#202 - 22 settembre 2017
Parole parole
Parte terza
di Ruggero Scarponi
- Comunque sia, in me, le parole producevano un effetto.
- Buono o cattivo?
- Un effetto. Né buono né cattivo. Voglio dire che avevano il potere di cambiare la mia essenza interiore, il mio io, se vuole.
- E non mi dica che questa non è manipolazione!
- Potrebbe sembrare, ma le assicuro che non è così. Vede, il Dottor Berni con le sue lunghe telefonate m’inondava di parole. Più o meno come avviene con i fiumi. Nell’incessante scorrere essi trasportano e accumulano una quantità di detriti (le parole nel nostro caso) che nel tempo vanno a modificare il territorio, creando dune e pianure e chissà cos’altro. Non parlerei quindi di manipolazione che ha sempre un’accezione negativa, ma di vero e proprio cambiamento, in bene o male, questo dipende da ben altri fattori.
- Fattori? E quali, per esempio?
- Il Dottor Berni si affannava a costruire, se così posso dire, mentalità vincenti, mentalità di venditori. La vendita signor mio non è uno scherzo. Ci vuole psicologia e, non rida per favore, persino della pedagogia. Ecco, lei ride sotto i baffi e pensa che io sia un po’ matto per venirle a raccontare cose che di sicuro le sembreranno strampalate. Eppure se volesse darmi credito le dimostrerei qui su due piedi cosa intendo per “pedagogia della venditaâ€.
- Per amor del cielo, no! La credo, davvero.
- Comunque, sappia, che la pedagogia della vendita, consiste nell’istruire il potenziale cliente a compiere da sé le scelte migliori, a costruirsi, insomma, una coscienza veramente critica, che da una parte lo salvaguardi dagli annunci truffaldini di tanti venditori da strapazzo e dall’altro lo indirizzi a realizzare i suoi veri interessi, che guarda caso, corrispondono esattamente con gli interessi dei buoni marchi, come il nostro, ad esempio.
- Interessante, anche se un po’ troppo “di parteâ€, mi pare.
- Un marchio impiega anni, forse decenni, per farsi apprezzare sul mercato. E quando questo avviene ammetterà che non sarà senza motivo, no? Quindi non consideri la mia requisitoria “di parte†ma obiettiva e giusta perché già vagliata dal mercato
- Da come la racconta lei sembra tutto così automatico che faccio fatica a comprendere il meccanismo della concorrenza. Insomma, voglio dire, se sul mercato esiste un marchio che è il migliore di tutti perché comprarne un altro, allora?
- Perché l’essere umano è volubile e sensibile al cambiamento. Nell’apprezzamento di un marchio entrano in gioco tanti fattori e non conviene di stare qui a ricordarli, non la finiremmo più. Le basti sapere che il Dottor Berni si affannava a creare dei venditori, puri e inossidabili in grado di resistere a qualsiasi lusinga in favore del marchio che rappresentavamo.
- E questo a lei cominciava a darle fastidio, suppongo.
- Ci risiamo, lei si è convinto che io mi sia ribellato a un tentativo di manipolazione, quasi di plagio, ma non è così, glielo assicuro.
- Bene, e poi?
- Le parole. Come le ho già detto. Sono state le parole a turbarmi. Ma non come potrebbe pensare, vale a dire, per quello che significavano, anzi! Su quello non potevo che essere d’accordo.
- E allora, mi scusi, in che cosa ‘ste benedette parole la infastidivano.
- Eh! Non è mica facile da spiegare.
- Ora però mi ha incuriosito. Non può lasciarmi così in sospeso. Si sforzi! Mi faccia capire.
- Si, certo. Non mi sarei permesso d’importunarla altrimenti. Dunque: le parole. Vede caro signore che le parole, le parole. Cioè, le parole, si sforzi un momentino, di pensarle solo come effetto sonoro, senza significato. Le sembreranno, ne sono certo, come è successo a me, d’altronde, come tanti mattoncini, fatti di aria, o meglio, di vibrazioni, informi, un po’ più lunghi alcuni, altri meno, ma tutto sommato fatti tutti del medesimo materiale e con il medesimo stampo, come se fossero fatti di fango, per esempio. Ha presente quei mattoni da costruzione che facevano gli antichi popoli mesopotamici, impastati di paglia e di fango? Ecco le parole potrebbero apparirle tali e quali. Ora s’immagini un grande muro, una grande muraglia, fatta tutta di mattoni.
- E allora? Cosa ne deriverebbe?
- Provi, dicevo, a immaginare una cosa del genere. Riuscirebbe a distinguere un mattone dall’altro? Migliaia, forse milioni di mattoni, posizionati a incastro…
- ma scusi, che c’entra questo? Non capisco?
