I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"
Diana Maggi
Diari di Cineclub - I dimenticati - 122. Diana Maggi 13.360
Di
Virgilio Zanolla
Quando si ricorda l’importante contributo fornito dall’Italia allo sviluppo culturale di alcune nazioni sudamericane (grazie all’immigrazione che tra il secondo Ottocento e il primo Novecento portò in Uruguay, Argentina e Brasile - con le masse di contadini venuti dal Veneto e dal Mezzogiorno per dissodare l’ancor vergine terra delle vaste pianure centrali - operai, artigiani, muratori, imbianchini, cucinieri, sarti, giardinieri, e così via, ciascuno d’essi recando il suo bagaglio di nozioni e conoscenze pratiche), ci si dimentica spesso che un apporto non secondario si registrò anche in un settore in certo modo privilegiato come quello dello spettacolo: perché tanti futuri attori e registi delle cinematografie continentali erano di origine italiana e nel nostro paese in più d’un caso avevano aperto gli occhi sul mondo. La popolare attrice argentina di cinema, teatro, radio e televisione Diana Maggi fu una di questi.
Il suo nome anagrafico era Graziosa Maggi: era nata a Milano il 10 giugno del 1925, primogenita d’una coppia che dopo di lei ebbe anche un figlio maschio, Virgilio. Nel 1931, quando Graziosa contava sei anni, la sua famiglia lasciò l’Italia e si trasferì in Argentina, prendendo domicilio a Buenos Aires. Qui ella, che mostrava fin d’allora grande amore per la danza, solo poco tempo dopo debuttò col balletto del Teatro Municipal Infantil sul palcoscenico del Teatro Colón, nell’opera Aida di Verdi.
Incoraggiata dall’affetto della famiglia, che fu sempre orgogliosamente mèmore delle proprie origini (in casa e tra loro, continuavano a parlarsi in italiano) e sollecita nello stimolarne le velleità artistiche, Graziosa continuò a studiare danza. L’esordio davanti alla macchina da presa avvenne in giovanissima età, nel 1938, nella commedia di Manuel Romero Mujeres que trabajan, di cui nel ruolo di Catita era insuperabile protagonista la comica, attrice e sceneggiatrice porteña Niní Marshall: una storia a sfondo sociale dove una giovane e ricca dama, fino ad allora impermeabile nei confronti della piccola borghesia, per un risvolto della fortuna si trova costretta a vivere nella pensione in cui risiede il proprio autista. Per Graziosa il film costituì solo l’occasione di figurare in una comparsata.
Prima di ottenere un po’ di visibilità nel cinema dové infatti attendere cinque anni: quando, ormai diciottenne, si era fatta una splendida ragazza bruna dal fisico flessuoso, il viso illuminato da vivissimi occhi scuri e impreziosito dal naso sottile e armonioso e dalla bocca di bel taglio. In quel 1943 prese parte a due pellicole: Las sorpresas del divorcio di Roberto Ratto e Frontera Sur di Belisario García Villar: nella prima, un sapido vaudeville incentrato sui cattivi rapporti tra un marito e la suocera, Graziosa ebbe un piccolo ruolo e risultò col nome d’arte di Diana Mayer, che in seguito mutò in Diana Maggi; nella seconda, una vicenda militaresca, la sua partecipazione risulta nei titoli ma andò soppressa in fase di montaggio. Nella seconda metà degli anni Quaranta la giovane attrice lavorò anche in teatro e in radio, due esperienze che le furono molto utili per acquisire scioltezza nella recitazione. In quel periodo apparve in alcuni film di buon successo tipici della cinematografia argentina nel periodo peronista, quella del «acuerdo de clases», ovvero della - reale o molto presunta - sinergia tra le classi sociali avverse al capitalismo: come la commedia La calle grita di Lucas Demare (’48), la commedia musicale Alma de bohemio di Julio Saraceni (’49), e soprattutto il bellissimo e drammatico De padre desconocido di Alberto de Zavalía (’49), coraggioso atto di denuncia dell’ipocrisia della giustizia di due pesi e due misure.
Quell’anno stesso de Zavalía girò anche un altro film, stavolta commedia: La doctora quiere tangos, interpretata dall’oggi novantottenne monumento nazionale Mirtha Legrand, nella quale Diana, nella parte di Lulù, ebbe forse per la prima volta un ruolo che rispecchiava il suo temperamento. Nella settima arte, per lei l’anno della svolta fu il 1950: nel corso del quale fu attiva in cinque film: la commedia Campeón a la fuerza di Juan Sires ed Enrique Ursini, El morocho del Abasto di Julio Rossi, biografia del grande Carlos Gardel, il massimo promotore e interprete del tango argentino, la commedia El otro yo de Marcela di de Zavalía, storia del raggiro di due mariti infedeli, il drammatico Fuego sagrado di Ricardo Núñez Lissarague e il dramma romantico Nacha Regules del pescarese naturalizzato argentino Luis César Amadori. Come si vede, cinque pellicole di genere piuttosto vario, dove Diana lavorò quasi sempre in parti di fianco, con attori del calibro di Arturo de Córdova, Delia Garcés, Zully Moreno, Francisco de Paula, Alberto Closas e Laura Hidalgo, offrendo ogni volta il meglio di sé. Soprattutto in Fuego sagrado e Nacha Regules, film, quest’ultimo, per il quale venne premiata come migliore attrice non protagonista sia in Argentina che in Spagna, nel secondo Certamen di Cinema Hispano- Americano.
