossessò di lui. Ora, pensò, sono al comando, conduco da solo un mezzo che può trasportare fino a ottanta passeggeri.
Era immerso in questi pensieri quando giunse alla prima fermata, piazza di.
La piazza a quell’ora notturna era deserta, solo due sagome di esseri umani s’intravedevano a un angolo sotto la pensilina della fermata. Matchis fermò il bus e aprì le porte. Salì una donna, piuttosto malmessa che dava la mano a una ragazzina di forse dodici, tredici anni. La ragazzina, in particolare, quando gli passò davanti, sembrò a Matchis, incredibilmente pallida, con due occhiaie incavate che facevano un funereo contrasto su un visetto delicato, bello, incorniciato da una massa di capelli che sulle prime parvero biondi a Matchis, ma che subito poi, gli sembrarono bianchi.
La donna mostrò a Matchis due biglietti e insieme alla ragazzina andò a sistemarsi sui sedili di fondo. Da laggiù con una voce roca, quasi cavernosa che si sforzava però, di essere passabilmente normale, chiese:
E’ vero che questo mezzo fa capolinea all’ospedale? Debbo portarci mia figlia, è diabetica e sta avendo una crisi.
Si, signora, si affrettò a rispondere Matchis, ma scusi se m’intrometto, non poteva chiamare un mezzo di soccorso, avrebbe fatto più in fretta.
La donna non rispose subito, sembrava intenta alla figlia che nel frattempo si era appoggiata con la testa sul grembo della madre, mentre lei le accarezzava i capelli, simili a cascami, con mani grosse e rozze.
L’ambulanza, non posso chiamarla, disse dopo una lunga pausa, è un servizio privato e siccome siamo clandestini, senza denari, non ci avrebbero raccolto. Comunque, da qui, quanto ci vuole per l’ospedale?
Secondo la tabella di marcia sono ventinove minuti, disse Matchis, ma farò il possibile per fare più in fretta.
Intanto Matchis aveva avviato nuovamente il mezzo. Ora stava percorrendo la piazza in tutta la sua lunghezza prima di compiere una breve curva, quasi ad angolo retto, l’unica curva di tutto il percorso che lo avrebbe immesso nel viale fino al ponte di**.
Matchis spinse sull’acceleratore per consentire al pesante automezzo di superare l’ampia e ripida gobba al centro del ponte. Una volta superata ebbe una prima visione del lungo viale che lo avrebbe condotto fino al capolinea.
Non si rese conto il giovane autista che da quel punto in poi le luci di città erano tutte spente. Insegne, lampioni, semafori, tutto spento. Ebbe solo la percezione che man mano che procedeva lungo il viale, che era incredibilmente largo, comodo e sgombro di auto, ai lati di questo si ergessero spettrali edifici, con porte e finestre buie e vuote come le occhiaie dei morti.
Ohi, ohi! Cominciò a lamentarsi la ragazzina. Matchis gettò un’occhiata sullo specchietto retrovisore e restò sconcertato nel constatare che mentre la ragazzina si lamentava, con la testa appoggiata sempre sulle ginocchia della madre, questa restava quasi assente, la testa sollevata sulle spalle rigide, con uno sguardo fisso su di lui e un’espressione strana, quasi un perverso sorriso.
Sta male, cominciò a cantilenare la donna, con uno strano tono di voce, distaccato. Fai qualche cosa, aiutaci!
Matchis si sentì pervadere da un’inquietudine crescente. Che poteva fare, che aiuto poteva dare? E intanto erano giunti in prossimità della seconda fermata.
Non c’è nessuno alla fermata, gridò Matchis, non mi fermo, procedo a tutta velocità .
Sta male, diceva la donna con una voce che diventava sempre più implorante. Una voce che aveva perso le asprezze di poco prima e che però adesso, benché più aggraziata, sembrava meno normale, una voce non umana una voce proveniente da chissà dove.
Poi avvenne un fatto imprevisto. Fu un tonfo, un clangore di lamiere che si contorcevano. Il bus si arrestò di colpo.
Matchis, benché protetto da una cintura di sicurezza, si sentì proiettare in avanti, verso il parabrezza.
Per fortuna la cintura tenne e Matchis restò saldo sul sedile.
Subito gettò lo sguardo allo specchietto retrovisore per constatare come erano finite le due donne.
La ragazzina giaceva sul pavimento, nel corridoio, tra i sedili, mentre la madre, in ginocchio accanto al corpo della figlia, le sorreggeva la testa, con una mano.
Sta male, ricominciò a lamentarsi, rivolta a Matchis, aiutaci, fai qualcosa.
Ora chiamo subito i soccorsi, rispose il giovane.
Provò più volte a connettersi con il suo cellulare, ma fu tutto inutile, il telefono sembrava morto.
Sta male, ripeteva ossessivamente la donna, sta male. Là , disse all’improvviso indicando un punto sul viale, là , c’è una cabina telefonica, prova a chiamare, sta male, ora muore, concluse meccanicamente.
Matchis era sgomento. Guardò dalla parte dove aveva indicato la donna e davvero scorse la cabina che incredibilmente in mezzo a tutto il buio del quartiere, era illuminata.
E’ funzionante disse tra se Matchis.
Furono le sue ultime parole.
Hurd, l’anziano autista, scosse fortemente la testa, la mattina dopo, quando si diffuse la notizia che Matchis era misteriosamente scomparso, mentre era in servizio sul 666 notturno.
Non doveva lasciare la cabina di guida, masticò tra i denti, mi ero raccomandato, concluse mesto.