Il sotterraneo
di Ruggero Scarponi
Carla si preparò per il colloquio come le aveva suggerito sua mamma. Con i capelli aggiustati, tirati su, con la ciocca ribelle che le stava tanto bene, un trucco leggero e il tailleurino scuro, sufficientemente attillato per evidenziare un fisico snello, ma senza sconfinare nell’esibizionismo. Si guardò nello specchio della camera e ne fu soddisfatta. Poi piena di speranza uscì. Respirò con voluttà l’aria fredda e umida di una Roma autunnale.
Era tutta emozionata, finalmente dopo tante vane attese qualcuno si era degnato di rispondere a una sua domanda d’impiego. C’erano voluti due anni però, due anni di speranze e delusioni, due anni di mail, lettere e telefonate e ora al colloquio non voleva assolutamente fallire.
Saltò la colazione. Aveva un po’ d’agitazione e non voleva ingombrarsi lo stomaco. Evitò persino di prendere il caffè. Giunta davanti alla sede della compagnia che l’aveva convocata, attese un poco, camminando su e giù e poi, con apparente calma, si decise a entrare nell’elegante hall.
Alla reception controllarono il suo nominativo. La introdussero in una saletta insieme a poche altre persone e poi l’accompagnarono all’ascensore per raggiungere l’ufficio dove avrebbe sostenuto il colloquio. Carla fu sorpresa che il locale si trovasse in un piano interrato. L’ascensore, infatti, discese diversi piani sottoterra quasi fosse in un bunker.
Quando uscì dalla cabina fu presa in consegna da un’anziana segretaria. Iniziarono a percorrere un’interminabile serie di lunghi corridoi. Dopo un po’ avvertì un leggero disagio. Man mano che procedevano, infatti, sentiva di perdere il senso dell’orientamento, forse a causa dell’aria che lì sotto era umida e pesante. I corridoi erano male illuminati, con una luce fioca. Mentre camminava, trovandosi digiuna, sentì la fronte coprirsi di un sudore freddo. Si appoggiò istintivamente al braccio della donna che le era al fianco. Questa la guardò con disappunto, ma non disse nulla e Carla sentì aumentare il senso di disagio.
Trovò la forza di chiedere, con un tono un po’ stridulo e nervoso:
- ma dove si trova questo ufficio? Saranno almeno dieci minuti che camminiamo qui sotto.
Non ricevette risposta.
Carla divenne inquieta, non riusciva proprio a comprendere dove fosse finita e neanche lo strano comportamento della segretaria. Dopo altri minuti trascorsi nel dedalo di corridoi, tutti uguali, tutti illuminati dalla stessa fioca luce, sentì trasformarsi l’inquietudine in paura. - Mi scusi – disse alla sua accompagnatrice con un tono agitato – mi scusi ma mi sono ricordata che devo fare una telefonata.
Estrasse dalla borsetta il cellulare, ma l’altra, con la mano, le fece cenno che era impossibile, lì sotto i cellulari non funzionavano.
Carla ebbe forte l’istinto di ribellarsi e di tornare indietro. S’arrestò di colpo e disse: - E’ che non mi sento bene. Ho bisogno di uscire. M’indichi subito l’uscita – aggiunse perentoria.
L’anziana guida la guardò sorpresa, poi indifferente alla richiesta, la spinse a continuare il cammino. - Ma insomma, dove mi sta portando? – insorse Carla. Aveva parlato a voce alta e l’eco cominciò a rimbombare nella lugubre catacomba, rimbalzando da un muro all’altro prima di spegnersi flebile da qualche parte, in lontananza.
- Devo sostenere un colloquio, stamattina! Se vuole le mostro la lettera!
La donna ricambiò Carla con uno sguardo beffardo. - Senta – supplicò Carla cercando di mantenersi calma. – vorrei solo uscire a prendere un po’ d’aria. Non sono abituata a stare in ambienti chiusi. La prego…
Per tutta risposta la donna, con l’indice della mano destra, le pungolò il fianco, spingendola a proseguire.