- Lo so, si, me ne rendo conto, la sto confondendo con tutte queste chiacchiere. Ma il punto è, caro signore, che io non riuscivo più a cogliere il senso. Era come se il Dottor Berni, parlandomi ore e ore al telefono mi scaricasse nell’intimo, nella mia anima, quintali, tonnellate di mattoncini che un po’ alla volta finivano per riempirmi dentro, per saturarmi, per murarmi vivo. Dentro mi sentivo completamente rivestito di tanti piccoli insignificanti mattoncini ai quali se non davo rapidamente un significato avrebbero finito per seppellirmi.
- Mi sta forse dicendo che non riusciva più a comprendere il significato delle parole?
- Più o meno. Certamente non capivo più il Dottor Berni. Non riuscivo più a compiere lo sforzo di ricercare tra tutti quei suoni informi, le connessioni logiche, le relazioni i significati. Vede caro amico, io non so se lei sia amante della musica classica…
- Un po’, più o meno, come tutti…
- Dicevo, non so se si sia mai appassionato alla musica di quel grande genio che era Giovanni Sebastiano.
- Così, casualmente.
- bene, se lei si mette all’ascolto, quella musica le sembrerà divina, mi segue?
- Si si, continui pure.
- se però lei provasse a leggerne lo spartito, ne resterebbe turbato.
- E perché mai?
- L’interpretazione, l’interpretazione caro amico. E’ solo l’interpretazione a dare significato a tutte quelle migliaia di note che le si mostrano davanti come una muraglia uniforme. Solo il genio e l’abilità dell’artista riescono a tirar fuori ritmi, accenti e melodie dall’informe massa della scrittura.
- Certo che lei si sposta di continuo, non è agevole seguirla.
- E’ probabile. Del resto io stesso non ho ben chiaro il processo. Ma sento che è così, deve essere così.
Ma insomma com’è che poi ha preso la decisione di rassegnare le dimissioni?
- Aspetti, aspetti, lasci che mi spieghi meglio. Le parole dicevo. Ecco, ora ci sono. Il problema è nato tutto da quando sono stato colto da un dubbio angosciante. Fu un giorno durante una telefonata-fiume con il Dottor Berni. Quel giorno, glielo assicuro, il Dottore non la finiva più. Io stavo ad ascoltare come sempre, attento e docile, quando a un tratto tutto mi divenne incomprensibile.
D’un tratto fu come se le migliaia di parole che il Dottore mi riversava addosso fossero diventate suoni informi che io con pazienza certosina avrei dovuto ricostruire una a una per ritrovarne finalmente il significato.
Contemporaneamente però, mi resi conto, che sarebbe stato sufficiente cambiare l’ordine, gli accenti, i ritmi per avere infiniti significati diversi. E allora ebbi paura. Da quel momento non riuscii più a comprendere il Dottor Berni che continuava a inondarmi di parole come un fiume in piena.
- Insomma se ben capisco era come se lei nell’atto dell’ascolto scomponesse i suoni delle parole per ricomporli fino a ottenere nuovi significati?
- Si, ma questo non è tutto. Perché vede, che il problema principale che mi trovai ad affrontare era un altro.
- E sarebbe?
- E sarebbe che io non ero più sicuro di quale fosse il giusto significato da assegnare alle parole che stavo ascoltando. In breve, quale tra i tanti significati possibili era quello vero? Cosa mi stava dicendo il Dottor Berni? Quello che il mio cervello ricostruiva automaticamente in base a delle convenzioni apprese sin dall’infanzia? Oppure c’era dell’altro.
- Ma via! A me sembra che le sue elucubrazioni siano solo frutto di stress psicologico. Sarebbe stato sufficiente qualche blando sedativo per ricondurla allo stato di coscienza.
- Lei sottovaluta, caro signore. Pensi ad esempio a quei modi di dire: parlare a nuora perché suocera intenda. Oppure, leggere tra le righe, oppure…
- Ma questi sono solo modi di dire che stanno a significare…
- Appunto! Lei mi sta dando ragione.
- In che modo? Non capisco.
- Modi di dire, dice, per dire cose diverse dai significati delle parole dette.
- Santo Cielo! Ma non è possibile che lei metta sullo stesso piano di un banale modo di dire, un intero discorso. Questo mi scusi, sa, ma è mistificare la realtà .
- Può darsi. Eppure lei stesso in questo preciso istante ha usato delle parole cui io potrei facilmente dare un significato diverso.
- E come sarebbe?
- Lei ha detto: mistificare la realtà . Io potrei cambiare la frase, ne sono certo, intuendo il probabile significato che voleva darle. Ovvero: mi sembra che lei sia un po’ matto. Non è forse vero?
- Ehh! Devo ammettere che lei mette le cose in un modo tale…
- Che vuole, come le dicevo all’inizio della nostra chiacchierata, ognuno di noi nasce con un destino segnato. Vede che avevo ragione? Cosa mi mancava nella vita? Avevo un buon lavoro, la vita comoda…eppure…eppure sono andato a inciampare nelle parole.
Che vuole che le dica, così va il mondo, si vede che era destino.
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