Un impegno dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr)
Ragazzi apolidi
Ogni dieci minuti nel mondo nasce un bambino senza uno Stato.
Viene alla luce senza poter dire di essere cittadino di una nazione, più romanticamente è “cittadino del mondo”.
Ma la realtà è molto meno “zuccherina” rispetto alla visione romantica: gli effetti di essere nati senza Stato sono gravi.
In oltre trenta nazioni al mondo I bambini hanno bisogno di documentazione nazionalità per ricevere cure mediche.
In almeno 20 Paesi, i bambini apolidi non possono essere legalmente vaccinati.
Tra le decine di giovani intervistati in sette Paesi per il rapporto “I am Here, I Belong: the Urgent Need to End Childhood Statelessness”, in molti hanno affermato che essere apolidi ha avuto un forte impatto psicologico su di essi, al punto che si descrivono come “invisibili”, “alieni”, persone che “vivono nell’ombra”, “inutili”, “come cani randagi”; nel mondo ad oggi sono circa dieci milioni di persone.
Secondo quanto emerge dal rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), che richiama la necessità di un’azione urgente prima che l’apolidia renda insuperabili i problemi che affliggono l’infanzia di molti bambini, i minori apolidi in tutto il mondo condividono lo stesso senso di discriminazione, frustrazione e disperazione. Per stilare il rapporto sono state intervistate più di 250 persone, tra cui bambini, giovani, genitori e tutori, in Costa d’Avorio, Repubblica Dominicana, Georgia, Italia, Giordania, Malesia e Thailandia.
La prima indagine geograficamente diversificata che raccoglie le opinioni dei bambini apolidi rivela che i problemi più comuni, che devono affrontare, incidono profondamente sulla loro capacità di godere dell’infanzia, di condurre una vita sana, di studiare e perseguire e soddisfare le loro ambizioni.
“Nel breve tempo che i bambini hanno per essere bambini, l’apolidia può scolpire nella pietra gravi problemi che li perseguiteranno per tutta la loro infanzia e li condanneranno ad una vita di discriminazione, frustrazione e disperazione”, ha dichiarato Guterres. “Nessuno dei nostri bambini dovrebbe essere apolide. Tutti i bambini dovrebbero avere un luogo a cui appartenere”.
Nel rapporto, i bambini raccontano le sfide difficili che affrontano crescendo, spesso ai margini della società, quando si vedono negati i diritti di cui gode la maggior parte dei cittadini. I bambini apolidi dicono che sono spesso trattati come stranieri paese in cui sono nati e hanno vissuto per tutta la loro vita.
Ai giovani apolidi viene spesso negata la possibilità di ottenere titoli di studio, andare all’università e trovare un lavoro dignitoso.
Affrontano discriminazioni e vessazioni da parte delle autorità e sono più vulnerabili a sfruttamento e abusi. La loro mancanza di cittadinanza spesso condanna loro, le loro famiglie e comunità a rimanere poveri ed emarginati per generazioni.
L’Unhcr fa appello a più paesi affinché sostengano la campagna lanciata il 4 novembre 2014 per porre fine all’apolidia entro il 2024.
Per quanto riguarda l’Italia, non solo è stato uno dei Paesi che ha preso parte all’iniziativa, apportando un importante contributo all’indagine e al rapporto presentato a New York, ma ha anche patrocinato l’evento stesso. Inoltre, il Parlamento italiano ha anche autorizzato l’adesione alla Convenzione del 1961 sulla riduzione dell’apolidia, confermando così a livello internazionale il proprio impegno nel contrasto al fenomeno dell’apolidia.
Ma spesso le carte dei governi finiscono per restare sulle scrivanie dei ministeri. Come fare per trasformarle in realtà?
Consentire ai bambini che altrimenti sarebbero apolidi di acquisire la cittadinanza del paese in cui sono nati; riformare le leggi che impediscono alle madri di trasferire la propria cittadinanza ai figli in condizioni di parità rispetto ai padri; eliminare le leggi e le pratiche che negano la cittadinanza ai bambini a causa della loro nazionalità, etnia, razza o religione e, infine, assicurare che venga realizzata universalmente la registrazione delle nascite in modo da prevenire apolidia.
Farlo solo nel proprio Paese non risolve la questione; è necessaria una strategia internazionale per arrivare all’obiettivo prefissato per il 2024.
Manca poco, e siamo in ritardo.