#148 - 15 febbraio 2016
AAAAA ATTENZIONE - Cari lettori, questo numero rimarrà  in rete fino alla mezzanotte del giorno sabato 30 novembre quando lascerà  il posto al numero 358 - BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, può durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perchè" (Mark Twain) "L'istruzione è l'arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) «La salute non è un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perchè i servizi sanitari siano accessibili a tutti». Papa Francesco «Il grado di civiltà  di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bensì nella capacità  di assistere, accogliere, curare i più deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civiltà  di una nazione e di un popolo». Alberto degli Entusiasti "Ogni mattina il mondo è un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminosità , vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
Racconto

A caccia di topi

Prima parte

di Ruggero Scarponi

In una di quelle case, quella più vicina al ruscello, viveva Tommy.
Ci viveva con la moglie e il cugino di lei, un ragazzetto di circa vent’anni.
Tommy, a quel tempo doveva aver già superato la trentina e sua moglie, Betta era più giovane di almeno cinque anni.
Sembrava una famiglia tranquilla ma non aveva rapporti con i vicini.
Eppure doveva essere gente socievole perché riceveva visite tutti i giorni.
Quando uscivo di casa per andare a scuola, al mattino, spesso m’imbattevo in Tommy che vagabondava tra l’argine del ruscello e la campagna con un carabina a piombini portata a tracolla. Andava in giro così tutto il giorno.

I miei parlavano spesso dei vicini, ma mai di Tommy e sua moglie.
Per molto tempo ignorai perfino che con loro vivesse il cugino di lei. Lo venni a sapere casualmente un giorno che ero andato alla latteria. Colsi una mezza frase e una smorfia curiosa di una donna che parlava a bassa voce con un’amica. Il ragazzo non faceva praticamente nulla, diceva, e se ne stava tappato in casa tutto il giorno, fino alla sera, quando usciva per incontrarsi con degli altri giovani in un certo bar, dove si giocava a carte. E quando rientrava si portava sempre dietro qualcuno di quei compagni che, spesso, si tratteneva fino a notte fonda.
Pensai che fosse gente strana e che i miei genitori non ne parlassero volentieri per questo motivo.

Una domenica mattina andai al ruscello. In quel periodo dell’anno s’ingrossava per le piogge e la corrente si faceva impetuosa. Se si stava attenti non c’era pericolo a stare sugli argini ma per noi ragazzi era comunque uno spettacolo emozionante. Ci divertivamo a vedere tutte le cianfrusaglie che venivano giù con l’acqua. La corrente era per noi l’incarnazione della forza della natura, una forza che sentivamo di dover rispettare, come i popoli primitivi al cospetto del fulmine.
Quella domenica non avevo la compagnia dei soliti amici e fu lì che incontrai Tommy.
Che fai qui tutto solo? Mi chiese, fai attenzione, aggiunse, l’argine è scivoloso, a cadere nell’acqua non ci vuole niente.
Lo so, risposi, ma ci sono abituato. Con i miei amici ci veniamo sempre.
Ah, si? Commentò distratto. Infatti, c’era dell’altro che aveva attirato la sua attenzione. Un momento dopo lo vidi imbracciare il fucile e puntarlo contro qualcosa nell’acqua, presso la riva opposta.
Pam! Fece con la bocca, morto!, brutto figlio di…, s’interruppe. Immagino per riguardo a me che ero un ragazzino.
A cosa mirava? Chiesi.
A una di quelle bestiacce, un topo, disse sputando nel ruscello.
Ma i topi non affogano nell’acqua? Domandai incuriosito.
Scherzi? Quelli nuotano meglio di noi. Poi sputò di nuovo nel ruscello.

Dopo una settimana di pioggia tutta la natura grondava acqua. Per fare quattro chiacchiere, senza inzupparci il fondo dei calzoni, fummo costretti a sederci su un vecchio cassone di legno abbandonato lì da qualcuno, l’anno precedente.
Che gente! Si lamentò Tommy, vedi che rispetto hanno per la natura? Chiunque crede di poter venir qui a buttare la propria immondizia. E nessuno dice niente.
Mio padre dice che la fanno franca perché vengono di notte, dissi.
Ha ragione tuo padre! Se qualcuno provasse a fare certe cose di giorno gliela farei vedere io.
E’ un fucile a piombini? Chiesi indicando con la testa il fucile che portava a tracolla.
Questo? Rispose Tommy afferrando l’arma con una mano, si, aggiunse, ma non è per ragazzi, questo a trenta metri può essere letale. Ci vuole il porto d’armi per questo.
E lei lo usa per andare a caccia?
Sicuro, rispose, ridacchiando.
C’è cacciagione qui? Mio padre dice che una volta c’erano lepri e fagiani ma da quando hanno esteso le coltivazioni e messo le trappole di selvaggina non ce n’è più nemmeno l’ombra.
Tuo padre ha ragione, disse assorto, io però, sparo solo ai topi.
E ci si guadagna?
E’ il mio lavoro, concluse asciutto Tommy.

