Shaliran
Il Piccolo fiore sorridente - 35
di Ruggero Scarponi
Come avvenne il primo attacco all’onorevole città di Shawrandall
Il Principe Jalabar avrebbe voluto attaccare nel giorno di quashem per approfittare della festa e cogliere di sorpresa le difese avversarie. Ma i suoi ministri lo sconsigliarono, ritenendo offensivo per gli dei, compiere atti ostili contro la città della Sacra Prediletta, nel tempo festivo a lei dedicato. Attese, quindi, il Principe, il tempo opportuno e il giorno seguente dopo essersi consultato con il generale stratega, dettò le ultime disposizioni per l’inizio delle operazioni.
Intanto, però, nel giorno di quashem, la guarnigione di Shawrandall assistette a un fatto insolito.
Un cavaliere nemico, infatti, si portò sotto alle mura e al suo apparire subito gli spalti delle fortificazioni si riempirono di soldati pronti alla difesa. Costoro, però, restarono sorpresi nel constatare che si trattava di un semplice cavaliere solitario e incuriositi si domandavano quale fosse la ragione di quel gesto.
Il cavaliere, con le insegne del Principe e in divisa da ufficiale, prese a rivolgersi contro di loro con tono concitato. Ma poiché essi non comprendevano la sua lingua restarono silenziosi senza nulla ribattere. Tra tutti, un arciere, appostato sulle mura, che aveva combattuto lungamente contro gli eserciti del Principe, comprese il significato di quelle parole e subito si recò a rapporto dal suo comandante.
Così parlò il soldato. - Mio comandante, io posso tradurre quanto ci manda a dire il cavaliere nemico. - Ebbene parla. - Disse l’ufficiale. - Mio comandante non posso riferire le parole precise per non mancare di rispetto al tuo grado, tuttavia posso affermare che ci sta insultando. - Per non creare inutile allarme, in quel giorno festivo, l’ufficiale non ritenne opportuno dare il segnale di allerta generale e si limitò a inviare un dispaccio al Consiglio degli Anziani che da qualche giorno si era ritirato nella fortezza della Rohat, per sovrintendere alla difesa della città senza essere esposto al contagio del morbo pestifero.
I magistrati compresero che gli insulti del soldato erano una sorta di annuncio della battaglia e pertanto convocarono tutti responsabili militari per concordare il da farsi. Inoltre, inviarono un messaggero al Gran Sacerdote per invitarlo a celebrare il rito dell’anatema. Ma questi era titubante perché le scritture prescrivevano chiaramente di astenersi dal proferire interdetti e anatemi nel tempo festivo. Allora il Consiglio, fece presente che il giorno di quashem era terminato e quindi nulla ostava alla pronuncia dell’anatema. Ma l’alto prelato replicò che si era comunque nel tempo del Narfur, tempo festivo per definizione e quindi non lecito alla pronuncia della terribile maledizione. Il Consiglio protestò l’eccezionalità della situazione e la guerra in corso e… e la disputa si accese dividendo il popolo di Shawrandall in due partiti.
In quelle ore, in attesa della battaglia, le menti più fini di Shawrandall s’impegnarono nella disputa che come sarebbe stato scritto e tramandato per innumerevoli anni passò alla storia come la disputa dell’anatema. Ma già al mattino presto, poi che furono passati due giorni dal quashem, dalle mura dell’onorevole città fu possibile scorgere le schiere del Principe prendere posizione per l’attacco. Il generale stratega aveva ordinato ai contingenti delle provincie di avanzare a falange, con le lunghe lance rivolte al nemico. Dietro seguivano i fantaccini armati alla leggera per la scalata alle mura. Infine una compagnia di arcieri con gli archi di lunga gittata chiudeva questo primo schieramento.
Sulle mura, gli assediati, attendevano la prima mossa del nemico. E finalmente nella vasta pianura risuonò un ordine e subito, una salva di frecce, cui ne seguirono numerose altre, si abbatté sulle mura della città. Era cominciata. La falange, intanto, avanzava lentamente, a copertura dei reparti d’assalto. Incessanti rullavano i tamburi.
I generali di Shawrandall che ben conoscevano l’efficacia degli arcieri nemici, avevano predisposto sulle mura, delle paratie mobili, da azionare con dei tiranti per intercettare le frecce. La falange continuava ad avanzare al rullo dei tamburi. Gli stendardi delle varie unità sventolavano orgogliosi nel campo di battaglia ma da Shawrandall non si avvertiva nessuna reazione. Ci furono molteplici lanci di dardi. I difensori sembravano insensibili a quegli attacchi. Intanto, nella città, si era diffusa la notizia dell’attacco nemico. L’atmosfera di festa che fino al giorno precedente aveva animato le vie e le piazze aveva lasciato il posto all’ansia e alla paura. I dardi nemici si abbattevano come una pioggia maligna sui tetti delle case o sulle vie adiacenti alle mura trafiggendo senza pietà chi incautamente abbandonava un sicuro riparo. Ma soprattutto instillavano la paura nei cittadini che improvvisamente si vedevano per quello che erano veramente: prigionieri, prigionieri in una città sotto assedio e senza possibilità di fuga. La falange avanzò fino al limite del fossato e gli arcieri scagliarono altri dardi. Poi, la temibile schiera aprì i ranghi e squadre di esperti fanti dettero l’assalto alle mura cittadine.
I generali di Shawrandall osservavano con calma le operazioni. Così come i cittadini delle nobili casate che possedevano alte torri, dalle quali si poteva vedere il campo di battaglia. Al di sotto, si raccoglievano cittadini di tutte le condizioni, che continuamente chiedevano notizie. Quando tutti gli assalitori presero a scalare le mura, solo allora, scattò la micidiale reazione di Shawrandall. Le macchine da lancio bersagliarono impietose la falange mietendo vittime, mentre gli arcieri posti a difesa dei bastioni, presero di mira gli assalitori, appesi alle mura. Fu un autentico massacro.
Il Principe Jalabar dal vallo di legno vide compiersi in pieno la disfatta. La falange arretrò precipitosamente mentre gli ufficiali cercavano di evitare l’onta della rotta disordinata. Per i contingenti d’assalto, invece, intrappolati tra le mura e il fossato, non ci fu nulla da fare e furono trucidati fino all’ultimo. Dalle vie, dalle piazze, dalle botteghe, dai giardini, dai palazzi, dovunque in Shawrandall, si alzò un urlo di vittoria. L’euforia di quel primo scontro vittorioso aveva acceso la speranza nei cittadini che già si vedevano trionfanti su quel nemico minaccioso e arrogante.
Ma il Principe Jalabar sapeva bene che per conoscere il potenziale di una città assediata era indispensabile quel sacrificio. Ora egli aveva un’idea abbastanza precisa di come erano dislocate le macchine da lancio e della consistenza delle difese. Riunì il consiglio di guerra e dette istruzioni allo stratega per l’elaborazione del piano d’assedio. La battaglia vera e propria doveva ancora cominciare come sarebbe stato scritto tramandato per innumerevoli anni.