Presente in "Realtà e Futuro. Da Milano al mondo".
12ª edizione del Photofestival di Milano - fino al 20 giugno 2017
Immagini di Mario Carrieri
Maschere africane
Testimonianze tra mostre e libri del grande fotografo
Di Andrea Dall'Asta
Grande è stata la sorpresa quando, alcuni anni fa, riordinando gli scaffali degli archivi della Galleria San Fedele, mi sono trovato tra le mani una cartella con una sessantina di fotografie di maschere africane del grande fotografo Mario Carrieri (1932, Milano).
Complessa è la sua vicenda artistica, che si forma in una cultura internazionale in cui sono presenti
da Lucio Fontana a Giorgio de Chirico, da Eugenio Montale ai pittori del Realismo esistenziale...
Se nel 1959 realizza il suo primo libro di fotografia, Milano, Italia, tra il 1975 e il 1980 scatta numerose immagini di sculture africane che saranno esposte al Padiglione d’arte Contemporanea di Milano nel 1982, per essere poi nuovamente presentate nel 2004 alla Fondazione Stelline di Milano, in una mostra curata da Giovanni Chiaramonte, dal titolo Mario Carrieri. Amata Luce, che si proponeva di ripercorrerne il percorso creativo.
Attraverso le fotografie delle sculture africane, Carrieri riflette su di un aspetto centrale dell' arte del Novecento.
Le loro forme senza tempo, originarie e primordiali, eserciteranno infatti una grande influenza lungo il corso del secolo. In che modo fotografare queste forme così potentemente espressive che sembrano sfuggire a qualunque concettualizzazione e contraddire il percorso stesso dell'arte moderna?
Carrieri dà una chiave interpretativa, rispondendo ad alcune incomprensioni suscitate dall’esposizione milanese da parte della critica: «Lo storico della fotografia Lamberto Vitali era un mio grande amico, lo adoravo: era una persona straordinaria, bravissimo poeta e uomo di grande livello di pensiero. Quando venne alla mostra
mi disse che avevo sbagliato a intervenire in maniera tanto evidente sulle sculture che avrei
dovuto avere una visione molto più distaccata. Non capì che avevo volute trasformarle da una
cosa chiusa dentro la teca di un museo in un qualcosa messo fuori e gettato nella vita. Per questo
avevo utilizzato tutta la forza e la complessità delle mie luci».
Trasformare le cose, gettandole nella vita, immergendole nella luce. È questo forse il senso più
profondo delle immagini che Carrieri realizza attraverso il suo scatto fotografico: ridare vita a
un oggetto inanimato, riscoprirne il suo valore sacrale, toglierlo dalla sterile idolatria di una teca
museale, per ri-consegnarlo al flusso del cosmo.
Significa andare alle origini del senso della sua presenza, permettere che l’oggetto riacquisti quella forza e quell'energia
che rigenerano tempo e spazio, riaffermando la verità del mito nella vita quotidiana. Come ben sottolinea Giovanni
Chiaramonte: «Le immagini di queste sequenze mettono ancora una volta Carrieri di fronte al problema fondamentale dell’Ars Lucis che è la fotografia: l’antagonismo originario e la complementarietà della luce e del buio nel mistero della creazione».
È quanto riafferma Carrieri: «Credo che Daguerre davanti alla vertiginosa precisione dell’immagine delle sue conchiglie fossili non abbia visto una natura morta, ma probabilmente il sogno realizzato di ridare vita mediante la luce al mondo inanimato, e che strano groviglio di ragioni e misteri della natura, alchimie chimiche, leggi
dell’ottica e della fisica, fosse il magico evento per dare al nostro sguardo sul mondo un altro sguardo successivo, per non dimenticarlo, per capirlo o, forse, solo per la gioia di vederlo».
Certo, grazie alla luce, le forme riprendono vita. Tuttavia, nessuna visione pacificata e
riconciliata permette loro di sostare e di riposare in una dolcezza e in una tenerezza soffuse.
È come se una luce cosmica le sprofondasse nel dolore del mondo, mettendo in luce il senso drammatico della vita, il loro desiderio di vivere e al tempo stesso il fatale ricadere nel tragico della morte. In questo dramma profondamente umano, in cui gli oggetti si pongono sulla soglia del mistero del loro stesso apparire, di fronte all’inesorabile e spietata dialettica tra vita e morte.
Carrieri ci introduce nel segreto più profondo delle cose, al cuore della loro verità , del loro destino.