Cineteca Nazionale - Torino
IL cinema di Franco Brusati
Omaggio all'autore di "Pane e cioccolata"
di Federica Fasciolo
A venticinque anni dalla morte la Cineteca Nazionale rende omaggio a un grande autore cinematografico e teatrale: Franco Brusati (nato a Milano il 4 agosto 1920, morto a Roma il 28 febbraio 1993).
Per tutto il mese di maggio si proietteranno tutti i suoi film da regista. Laureatosi in scienze politiche a Ginevra e in giurisprudenza a Milano, dopo un lungo apprendistato di giornalista (lavorò a «Corrente» e a «L’Europeo»), nel 1949 Brusati si trasferì a Roma, dove cominciò a lavorare nel cinema come aiuto regista di Renato Castellani, Roberto Rossellini e Mario Camerini e come sceneggiatore per numerosi film (tra i quali ricordiamo Domenica d’agosto di Luciano Emmer, Anna di Alberto Lattuada, Le infedeli di Steno e Monicelli).
Come ha scritto il bellissimo sito dedicato al cineasta al quale si rimanda volentieri per ogni possibile ed eventuale approfondimento: «I film di Brusati (fra le prove più interessanti, oltre a Pane e cioccolata, Il disordine, 1962, Tenderly, 1968; I tulipani di Haarlem, 1970; Dimenticare Venezia, 1979, candidato all’Oscar per il migliore film straniero nel 1980), si sviluppano su due immagini-guida: la casa e il viaggio.
La casa indica una possibilità già esaurita che si può recuperare solo come nostalgia del passato (Dimenticare Venezia); il viaggio esprime proprio la ricerca di una nuova casa, ancora, forse per sempre, negata (gli emigranti di Pane e cioccolata che, dal pollaio dove vivono, guardano i padroncini della villa).
Il cinema di Brusati, colto e di respiro europeo, pretese e spesso trovò attori duttili e maturi, tra cui spiccano, oltre a Nino Manfredi interprete di Pane e cioccolata, Vittorio Gassman e Giancarlo Giannini, protagonisti di Lo zio indegno (1989), commedia pervasa da una vena patetica, o Mariangela Melato di Il buon soldato (1982).
Attività prolifica fu anche quella di sceneggiatore, che Brusati proseguì per tutti gli anni Sessanta, collaborando a film di rilievo, tra cui Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli (1968), Seduto alla sua destra di Valerio Zurlini (1968), e Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica (1970).
Lo stesso avvenne con i copioni teatrali che, a partire dal 1959, Brusati scrisse e mise in scena con una drammaturgia felice, avvalendosi di interpreti di matura esperienza scenica: Il benessere, in collaborazione con Fabio Mauri (1959), La fastidiosa (1963), Pietà di novembre (1966), Le rose del lago (1974), La donna sul letto (1984), Conversazione galante (1987)»
Tenderly (1968, 99’)
«Tenderly è la storia, per così dire senza “story”, di Jolanda e Franco – tutta fantastica irragionevolezza lei, tutto borghese ragionevolezza lui – e del loro contrastato rapporto: una sorta di lotta tra i residui dell’Es ed il predominio del Super-Ego nel mondo contemporaneo; un contrasto che inizia con la tenera speranza di una sintetica unione e termina con le tenere nostalgie di una definitiva separazione. […] Brusati ha diretto questa simpatica e vivace commedia con un piglio fine e sicuro e effervescente euritmia. Seguendo più gli schemi della sophisticated comedy americana, il regista in due terzi del film ha dato libero e felice sfogo alla fantasia spezzettando il racconto ed immettendovi una serie di gags, sempre sul filo del paradosso, ma simpaticamente originali e confezionate con pertinente eleganza di linguaggio. La Lisi e Segal sono efficacemente “en role”, specie la prima, questa volta ripresa senza trucco e senza bamboleggiamenti. Tra i personaggi molte gustose apparizioni. Colore e musica sono intelligentemente adattati alla confezione» (Miccichè).
I tulipani di Haarlem (1970, 98’)
«Non lasciatevi sfuggire questo film insolito, teso sul filo di un’ispirazione adolescenziale di schietta qualità poetica. Franco Brusati immagina un rapporto d’amore sadomasochista fra un impiegatino frustrato e una sedicenne che esce da una passione sbagliata. Tutti e due sono votati alla solitudine e già segnati dal male di vivere: lui porta la cicatrice di una coltellata infertagli dal padre ubriacone, lei non si sottrae all’incubo di una madre indegna. Come in un sogno, attraverso immagini fiamminghe che ricordano i quadri di Magritte e di Delvaux, seguiamo la giovane coppia da Bruges a Haarlem e da una prova all’altra fino a una conclusione intinta di crudeltà. Tenerissimo nella sua calcolata misoginia, appassionato ed elegante, il film è scritto e diretto in una chiave di ilare sofferenza. Ottimamente scelti i due giovani interpreti: lui è Frank Grimes, un attore irlandese dell’Abbey Theatre esordiente al cinema; lei è Carole André, di una freschezza contraddetta da qualcosa di spietato» (Kezich).