Nel ’51 l’appena inaugurato Canal 7 della rete televisiva nazionale invitò alcuni artisti del cinema a proporre spettacoli e altri tipi di trasmissioni per riempire i palinsesti: Diana fu una di essi, e con Juan Carlos Thorry, Analía Gadé, Darío Garzay e il balletto di Mercedes Quintana rappresentò la commedia di Tristán Bernard Petit Café, esordendo in tv. I film che seguirono misero definitivamente a fuoco l’esuberante personalità della nostra attrice: nel 1951, le commedie Concierto de bastón di Enrique Cahen Salaberry, dove fu Vicky, El complejo de Felipe di Juan Carlos Thorry, dove fu Fifì, e il lucido dramma sportivo El hincha di Romero, dove vestì i panni di Lina, l’eterna fidanzata di El Ñato, il protagonista Enrique Santos Discépolo; nel ’52, i musical Ésta es mi vida di Román Viňoly Barreto, Mi noche triste di Demare (dove impersonò la modella spagnola Lita Soler detta La Paisana, pioniera dello sport femminile nel paese iberico) e l’ambizioso e drammatico Pronto soccorso (Sala de guardia) di Tulio Demicheli, film che l’anno seguente fu tra i candidati alla Palma d’Oro al Festival di Cannes.
Nel 1953 Diana interpretò il suo ruolo più iconico, quello de La Tigra nell’omonimo film di Leopoldo Torre Nilsson: ambientata nell’angiporto di Buenos Aires, la vicenda narra l’incontro e la breve intensa relazione sentimentale tra una donna dal carattere ombroso, che vive ai margini della società, appunto la Tigra, e Luis (Duilio Marzo), uno studente della scuola d’arte. Un ruolo di grande spessore, dov’ella offrì una prova assai convincente, ricca di sfumature psicologiche. Incredibilmente, la pellicola di Torre Nilsson non è mai stata programmata in alcun cinema, impedita prima da problemi censori poi dalla sparizione delle poche copie disponibili; tra il 1962 e il ’64 essa venne trasmessa con qualche pesante taglio nel Canal 9. Per fortuna una copia dell’opera, oggi visibile su You Tube, venne conservata dall’attore, sceneggiatore e regista Armando Bó e da sua moglie, l’attrice Isabel Sarli, all’epoca produttori del film, che la donarono alla Filmoteca Buenos Aires.
Nello stesso ’53 Diana
apparve anche in due pellicole di ben diverso registro, nel musical La voz de mi
ciudad di Demicheli e nel drammatico Rimorso che uccide (Una ventana a la
vida) di Mario Soffici, che con lei ne fu anche l’interprete.
Nel ’55 dette vita a un altro incisivo personaggio: la demi mondaine Márgara
nel poliziesco La delatora di Kurt Land, una storia d’amori sordidi che ruota
attorno al protagonista Gerardo (Jorge Rivier). Due anni dopo, disegnò
un’impeccabile figura di canzonettista (interpretando da par suo alcuni motivi, tra
cui il tango Por un amor) nel drammatico La sombra de Safo di Porter, tratto da
una novella di Alphonse Daudet. Fu quello l’ultimo film a cui prese parte in
patria, per ben sette anni: perché dopo la caduta di Perón l’avvento della
cosiddetta Revolución Libertadora - mai definizione risultò così protervamente
impropria - portò anche nel mondo dello spettacolo alla resa dei conti con tutti
coloro che avevano appoggiato il peronismo o da esso tratto vantaggi,
costringendoli a lasciare l’Argentina per poter continuare a lavorare. Sicché
Diana, che era tra questi, si trasferì in Spagna, dove nello stesso ’57 tornò sul set con una parte nella commedia Los ángeles del volante di Ignacio Ferrés Iquino. Seguì qualche altra pellicola; ma nella patria di Cervantes si dedicò soprattutto al teatro, levandosi varie soddisfazioni professionali, senza tralasciare qualche apparizione televisiva. Ebbe una relazione con l’attore spagnolo Ismael Merlo Piquer, all’epoca separato dalla prima moglie; insieme costituirono per qualche tempo una compagnia teatrale. Con la sua voce intensa ed espressiva nel ’58 incise anche un disco di canzoni, Mi Platerito, per l’etichetta Vintage Music. Al principio del 1964, quando il nuovo presidente dell’Argentina Arturo Illia abolì le restrizioni contro i peronisti, Diana rientrò finalmente in patria. A Buenos Aires il vento era parzialmente cambiato, così non ebbe grandi difficoltà a riprendere il lavoro: producendosi tanto in teatro che in radio, in televisione e nel cinema. Sul palcoscenico ottenne grande successo interpretando Julia nella commedia di Alfonso Paso Vamos a contar mentiras; ottimo esito ebbero molti altri allestimenti a cui prese parte, tra cui il musical La muchachada del centro di Ivo Pelay, su musica di Francisco Canaro.
