Ricordati, o pittore, che tanto sono varie le oscurità delle ombre in una medesima specie di piante,
quanto sono varie le rarità o densità delle loro ramificazioni.
Leonardo da Vinci, Trattato della Pittura
Bruno di Pietro pittore
Ai confini del creato
Instancabile sperimentatore, determinato a lasciare le proprie “impronte” nel panorama artistico contemporaneo, Bruno Di Pietro spazia dall’iniziale fase figurativo-paesaggistica, al personale Impressionismo/Espressionismo del secondo periodo, alla coraggiosa e poetica reinterpretazione del mito omerico, fino ad immergersi nella dimensione cosmica dei più recenti lavori dal tema iperspazialista. L’esplorazione dell’universo con il suo caos primordiale, la riflessione sui misteri della creazione e sulla competizione creativa Uomo/Natura, si innestano su una vasta ed articolata simbologia, incentrata sull’immagine dominante dell’albero e sulla modalità operativa tripartita.
Scrive Nicola Mattoscio, Presidente Fondazione Pescarabruzzo: “Tormentato da una profonda nostalgia per il “paradiso perduto” dell’infanzia pescarese, sensibile alle più urgenti problematiche storico-ambientali, consapevole della necessità di adeguarsi alla spinta del progresso, accanto a materiali e tecniche tradizionali, Di Pietro accoglie nelle sue opere materiali di riciclo, ingranaggi, oggetti tecnologici sofisticati, “tracce” di un contemporaneo impregnato di vissuto che testimoniano la modernità di un artista capace non solo di “assecondare” il proprio tempo nella sua inevitabile evoluzione, ma anche di viverlo intensamente, sempre motivato e sorretto da un irrinunciabile senso etico e da un’incrollabile fede nella Bellezza e nella Verità dell’Arte.”
Il ciclo dell’Iliade e quello degli Aedi sono pur sempre legati all’ermeneutica figurativa che però, verso l’inizio degli anni Duemila più o meno, gradualmente egli abbandona per andare alla ricerca delle “impronte primordiali”, come ama chiamarle, ovverosia dei segni indicatori del processo della creazione originaria.
Lo ricorda attraverso un ampio saggio sull’artista Armando Ginesi : “Stilisticamente parlando, il passaggio va dalla rappresentazione figurativa – sia pure idealizzata e trasfigurata dai riferimenti letterari e mitici – ad una sorta di informalismo non del tutto aniconico: perché le tracce a cui Di Pietro fa riferimento nelle titolazioni conservano pur sempre (mediante le impronte palmari delle mani) accenni alla figuralità.
Ora l’artista potenzia questa necessità dello spirito di indagare là dove la ragione, la scienza, la logica non si avventurano, ma dove la fantasia può penetrare senza troppa difficoltà. Inizia così la serie dei “Confini” o “Ai Confini del Creato”, la quale mi pare che si estrinsechi attraverso una manipolazione della materia informe quasi a voler ricercare le condizioni della creazione primordiale; a voler scandagliare all’interno della struttura materica per cogliere i segni che possano raccontare il mito di quel gesto creativo di cui parlano tutti i testi cosmogonici.
Il tema dell’albero, a cui l’artista ricorre, è estremamente affascinante essendo uno degli elementi simbolici più importanti, rappresentato da tutte le grandi civiltà.
Dall’immagine biblica dell’“albero della vita”, si è sempre accompagnata ad esso l’idea ciclica della crescita-evoluzione, per via delle radici sprofondate nella terra e dei rami proiettati verso il cielo, simbolo senza tempo di vita eterna e di rigenerazione: una divina triade di passato (radici), presente (fusto), futuro (rami) che l’artista torna a sottolineare più volte nella modulazione trittica con cui volentieri organizza la strutturazione dei suoi attuali lavori.
Affermava Paul Gauguin: «Non copiate troppo la realtà, l’arte è un’astrazione, ricavatela dalla natura sognando in sua presenza e pensate più alla creazione che al risultato».
Guardando la particolare iconografia dei paesaggi boschivi di Di Pietro viene da pensare all’esperienza simbolista dei faggi dipinti da Maurice Denis, all’influenza esercitata alla fine dell’Ottocento dalle stampe giapponesi, alla emotività primitiva dei paradisi terrestri di Gauguin, alle fitte trame di alfabeti segnici evocati dagli intrecci dei rami di Mondrian che non ha mai considerato l’arte come un esercizio puramente visivo.
E la mente si richiama al fascino secessionista e decadente di un’opera quale Bosco di Faggi di Gustav Klimt che, lontano dalla rappresentazione, cercava della realtà solo la sua evocazione. E ritornano i pioppi dipinti a Limetz da Claude Monet, disposto a pagare purché questi non fossero abbattuti, laddove la realtà appare tutta contenuta nell’effetto cangiante dei loro riflessi sull’acqua… Così le visioni boschive di Bruno Di Pietro, fatte di materici alberi nudi, con le linee serrate dei tronchi a strutturare tutta la composizione, non scaturiscono dall’osservazione diretta della natura, ma dalla memoria filtrata attraverso il gioco della sintesi mentale, con un processo plastico e pittorico che guarda all’evento visivo, alla vera essenza delle cose, congiuntamente all’emozione del loro ricordo.