La Città della Luna
Prima parte
di Ruggero Scarponi
Avevo passato il tempo delle romanticherie giovanili. Ero ormai nell’età dei disinganni, l’età in cui l’amore smette i panni della felicità per vestire quelli molto più prosaici della necessità. E l’amicizia diventa competizione o al massimo pura astrazione per discussioni da salotto. In breve, era avvenuto che una mattina, guardandomi allo specchio, mi era apparsa tutta la cruda realtà della vita. Stavo invecchiando e sarei morto anche io, prima o poi. La scoperta è di quelle che ti possono rubare il sonno, fin tanto, almeno che non te ne fai una ragione, fintanto che non decidi di conviverci.
Per fortuna avevo molte altre cose a cui pensare. Ero insegnante in una scuola media di periferia e quanto mi accadde una notte durante il tardo l’autunno di quell’anno forse val la pena che io lo racconti. Diciamo subito che come insegnante mi sentivo piuttosto frustrato, amareggiato. Vedevo costantemente naufragare ogni sforzo per sollevare dall’ignoranza i giovani che di volta in volta mi erano affidati, più o meno come accade a colui che desiderando scalare una duna a causa della sabbia cedevole si ritrova sempre allo stesso punto. Gente incolta senza nessun interesse per qualsiasi cosa avesse odore di cultura. Figli di famiglie travagliate, spesso emarginate e con alti livelli di disoccupazione e come non bastasse con alcolismo e droga come endemiche piaghe devastanti. Correggere i compiti di questi ragazzi, nonostante i numerosi tentativi che mettevo in atto per non farmi sopraffare dai pregiudizi, mi era diventato gravoso. Spesso durante i pomeriggi in cui facendomi coraggio mi accingevo alla penosa funzione, non potevo evitare di cedere agli sbadigli e al sonno. I temi erano sempre stiracchiati, insulsi, sgrammaticati e mi suscitavano noia, ripulsa. A volte mi allungavo sulla poltrona con il mucchio dei compiti affastellati sulla scrivania e restavo a lungo pensieroso. Mi perdevo in fantasticherie dentro la biblioteca che avevo di fronte. Scaffali e scaffali su cui avevo ammassato negli anni romanzi, saggi, il meglio della letteratura mondiale. Buona parte di quelle opere le avevo lette fin da ragazzo. E sapevo che non era lecito fare confronti, pure mi domandavo, se valesse la pena di continuare ad affannarsi per dei giovani che non avrebbero mai, dico mai, nella loro vita, assaporato il gusto di una pagina di vera letteratura. Così pensando, estrassi a caso dal mucchio, un tema. E sbadigliando iniziai la lettura. Per prima cosa però riandai al titolo che avevo assegnato per l’elaborato: La tua città. Ero abituato a incipit di una banalità sconfortante a svolgimenti, stitici, privi di fantasia e sostenuti da fragili o inesistenti argomentazioni. Questo diceva:
- La mia città non è come tutte le altre… – non male pensai, è già una riflessione…di chi è? Mancava il nome, stranamente.
- Beh – commentai – scoprire di chi è non sarà difficile, andrò per esclusione.
- …la mia è una città alla rovescia…- Caspita! Esclamai, la cosa si fa interessante.
- …notturna. Si sveglia quando fa buio e fino all’alba vive una vita diversa dalla città …”di sopra”, quella che vive di giorno.
- Senti, senti…- borbottai incuriosito.
- nessuno sa bene quali segreti si nascondono di notte. Quali oscuri pensieri attraversano le menti dei notturni abitanti…- E via su questo tono.
Il ragazzo, o meglio l’anonimo autore, almeno per il momento, continuava per poche righe su queste considerazioni per passare subito dopo a una descrizione meticolosa delle strade. Era evidente che stava parlando della nostra città, anche se di un quartiere in particolare, un quartiere che mostrava di conoscere molto bene. Per la prima volta nella mia carriera d’insegnante mi stavo appassionando alla lettura di un compito. Ero curioso di scoprire il mistero, se c’era. In effetti, dopo aver descritto le strade che secondo lui delimitavano quella strana città che si era inventato, proseguì in maniera inaspettata. Con una lucidità e uno stile asciutto da giornalista consumato prese a descrivere vicoli, stradine, sottopassaggi, recessi bui e misteriosi dove un’umanità nascosta alla luce del sole viveva una vita sordida e dimenticata. Descriveva con accuratezza gli abitanti. Spesso tetri, disperati, sostenuti da concetti che definire morali sarebbe fantasioso. Uomini e donne in lotta affannosa per la sopravvivenza. Il tono era distaccato senza il minimo coinvolgimento emotivo. - Ma che mi sta prendendo in giro? – pensai ad alta voce in considerazione del fatto che mi sembrava incredibile che un ragazzino di tredici anni, quanti ne avevano gli allievi di quella classe di cui correggevo il compito, potesse conoscere quel mondo così particolare.
Eppure mi sentivo attratto in maniera irresistibile. Dovevo continuare la lettura.
La storia si faceva sempre più intrigante.