Dimenticare Venezia (1979, 107’)
Nella campagna del Trevigiano vivono l’anziana Marta (Hella Petri), ex cantante lirica, le nipoti Anna (Mariangela Melato) e Claudia (Eleonora Giorgi) e la vecchia balia Caterina (Nerina Montagnani). Un giorno arriva da Milano Nicky (Erland Josephson), fratello di Anna, accompagnato da un socio in affari. I fantasmi del passato cominciano ad agitarsi nella vecchia casa. Nel corso di un pranzo viene chiesto a Marta di cantare. Marta, che da tempo non canta più, accetta l’invito. «Tale è il succo di Dimenticare Venezia, questo film così serratamente personale eppur così aperto da non parere né un film italiano né, in fondo quel film mitteleuropeo che l’estrazione culturale dell’autore sembrerebbe promettere. Tuttavia di esso non si hanno le chiavi se non si ritorna con la memoria a un testo teatrale di tre lustri fa, La fastidiosa, in cui Brusati amorosamente denunciava il persistere nella propria coscienza della memoria materna, fatta coscienza essa stessa. Come è del resto esplicitamente suggerito da una battuta del film, Venezia sta per madre, padre, origini fisiche e psichiche. Dimenticare Venezia dimentica scientemente La fastidiosa, attestandosi su posizioni più avanzate, più esposte, più autopolemiche: più intimamente mature» (Biraghi). Vincitore del David di Donatello e candidato agli Oscar nel 1979. Nastro d’argento alla migliore attrice protagonista a Mariangela Melato e alla migliore scenografia a Luigi Scaccianoce.
Pane e cioccolata (1973, 115’)
«Pane e cioccolata, scritto e diretto da Franco Brusati, è meritatamente il vincitore di una dozzina di premi. Incentrato su uno dei problemi più noti e preoccupanti d’Europa, quello dell’immigrazione, il film racconta di un lavoratore di mezza età, Nino che si è trasferito a nord, verso i verdi prati della Svizzera tedesca dove spera almeno di guadagnarsi da vivere come a casa sua non riesce più a fare […]. Ma se le difficoltà di Nino sono legate a una realtà specifica ed esterna – la depressione economica italiana, l’opulenza svizzera e le differenze culturali fra i due Paesi – esse hanno anche implicazioni più ampie e generalizzate. Osservare Nino in tutto il suo senso d’inferiorità, nei suoi sentimenti di meridionale al nord, di un uomo bruno in un Paese di biondi, di persona abituata al rumore e al caos in un luogo definito dal silenzio e dall’ordine, equivale a comprendere non solo il penoso disprezzo di sé di migliaia di italiani in Svizzera, ma degli emigrati in generale, di qualunque emarginato di fatto. Queste rivelazioni, efficaci già di per sé, sono rese ancora più intense dal tono ricco e complesso del film: Nino (straordinariamente interpretato da Nino Manfredi) è allo stesso tempo un eroe tragico e un buffone. Le sue avventure, pregne di dolore sono anche altamente comiche; a tratti come per miracolo, sono entrambe le cose insieme» (Boyum). Orso d’argento al Festival di Berlino e Nastro d’argento al miglior soggetto 1974.
Il buon soldato (1982, 102’)
Marta (Mariangela Melato) è infelice perché sposata con un uomo superficiale. Un giorno alla stazione del paese incontra Tommaso (Gérard Darier) un giovane in partenza per il servizio militare. L’incontro, pur breve, le darà la capacità di guardare diversamente alla propria esistenza. Lascia il marito e ricomincia una nuova vita con la figlia. Tommaso invece va incontro a una serie di tristi eventi ed incontri che segneranno negativamente la sua giovane esistenza. «Pur conservando alcuni stridori, e qualcosa di non pienamente risolto, Il buon soldato va dunque compreso fra le opere curiosamente inquiete della stagione. Dove sarcasmo, tenerezza e pietà si tengono per mano nella rappresentazione di un’epoca scervellata, in cui almeno un certo tipo di donna non accetta sconfitte» (Grazzini).
Lo zio indegno (1989,104’)
Luca (Vittorio Gassman) è uno zio bizzarro, un poeta a suo modo allergico alla società e i cui comportamenti sono, per la morale corrente, singolari. Riccardo (Giancarlo Giannini), il nipote, è il suo esatto contrario, totalmente integrato nella società di oggi, seguace dei miti quali il denaro e il successo. Lo zio si comporta come un ragazzino, invece di essere saggio e avveduto egli è un uomo al di fuori delle convenzioni e delle decenze. Molesta le minorenni in un cinema parrocchiale, visto che il comune senso del pudore è per lui inesistente, mentre prova orrore per l’ideologia borghese del nipote, con moglie, figli e famiglia modello. Il rapporto tra zio e nipote passa attraverso vari stati d’animo: riprovazione, divertimento, curiosità e infine una specie di innamoramento, poiché lo zio “indegno” è riuscito a far crescere nella mente del nipote il seme del dubbio, sconvolgendogli, così, del tutto la vita. Nastro d’argento quale miglior attore protagonista a Vittorio Gassman.