Shaliran
Il Piccolo fiore sorridente - 37
di Ruggero Scarponi
Il morbo pestifero
L’anziana Ikut, quella mattina, si era svegliata improvvisamente. Una grande angoscia le gravava sul petto. Per qualche istante fece difficoltà a comprendere dove si trovava. Volle alzarsi dal suo lettuccio e sentì che le gambe la sostenevano a fatica. Il capo le doleva e nello stomaco le sembrava le si fosse acceso un fuoco. Subito comprese ciò che stava accadendo. Allora con le poche forze che le restavano si coprì con un mantello per sopportare meglio il fresco mattutino e si diresse al tempio. Dalla sua casa doveva passare per il lungo porticato che costeggiava i rigogliosi giardini. Ma già lì vide che dei soldati sbarravano il passaggio e quindi dovette farsi strada tra le aiuole e i cespugli per poter giungere al viale che menava all’ingresso della sacra dimora. Riuscì tuttavia a scorgere quanto avveniva sotto al porticato. Diversi pellegrini che vi avevano sostato fin dal giorno prima erano distesi in terra moribondi e i soldati montavano la guardia per impedire che nessuno si avvicinasse. Allora Ikut a quella vista si ricordò che uno dei segni del morbo era costituito da delle lunghe striature rosse che dalla gola si diramavano fino al petto.
Sembravano i graffi di una belva che stesse ghermendo una preda. Istintivamente si aggiustò lo shalman intorno al collo per nascondere quei funesti segni che ne avrebbero rivelato il contagio. Ma Ikut cercando di assumere un’andatura ferma e sicura passò davanti alle guardie che sostavano all’ingresso del cortile da cui si accedeva al tempio per adempiere al servizio del Kebaj mattutino e nessuno si preoccupò di fermarla. Infatti, le guardie, insieme a dei medici, controllavano tutti i pellegrini in entrata e se qualcuno presentava segni di contagio veniva subito isolato e rinchiuso nei quartieri lazzaretto. Il Consiglio degli Anziani aveva diramato disposizioni severissime per contrastare l’epidemia. Il morbo infieriva soprattutto negli antichi quartieri, nei vicoli in prossimità dei canali dove si riversavano le fetide acque reflue della città e dove non di rado si bagnavano poveri e bambini in cerca di refrigerio durante la torrida estate. L’anziana Ikut era giunta ormai dinanzi al tempio e poté trarre un sospiro di sollievo sedendosi in terra nel luogo consentito. Ma il capo le doleva e tutto sembrava le girasse intorno. I sacerdoti che le passavano accanto la salutavano chiamandola Shawa Ikut, che significa: nonna Ikut e lei rispondeva assorta come se quelle parole le risuonassero da lontano, molto lontano. Allora giunse le mani e pregò la Sacra Prediletta dicendo, - Sacra Naor, ieri alcuni pellegrini mi incaricarono di consegnarti questa supplica. Essi ti chiedono di essere clemente con il loro figlio quindicenne colpito dal morbo che tengono celato in casa per non consegnarlo ai mudrachs, i seppellitori di cadaveri, che non hanno cuore di pensare al loro bambino, da solo, nel quartiere dei moribondi.
Mi dissero, prega la Sacra Prediletta, che faccia uscire nostro figlio dalla malattia, si dice che a qualcuno sia capitato e che il morbo non sia sempre mortale. E se nostro figlio deve morire, secondo la volontà degli dei, concedigli di morire nella difesa della nostra amata Shawrandall. Il nostro ragazzo avrebbe dovuto prendere l’istruzione militare proprio oggi e già questa sera il comandante della sua formazione verrà a casa per domandare di lui e facilmente verrà a conoscenza dei fatti. Esaudisci, Sacra Prediletta, la loro richiesta e te lo chiedo come la mia ultima preghiera che per me non chiedo nulla.- Ikut continuò lungamente a pregare la Sacra Prediletta e continuò a ricordarle tutte le invocazioni di cui si era fatta carico e le ricordò che una madre le aveva consegnato un sacchetto di semi di kresh per il tempio e un’anguria per lei e un padre con due figli le aveva dato due meloni e un fazzoletto pieno di dolci datteri e poi un altro padre le aveva dato del pesce secco e del sidro…e continuava nella sua preghiera, Ikut. Continuò tutta la mattina a ricordare alla Sacra Prediletta la devozione dei pellegrini che riponendo in lei ogni fiducia si privavano di tante cose della loro magra dispensa. Restò in preghiera fino al tramonto e non si avvide che già dal mattino presto la Sacra Prediletta l’ascoltava con grande interesse come se nel mondo quella di Ikut fosse l’unica voce a parlare e già dal mattino presto i mudrachs su indicazione dei sacerdoti del tempio Karashan l’avevano caricata sul carretto con il quale Ikut era solita trasportare i doni e l’avevano consegnata ai seppellitori ché il suo servizio divino e terreno si era degnamente compiuto.