La stanza accanto
Di Sergio Perugini per il Sir
“La stanza accanto” (Cinema, 05.12) Ha vinto il Leone d’oro all’81a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. È “La stanza accanto” (“The Room Next Door”) di Pedro Almodóvar, il primo film del regista in territorio hollywoodiano. Prendendo le mosse dal romanzo “Attraverso la vita” (Garzanti, 2022) di Sigrid Nunez,l’autore spagnolo racconta il viaggio esistenziale di due donne, due amiche, chiamate a interfacciarsi anzitempo con la morte.A interpretarle le attrici Premio Oscar Tilda Swinton e Julianne Moore. La storia. New York, oggi. Martha è una giornalista malata di tumore. Per lei, che ha raccontato valorosamente molti conflitti, si profila una guerra senza speranza. Ad allietare le sue giornate l’amica scrittrice Ingrid. Decisa a non arrendersi alla sua condanna, Martha chiede a Ingrid di farle compagnia in una casa di villeggiatura fuori New York. L’obiettivo è trascorrere del tempo insieme in serenità finché Martha si sentirà in forze; la donna è decisa a togliersi la vita prima che il corpo l’abbandoni…
(Photo-by-Iglesias-Mas_Warner) Almodóvar firma un film di grande bellezza visiva, formale, cesellando inquadrature ricercate ed eleganti, giocate su una brillantezza cromatica. Ammantata da una veste elegante, l’opera però rivela anche una densità tematica non poco sfidante:al centro del racconto, infatti, c’è la malattia terminale e il desiderio di gestire la propria morte, attraverso la pratica dell’eutanasia.Nel dialogo tra le due amiche, Almodóvar apparentemente prova a fornire diversi punti di vista sul tema, tra chi ribadisce il desiderio di determinare la propria morte (Martha) e chi invece vorrebbe lasciare tempo alla vita, cogliendone ciò che resta (Ingrid).
A ben vedere, però, l’impostazione del film si avvita in una tesi dove a prevalere è la forza argomentativa di Martha al punto da non lasciare spazio ad altri, né a Ingrid che finisce per accogliere la scelta dell’amica né al poliziotto interpretato da Alessandro Nivola. La sceneggiatura, infatti, gli disegna un perimetro chiuso in se stesso, dove il confine è rappresentato dalla legge in materia e dai propri convincimenti morali e religiosi; non c’è spazio per la prossimità né per la comprensione della fragilità. L’argomentazione del poliziotto è liquidata in maniera sbrigativa e grossolana, etichettata come fanatica, esaurendo così il possibile “contraddittorio” in maniera superficiale.
Il film contiene un altro aspetto da rilevare: è il profilo di un’umanità fragile, bisognosa di calore e prossimità.Martha non vuole affrontare quell’ultimo viaggio da sola; è spaventata dall’idea di lasciarsi andar via senza nessuno accanto. È il ritratto dell’umanità contemporanea, così apparentemente solida ma in fondo bisognosa di ascolto, di tenerezza. In generale, si riconosce ad Almodóvar di saper governare con maestria il linguaggio del cinema, portando sempre il proprio punto di vista, che però non può essere del tutto condiviso.
Complesso, problematico, per dibattiti.