I lunghi corridoi che stavano percorrendo non le fornivano nessun punto di riferimento. Erano tutti ugualmente tinteggiati con una vernice grigio-azzurrina, un soffitto color panna e il pavimento di cemento. Di tanto in tanto ad intervalli regolari una lampadina avvitata direttamente su un portalampade che pendeva dal soffitto, assicurava un minimo di luminositĂ .
Carla perse la nozione del tempo. Non avrebbe saputo dire, neanche per approssimazione, da quanto stava camminando là sotto. Né avrebbe mai saputo ritrovare l’uscita da sola.
I corridoi s’incrociavano ad angolo retto come in un labirinto. Ognuno dei bracci era lunghissimo e non se ne scorgeva la fine. Poi d’improvviso un muro sbarrava il passaggio e un nuovo cammino si apriva a destra o a sinistra tale e quale a quello precedente.
Per stemperare la tensione Carla pensò di azzardare un approccio amichevole con la sua compagna.
- Mi scusi, per curiosità , ma lei come fa ad orientarsi qui sotto? Io mi ci perderei – disse sforzandosi di sorridere – dovrebbero rintracciarmi con i cani! – aggiunse tentando di dare una coloritura comica alla frase.
La donna non raccolse e con la testa accennò a continuare il cammino.
Ora Carla le si appoggiava al braccio perché era stanca, sfinita. Fu presa da un senso d’angoscia crescente. Cominciò a piangere. Dapprima sommessamente e poi a calde lacrime, grandi come goccioloni di pioggia. Si trascinava. Il pianto le aveva completamente disfatto il trucco e il mascara le stava colando sulle guance e sul naso. D’improvviso ebbe una luce di speranza.
Se, come pensava, stava lì sotto da ore, forse la mamma non sentendo sue notizie, sarebbe entrata in agitazione. Magari avrebbe chiamato la Società , magari avrebbe convinto suo padre ad avvertire la polizia…se fosse stato vero che stava lì sotto da ore. Ma come fare a saperlo?
Non aveva con sé l’orologio, le dava noia il cinturino e per il colloquio non l’aveva indossato, pensando di non averne bisogno. Il cellulare si era spento e non c’era modo di sapere nulla, tantomeno dalla sua compagna che continuava silenziosa quell’ assurdo cammino.
Carla ebbe una crisi isterica. Urlò, minacciò, imprecò, maledisse. Le sue urla presero a vagare come spiriti dannati rimbalzando impazziti da un capo all’altro dell’orrenda prigione. Infine, esausta, perse i sensi.
Si risvegliò su un divanetto di un ufficio spoglio e gelido. Restò diverso tempo distesa. Poi, stanca di starsene inattiva, si alzò, risoluta a tentare la fuga.
Aprì la porta della stanzetta e si affacciò con cautela. Il corridoio era tale e quale a quelli già percorsi. Non si vedeva nulla, né da una parte, né dall’altra.
Un groppo le si formò nello stomaco. Temette d’impazzire. Possibile che le stesse succedendo tutto questo? E perché? Perché a lei? Lei era una brava ragazza. Aveva sempre studiato, era stata una brava figliola in famiglia, non aveva mai fatto male a nessuno, perché le stava capitando tutto questo? Pensò, allora, che fosse giunto il momento di giocare il tutto per tutto e provare a tornare indietro in qualche modo. Cercando di non far rumore richiuse la porta accompagnandola con la mano per non far scattare la serratura. Subito dopo si voltò, determinata a raggiungere una qualsiasi uscita.
Purtroppo, di fronte, si trovò nuovamente la sua accompagnatrice che con uno sguardo accigliato le fece cenno di riprendere il cammino. Solo allora Carla si risvegliò, tutta sudata e con il respiro affannoso. Era stato un incubo. Si alzò di corsa in preda ad una strana agitazione. Si sedette alla scrivania, accese il computer, entrò nella casella di posta elettronica e…niente, al solito, nessuno aveva risposto alle sue innumerevoli domande d’impiego. Carla sorrise con amarezza e ritornò a dormire.