Il maltempo si arrestò verso Pasqua, in aprile inoltrato.
Il lunedì dell’Angelo, essendo festivo mi ero messo a gironzolare per la campagna fin dal primo mattino. Mi ero alzato di buon ora ed ero uscito senza neanche fare colazione.
Ben presto incontrai Tommy nei pressi di una vecchia discarica. Si aggirava furtivo con il fucile in mano. Appena mi vide mi fece cenno di avvicinarmi senza far rumore.
Ci nascondemmo dietro a una siepe. Rispetto alla discarica, collocata in un valloncello, eravamo in posizione sopraelevata e godevamo di una buona visuale. Allora Tommy m’indicò un punto con l’indice della mano sinistra.
Subito dopo prese la mira, e sparò due colpi in rapida successione.
Nella massa indistinta dei rifiuti esplose qualcosa dal quale fuoriuscirono schizzi di un liquido rosso vivo. Contemporaneamente a uno squittio breve e disperato.
Secco! Mormorò tra i denti Tommy restando immobile con il fucile puntato.
Sparò ancora diverse volte centrando sempre i bersagli. Mirava ai ratti che popolavano numerosi la montagna dei rifiuti.
Ogni volta vidi esplodere le bestiole mentre emettevano il loro disperato squittio.
In quel modo Tommy ne abbatté una buona dozzina.
Svelto, disse, dobbiamo togliere di mezzo le carcasse, prima che gli altri topi si rendano conto di quanto è avvenuto...
Prendi quello scatolone, aggiunse, indicandone uno ai margini della discarica.
Dopo averglielo portato m’intimò di non muovermi dalla siepe, raggiunse la montagnola dei rifiuti e cominciò a raccattare con una paletta i topi che aveva ucciso, evitandone accuratamente il contatto. Li sistemò nello scatolone con un fascio di sterpi secchi, della carta, che si era portato dietro, rami di pino e pigne verdi.
Dobbiamo bruciarli, mi spiegò, per distruggere le carcasse, non dobbiamo lasciare tracce. Il legno resinoso servirà a camuffare l’odore della carne bruciata.
Dette fuoco allo scatolone al centro della discarica e subito si sollevò un fumo denso e nerastro.
Nell’aria si sparse un odore acre di carne bruciata misto all’aroma intenso del legno verde e delle pigne.
Terminata l’operazione si rimise il fucile a tracolla e si accese una sigaretta.
Era visibilmente soddisfatto.
Anche oggi abbiamo compiuto il nostro sacrosanto lavoro, esordì.
Come? Esclamai deluso, abbiamo già finito?
Ragazzino, rispose con aria di sufficienza, evidentemente nessuno ti ha mai spiegato come si cacciano i topi.
Una volta, risposi, mio zio, il fratello minore di mio padre, mi portò a caccia con lui. Ma ero piccolo e non ricordo molto di quella esperienza. Credo che sparasse alle anatre.
Vedi ragazzo, riprese Tommy, la caccia ai topi è un’altra faccenda. Per questo sono in pochi a praticarla, con la carabina, voglio dire. All’inizio bisogna saper osservare. Sparare è l’ultima cosa e non sempre la migliore. Ora ti faccio vedere.
Mi fece cenno di seguirlo e dopo un po’ fummo sull’argine dove c’eravamo incontrati la prima volta. Si accovacciò piantando il calcio del fucile a terra. Vi si appoggiò con una mano e poi, tenendosi in equilibrio sulla punta dei piedi, stese un braccio indicandomi un punto.
Guarda, disse piano, vengono da lì.
Ma io non vedo nulla, protestai, mentre mi sforzavo di individuare qualcosa che neanche sapevo, tra l’acqua del ruscello e la riva sommersa da erbe e detriti.
Aspetta. Con i topi ci vuole pazienza, sentenziò Tommy.
Poi all’improvviso, eccone uno! Esclamò sottovoce. Guarda sull’acqua, a pelo dell’acqua.
Ci misi un po’ prima d’individuare il piccolo animale. In effetti si trattava proprio di un topo che, sbucato da una buca fangosa sotto l’argine, cercava di raggiungere a nuoto la riva opposta. Nuotava veloce, con tutte e quattro le zampette, tenendo fuori dell’acqua soltanto il naso con le vibrisse e gli occhietti piccoli e lucenti. La coda lunga più di tutto il corpo saettava nella corrente come un serpentello.
Non gli spara? Chiesi.
No. Rispose, per questo ti ho portato qui. Per farti capire. Hai visto da dove escono? Bene, ora andiamo a vedere tutto il percorso che fanno.
