Black sea, il mar Nero
Titolo perfetto per rivelare il luogo dell'azione
incarnando anche l'anima del film
e diventandone metafora.
di Federica Fasciolo
Robinson (Jude Law) è rimasto solo e povero: aveva già perso la sua famiglia perché dedicava troppo tempo al lavoro, e ora anche quest'ultimo gli viene tolto a causa della crisi.
L'occasione per cambiare la sua vita sembra arrivare quando viene a sapere di un sottomarino contenente milioni e milioni di dollari affondato nel Mar Nero: Stalin lo aveva inviato a Hitler ma non era mai giunto a destinazione. Le uniche cose di cui ha bisogno per partire alla sua ricerca sono un finanziamento e un equipaggio disposto ad affrontare una missione che può finire solo in due modi: con la ricchezza... o con la morte.
Come anticipavo, il Black sea non è solo quel mare capace di uccidere l’equipaggio con fin troppo estrema facilità. È infatti anche la rappresentazione di come gli uomini scivolano moralmente, sprofondando in un abisso che altera la realtà e ciò che veramente conta. Per arrivare a un finale che incarna questa idea alla perfezione, seppur con qualche rimando ad alcune tipicità hollywoodiane.
L'avventura non impedisce una riflessione sui personaggi, l'azione non è fine a se stessa. Il problema che emerge è sociale (chi è disposto a imbarcarsi in una simile missione non ha più nulla da perdere al mondo, o almeno crede sia così) ma anche individuale. Non tutti sono disposti a dividere il tesoro in parti uguali come deciso dal comandante e la mancanza di legami di fiducia veri fa predire che buona parte dell’equipaggio non sarà facilmente controllabile nei propri impulsi per difendere quelli che ritiene i suoi migliori interessi.
La scelta registica è coraggiosa: quasi tutte le scene sono ambientate nel sottomarino, ma il rischio di far diventare il tutto eccessivamente pesante viene arginato e si crea invece una inquietante claustrofobia. Non solo di ambiente ma anche di relazioni umane: nessuno può fuggire, i destini sono legati. Le scelte equivalgono alla sopravvivenza o alla morte di tutti quanti.
Jude Law fa certamente un passo avanti nella sua carriera con questa interpretazione: potrebbe aver deciso di percorrere, anche se almeno per il momento non con gli stessi risultati, la strada di Matthew Mcconaughey, da classico belloccio verso una maggiore maturità recitativa.
Nonostante tutti questi lati positivi, e nonostante l'avventura e la suspense, sembra comunque mancare qualcosa, alla fine. La stereotipata rappresentazione di molti dei personaggi aiuta la sceneggiatura e le dinamiche all'interno del sottomarino, ma impedisce di entrare fino in fondo in empatia col film. Inoltre spesso, per motivi probabilmente legati alla stessa natura della storia, si capisce in modo ovvio che qualcosa stia per accadere, o che debba accadere. E in effetti qualcosa accade. Non un difetto, ma non sempre una vera sorpresa, anche se una svolta imprevista c’è ed è stata ben sfruttata. Il risultato finale rimane purtroppo però un senza infamia e senza (eccessiva) lode.