Accademia Nazionale di San Luca - Roma
Vasco Bendini
Poetica preformale
di Luigi Capano
In un assolato pomeriggio di fine estate, volgendo le spalle all’equorea fontana del Bernini, ci incamminiamo con placida lentezza per la via del Tritone, ancora silenziosamente avvolta in un metafisico sopore estivo.
Il passo vagamente dinoccolato – ma l’umidità, si sa, non è amica delle giunture - pieghiamo a sinistra per l‘agile via della Stamperia: ed eccoci d’improvviso al cospetto del tardo-cinquecentesco Palazzo Carpegna (che reca, tra i tanti apporti, anche l’impronta del genio borrominiano), da molti lustri sede della prestigiosa Accademia Nazionale di San Luca (Piazza dell’Accademia di San Luca 77, Roma).
E’ possibile cogliere a tratti, nella fluttuante quiete settembrina, il vispo fruscìo dell’adiacente Fontana di Trevi. Ad attenderci, nelle sale del piano terra, una quarantina di opere dell’accademico Vasco Bendini (Bologna 1922- Roma 2015), realizzate nell’ultimo decennio di attività.
Della sua lunga biografia sappiamo che furono Virgilio Guidi e Giorgio Morandi i suoi maestri all’Accademia di Belle Arti di Bologna. E poi il sodalizio con Francesco Arcangeli, all’epoca visionario di un nuovo, empatico naturalismo; la lettura sofferta e illuminante di Huizinga; l’interesse per Sironi; la scoperta del tachisme tramite le opere – in particolare - di Wols e di Fautrier, la tentazione new dada; il rinato interesse per l’arte oggettuale nella metà degli anni ’60; la proficua frequentazione di Maurizio Calvesi; la sempre maggiore prossimità alla sensibilità informale: queste, per sommi capi, le tappe genetiche formative dell’artista.
Certo, davanti a queste visioni – perché tali ci appaiono i quadri che abbiamo di fronte - quei rimandi culturali ci sembrano molto lontani.
L’artista ha trovato la propria strada e ne ha percorso un lungo tratto – ci sembra di intuire – in ascetica solitudine. Una strada che lo ha condotto alle soglie di un universo preformale dove la materia è un flusso vitale che la luce accarezza e percuote: quel luogo intimamente distante, a tratti intravisto dai mistici e dai folli, dove un ignoto e imperscrutabile custode ha riposto i semi delle cose che appaiono e dispaiono al nostro sguardo, continuamente desiderosi di inverarsi.
E’ lo stesso Bendini a suggerire le linee di un percorso iniziatico attivato da un ineffabile stato di grazia e predisposto dalla sospensione della volontà di fronte al processo pittorico, come “momento eccezionale dell’operare” (catalogo della personale L’immagine accolta, Roma 2006).
La mostra – Bendini Ultimo (2000-2013) - realizzata in collaborazione con l’Archivio Bendini di Roma, è visitabile fino al 1 ottobre.