Con cautela attraversammo il ruscello in un punto dove i sassi lo permettevano.
I topi, disse Tommy, non amano gli spazi aperti. Anche nelle case prediligono muoversi rasenti ai muri delle stanze anziché attraversarle nel mezzo. Qui, la loro pista si snoda a margine delle siepi, fino alla discarica. Perché farli arrivare fin lì? Il momento migliore, mi pare, è quando escono fuori dall’acqua. Sulla riva fangosa si muovono lenti e sono più vulnerabili.
Tu proprio non hai idea con chi abbiamo a che fare, commentò Tommy. I topi sono tra gli animali più furbi che esistono. Di sicuro più furbi di tanti esseri umani. Se vuoi cacciarli devi imparare a conoscerli ed entrare nella loro testa, sennò saranno loro a darti la caccia.
Se io l’impallinassi come dici tu, dopo due o tre volte, cambierebbero percorso. Magari troverebbero un passaggio sotterraneo, magari ce li ritroveremmo nelle nostre case.
No ragazzino, ascolta, come si fa con loro.
Bisogna farli arrivare dove vogliono, nel nostro caso, fino alla discarica, che sarebbe un po’ come la loro dispensa, la loro riserva di cibo.
Una volta lì noi ci mettiamo comodi e ben nascosti, come abbiamo fatto oggi, e poi ne stendiamo un certo numero, senza esagerare, però.
Perché non li sterminiamo tutti? con il cannocchiale, ogni topo diventa un facile bersaglio.
Sta bene attento, ribatté Tommy, questa cosa è importante, è la chiave del: come cacciare i topi.
Se fai una strage ti dai la zappa sui piedi e sai perché? perché, aggiunse senza attendere la mia risposta, i topi, o meglio le topine, figliano quattro o cinque volte l’anno, ma se per qualche motivo, la popolazione diminuisce, allora, sono capaci di figliare anche dieci volte in un anno per ripristinare l’equilibrio, capito?
I topi, continuò, sanno di avere un vantaggio su di noi e sai qual è?
No, risposi sbigottito.
Il numero, il numero, ragazzino. Più ne fai fuori, più aumentano.
E allora dargli la caccia a che serve?
Serve serve. Solo bisogna farlo con intelligenza. Te lo ripeto, devi entrare nella loro testa.
Per esempio, oggi ne abbiamo stesi un po’, sparandogli da dietro la siepe, domani niente, li lasciamo tranquilli. Dopodomani, invece, ne accoppiamo ancora, come oggi, ma non dalla siepe, da dietro la quercia, quella che si trova a destra rispetto alla discarica. In questo modo i topi non riescono a localizzare la minaccia e nemmeno il tipo di pericolo. Dopo un po’ capiranno che ad andare sulla discarica qualche volta si può morire, ma raramente in un modo per così dire occasionale e giudicheranno accettabile il rischio rispetto alle risorse che vi si possono trovare.
E’ un po’ come quando si trovano sul loro cammino un’esca avvelenata. Loro naturalmente non sanno che è letale. Ma non si fidano, sanno che nessuno ti regala cibo e viene a metterlo sul tuo cammino perché gli sei simpatico e allora sai cosa si sono inventati? Lo fanno assaggiare a un topo anziano, tanto se quello muore…capito i topi? Sono furbi i topi, maledettamente furbi.

Sembrava sicuro, Tommy, con i suoi discorsi. Per me, però, c’era qualcosa che non mi convinceva e tutti quei ragionamenti non mi sembravano sensati.
Perché utilizzare una carabina per eliminare i topi? sarebbe stato sufficiente spargere un po’ di quelle bustine che si vendono nelle drogherie. Ma forse Tommy non desiderava davvero la loro fine, piuttosto a lui piaceva farli fuori uno ad uno, come per una vendetta.
Mi fa provare a tirare anche a me, qualche volta? Chiesi all’improvviso.
Tommy s’arrestò e mi guardò di traverso.
E i tuoi, disse, pensi che te lo permetteranno?
Feci un gesto d’indifferenza.
Quand’è così…disse.
Domani? Chiesi ansioso.
Domani, no, ricordi? Domani non si spara. Però tu vieni lo stesso. I topi vanno osservati sempre, anche in tempo di pace.
Dopodomani potrebbe andar bene?
Tommy non rispose ma accennò un mezzo assenso con la testa.

(1 - continua)

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