Vi si narravano vicende squallide, ma senza compiacimento. Donne in competizione tra loro per la sopravvivenza dei propri figli e capaci di azzuffarsi ferocemente per un poco di cibo rubato chissà dove. E poi non mancavano i ladri, i ruffiani, gli amanti a pagamento per tutti i gusti, e i locali ambigui dove si andava per bere, ascoltare musica, giocare proibito, e rimorchiare di tutto. Ero sorpreso e anche un po’ sconvolto, confesso.
Che dovevo fare? Prendere per buono tutto quanto e segnalare il caso al Preside dell’Istituto, che poi avrebbe informato gli organi competenti fino a richiedere un’ispezione da parte di un assistente sociale?
E se fosse stato solo il frutto di una fantasia eccitata dai romanzi gialli e dalle fictions televisive?
Il misterioso reporter mostrava di conoscere perfettamente la città notturna e narrava con sorprendente ingenuità le piccole e grandi storie di malaffare. Dai crucci di una giovane prostituta sfruttata da un tipo brutale, ansiosa di abbandonare la strada per esercitare la “professione” in qualche locale per gente ricca, ai traffici dei “tossici” divenuti spacciatori per l’impellente necessità di procurarsi “la roba”.
E fin qui il racconto era stato tutto sommato castigato. Il bello doveva ancora venire.
Dal malaffare ora si passava alla criminalità vera e propria.
Mi trovavo sotto gli occhi, l’incredibile storia del rapimento di un noto industriale. Conoscevo la storia per averla letta sui giornali. Il pover’uomo era stato ucciso da una banda di sequestratori, subito dopo il pagamento del riscatto da parte della famiglia.
Quel che invece non sapevo né io né gli altri ignari cittadini, per così dire normali, quelli che vivono alla luce del giorno, erano i particolari. Davvero inquietanti che gettavano una luce sinistra sulla polizia e sulla classe politica. Da quanto si poteva capire l’uomo era stato vittima di una vendetta a causa di un’intricata vicenda di finanza, politica e criminalità organizzata.
Mi fermai. Stavo leggendo segreti inconfessabili e terribilmente compromettenti o ero vittima di una burla colossale? Chi era l’ignoto autore? Era arrivato il momento di scoprirlo. - Domani lo convocherò in Presidenza e gli farò sputare la verità.
Dissi con irritazione.
Eppure la storia, mi attirava, era ben scritta. I luoghi, fossero vicoli bui e maleodoranti oppure scalcinate rimesse di periferia erano sempre descritti in maniera precisa e senza ridondanze, senza cedere al tentativo di abbellire o arricchire per il solo gusto narrativo.
Ora parlava di Rita, la cartomante. Ne descriveva il potere, immenso, sostenuto a suo giudizio da oscure pratiche magiche. Per lei i boss della malavita uccidevano giovani vittime innocenti per procurarle gli organi vitali da utilizzare in riti di magia nera. Potevo facilmente vedere, attraverso le puntuali descrizioni, quasi fosse un film, la vecchia megera che pronunciava formule magiche e maledizioni. Secondo il misterioso testimone la donna doveva guadagnare cifre colossali. Denaro che poi investiva nell’usura e nel traffico di stupefacenti. Ero arrivato al girone infernale. Magia nera, omicidi, droga e violenze di ogni tipo pur di guadagnare il potere sulle forze che governano gli istinti degli uomini. Vi si scoprivano a questo punto tanti vip, uomini politici, star dello spettacolo, e tutti, chi più, chi meno, vittime e schiavi di vizi e di ricatti di ogni tipo.
Continuai la lettura con la storia di una nota attrice. Giovane e bellissima. Pur di raggiungere il successo si era compromessa con una setta che in cambio ne chiedeva illeciti favori. Per nulla turbata la ragazza mostrava di compiacersi di scendere sempre più in basso rinnegando perfino la propria umanità.
E poi venivano loro: i grandi boss. Spesso si trattava di persone apparentemente rispettabili. Erano noti uomini d’affari, banchieri, politici anche con elevate responsabilità di governo. Eppure costoro non si facevano scrupolo di accompagnarsi e riunirsi in associazioni criminali con giovani teppisti cresciuti alla religione della violenza.
Il tema proseguiva ancora per qualche riga per interrompersi bruscamente. - Se non mi credi, professore, vieni a vedere di persona, se hai il fegato di farlo…
Puntini, puntini. Così terminava. Non mi ero accorto di aver pronunciato ad alta voce le ultime parole. E mi si erano strozzate in gola. Provai una vaga sensazione di malessere. E fui percorso dai brividi. Sudavo freddo. L’invito mi suonava come una minaccia. Ma perché? Perché il misterioso autore doveva avercela con me. Non mi ricordavo episodi che mi avessero visto protagonista di litigi con gli studenti. Il mio atteggiamento nei loro confronti era sempre stato di massima indifferenza. Non c‘era o non mi ricordavo che ci fosse stato tra me e qualcuno di loro un “casus belli”. Decisi di scoprire subito l’autore del tema. Controllai per ben tre volte l’elenco degli allievi confrontandolo con i nomi di chi aveva firmato i compiti. Tutto regolare. Non mancava nessuno. E dunque l’autore o si era indebitamente e forse erroneamente infiltrato, oppure era uno dei tanti allievi che aveva consegnato un compito, ufficiale, nascondendo non visto, l’altro, l’elaborato clandestino.