Julio Iglesias
lo conoscevo solo di nome e solo come un grande giocatore di calcio del mitico Real Madrid, seconda divisione. Ma dal 10 di giugno del 1980 in poi, da quando mi recai a Miami per fotografarlo per un settimanale italiano, lo conobbi di persona e scoprii che era uno dei più famosi cantanti di musica latino-americana.
Secondo la sua biografia, Iglesias ha venduto più di 150 milioni di dischi in tutto il mondo, e ben in 14 lingue diverse.
A seguito di un incidente automobilistico, nel 1963, è stato costretto ad abbandonare la sua carriera calcistica e così divenne un cantante di fama mondiale.
Arrivammo a Miami, io ed un giornalista esperto di musica popolare, nel primo pomeriggio. Giornataccia umida e afosa, Iglesias ci accolse molto calorosamente nella sua bellissima villetta, che aveva appena acquistato. La villetta aveva l’aria condizionata centralizzata e lì finalmente si riusciva a respirare. Immediatamente ordinò che ci venisse offerto qualcosa di rinfrescante. Poi ci volle subito mostrare la stanza dove lui registrava le sue canzoni e ci disse che era quanto di più moderno tecnicamente esistente al momento. Poi passammo per altre stanze, alcune di esse avevano la moquette bianca più spessa che avessi mai visto, così spessa che, quando si camminava non si faceva il minimo rumore o la minima vibrazione sul pavimento. Per eliminare la polvere di fibra che si sprigionava ad ogni passo, aveva fatto impiantare ai quattro lati delle stanze con la moquette, un sistema elettrico che eliminava elettricamente tutte le impurità create dai passi, mantenendo così un’aria pulita, indispensabile per la gola di un cantante.
Finita la visita ci dette un appuntamento per l’indomani pomeriggio. Noi ci recammo in albergo e l’indomani come d’accordo di muovo a casa di Julio. Ci sedemmo in un salotto, ed il giornalista fece la sua intervista, che durò più di tre ore. Io chiesi a Julio se volesse farsi fotografare fuori nel suo giardino, ma mi disse che era troppo stanco e che avremmo fatto il servizio fotografico l’indomani al mattino presto, iniziando a scattare con il suo giornaliero bagno in piscina, prima della prima colazione.
Nel lasciarci, Julio ci invitò a cena, sempre a casa sua, per le venti. Lui avrebbe comperato un paio di secchielli di moleche bollite, quelle caraibiche, che sono piccolissime, di un blu intenso e che si mangiano intere con il morbido carapace. Aveva invitato a cena anche altri familiari e mangiammo tutti sul grande tavolo nella sua enorme cucina. L’indomani alle otto del mattino ero già ai bordi della sua piscina. Incominciai a fotografarlo mentre nuotava, poi in giardino ed in parecchi altri posti, con vestiti eleganti, con tute sportive, etc. Poi verso il pomeriggio tardi mi chiese se volessi fotografarlo mentre pescava, ovviamente gli dissi di sì.
A pomeriggio inoltrato, mentre il cielo incominciava ad arrossire lo feci correre verso di me col tramonto alle spalle, ma siccome era in controluce e non ero tanto sicuro dell’esposizione, gli chiesi di ripetere la scena, perché non volevo perdere il bel colore del tramonto. A questo punto Julio si avvicina a me col suo naso quasi attaccato al mio e con una espressione violenta mi disse nella sua lingua spagnolo: “Chingue su madre el atardecer Yo soy la foto! "A me non importa un cavolo del tramonto -IO SONO LA FOTO.".