"Una cosa bella è una gioia per sempre" John Keats
Ravello - Salerno
Museo del corallo
Capolavori d'arte dal '600 all'800
di Alessandro Gentili
Il Museo del Corallo di Ravello nasce nel 1986 da un’intuizione di Giorgio Filocamo, abile incisore di cammei e coralli, con l’obiettivo di custodire la ricca collezione di famiglia contenente oggetti antichi e di estremo valore.
La raccolta consiste di numerosi manufatti in corallo che vanno dall’epoca romana al secolo scorso. Vengono riproposti capolavori del Cinquecento e del Seicento: coralli quadrati e sferici, rosari, collane e statuine. madreperla, tartaruga e turchese montati in oro e argento danno il tono all’esposizione.
Va anche vista la lunga collezione di cammei incisi fra Seicento e Ottocento.
Notevole la piccola galleria di dipinti risalenti ai secoli XV e XVII.
I preziosi manufatti del Museo del Corallo di Ravello sono stati già esposti a Montreal e a Toronto, ad Assisi, presso la Reggia di Caserta, al complesso di San Fruttuoso di Camogli, al Museo Oceanografico di Montecarlo e a Torre del Greco.
Portafortuna e simbolo di fecondità per tutto l'800, il corallo altro non è che lo scheletro esterno di un polipo, un tipo di celenterato che vive su fondali rocciosi ad una temperatura tra 5 e 20°C.
In natura ne esistono ben ventisette specie ma solo cinque producono quella materia lavorabile, tanto amata dai Romani che arrivarono ad attribuirgli proprietà taumaturgiche.
Nell’antica Roma veniva infatti usato come coagulante contro le emorragie e come rimedio contro palpitazioni e morsi di serpenti.
Tra l'800 e gli inizi del '900 banchi meravigliosi si trovavano nel mare di Trapani e di Sciacca: oggi entrambe le riserve sono esaurite. Piccoli rametti, della grandezza di un fiammifero, si possono ancora pescare al largo di Pantelleria.
Sfaccettato è il suo colore che va dal rosso scuro della varietà ritrovata al largo di Sardegna a quello intenso del Trapanese, fino al più delicato e, ricercatissimo, rosa pesca di Sciacca.
Delle due categorie presenti in natura, il Mediterraneo o corallium rubrum, impropriamente chiamato Sardegna, si pesca in tutto il mare nostrum occidentale, ad una profondità variabile tra 30 e 250 metri.
Al pari di un diamante, il suo valore dipende da grandezza, colore, qualità , durezza. Il prezzo della varietà mediterranea può variare da 100 mila a 6 milioni di lire al chilo. Ma il plus di un gioiello è dato dalla sua lavorazione: fino al 100% del suo costo.
È infatti la lavorazione ad aver reso celebre il corallo Mediterraneo nel mondo. Due le tecniche seguite: quella incisa, con cui già nel '600 si ottenevano cammei e oggetti a tutto tondo, e quella liscia, fiorita tra '800 e '900, nella produzione di sfere e cabochon.
Mentre Trapani, Livorno e Genova si contendevano infatti la leadership della pesca, a Napoli e a Palermo si affermavano numerose scuole artigiane sul solco di un'antica tradizione, quella di incisione di conchiglie e pietre dure, nata durante la dominazione aragonese.
Nel 1738 Carlo III di Borbone, re di Napoli, istituì a sue spese il Laboratorio delle Pietre Dure a San Carlo alle Mortelle. Ad esso, nel primo '800, Ferdinando IV affiancò una Scuola di Incisione in cui confluirono cammeisti fiorentini e palermitani.
Collane, spille, anelli e intere parure barocche costituiscono il meglio della produzione borbonica. La loro opulenza si distingueva dalla delicatezza di petali trasparenti e farfalline, ricavate dalle scaglie della materia. La tradizione sarda nella lavorazione del corallo discende invece da una comunità catalana, insediatasi ad Alghero ai tempi delle Repubbliche Marinare. Essa attingeva materia pregiata alla barriera corallina del mare antistante, oggi quasi del tutto esaurita dopo i tagli dei rami.