Il cinema la chiamò ancora a interpretare nuove pruriginose commedie (Placeres conyugales di Luis Saslavsky, 1964; Viaje de una noche de verano di Rubén Cavallotti, ’65; Hotel aloyamento di Fernando Ayala, ’66; Que noche de casamiento! di Porter, ’69), drammi sociali (Nadie oyó gritar a Cecilio Fuentes di Fernando Siro, '65), e musical (El extraño del pelo largo di Porter, ’70). In radio e in tv divenne popolarissima, nel piccolo schermo grazie a trasmissioni come Porcelandia (1973-74) e altre seguenti dove, sfoggiando tutta la sua verve, fu in coppia col comico Jorge Porcel; o come Matrimonios y algo más (1983-87), memorabili per il suo divertente personaggio della Vieja Loló. La sua brillante attività e la versatilità messa in mostra le meritarono nel ’74 il Premio Martín Fierro quale migliore attrice, e nell’81 il Diploma al Mérito dei Premi Konex come una delle migliori attrici comiche argentine. «Aveva uno sguardo che poteva riflettere tanto la furia della vendetta come il fuoco della passione, il calore della tenerezza o le scintille della sua risata.
Tutto questo era Diana Maggi» si legge in un comunicato dell’Asociación Argentina de Actores y Actrices, quando, molti anni dopo, la stessa passò a miglior vita. Nel ’69, partecipando al dramma didattico La histoia de la guita, adattamento di Enrique Silberstein dell’omonimo libro di Silvio Santamarina, Diana conobbe l’attore Juan Carlos López Menghi, in arte Juan Carlos Dual, col quale avviò una relazione: per sei anni i due si presero e si lasciarono, finché nel ’76 decisero finalmente di mettersi assieme, andando ad abitare in un appartamento in calle Belgrano, nel centro della capitale. Vissero felicemente uniti per trentanove anni, fino alla morte di lui, avvenuta per un attacco di cuore nell’agosto 2015: ma anche se molti erroneamente li credettero coniugati, non si sposarono mai.
Negli anni Settanta l’attività di Diana rallentò notevolmente nel cinema in
favore del teatro e degli altri mezzi espressivi; d’altronde, avvicinandosi al mezzo
secolo, certi ruoli da ammaliatrice le erano ormai inevitabilmente preclusi: nel
’71 apparve nella commedia musicale Vuelvo a vivir...vuelvo a cantar di Julio
Saraceni, e nel ’75 nella commedia La película di José María Paolantonio, un
film intelligente e non privo di poesia, che l’anno dopo ottenne il Premio Ópera
Prima nel Festival Internacional de Cine di San Sebastián, in Spagna. L’ultima
pellicola a cui ella prese parte fu, nell’82, la commedia Esto es vida di Siro: la
quale, trattandosi della prima produzione argentina realizzata in formato video e
quindi portata a 35 mm, non ebbe alcuna diffusione nelle sale cinematografiche,
mentre fu proiettata in televisione, con resa tecnica però alquanto deludente.
Per piacere più che per necessità, fu attiva in palcoscenico fino ai primi anni
del Duemila, partecipando anche ad impegnativi allestimenti come, nel ’98, il
̔̕sainete criollo’ (la farsa creola) El Conventillo de la Paloma di Alberto
Vaccarezza. Le sue ultime fatiche televisive furono le serie Los ángeles no lloran
per Canal 9 (1996-99) e Buenos vecinos per Telefè (1999-2001). Ogni tanto
rilasciava qualche intervista, ma dopo la morte di Dual diradò anche le ospitate
televisive. L’ultima volta che apparve in tv fu nel 2018, come invitata del
programma Mano a mano con Montserrat: dove, mostrando il suo costante
buonumore, ebbe un lungo colloquio col presentatore, durante il quale si espresse
in più occasioni con termini italiani.
Diana Maggi è morta il 15 settembre 2022 a Buenos Aires, all’età di novantasette anni, tre mesi e cinque giorni. Amara ironìa della sorte, al suo funerale presenziarono in tutto appena dieci persone, tanto che per spostare la cassa si dové chiedere aiuto all’autista del carro funebre. I suoi resti mortali riposano nel panteon dell’Asociación Argentina de Actores nel cimitero porteño de la Chacarita.