Liv Ullmann
Di Santi Visalli
Ingmar Bergman, regista svedese è sempre stato uno dei miei registi preferiti. Mi son visto tutti i suoi grandi film, alcuni anche più volte. Il Settimo Sigillo (1957), Il Posto delle Fragole (1957), Persona (1966), Fanny e Alexander (1982), Sinfonia D’autunno (1978) e Sussurri e Grida (1972). Carattere tipicamente nordico, ma geniale. Da catalogare direttamente all’opposto di Federico Fellini con il quale ho avuto il piacere di lavorare per cinque intere settimane a Roma, mentre girava Casanova (1976).
La musa di Ingmar Bergman, ed a volte amante, è stata la grande attrice Norvegese Liv Ullman, con i suoi magnifici capelli biondi, la sua pelle liscia come la miglior porcellana cinese, poche e piccole lentiggini. Lei nordica riesce ad affascinare persino un ‘SICULU” come me, e non solo.
Il dieci di aprile del 1972 alle nove del mattino io avevo un appuntamento nel mio studio di Manhattan per fotografarla, non nascondo che Liv Ullman è ancora oggi una delle mie stars preferite. Lei arriva puntualissima. Sento lo scricchiolio dei freni del taxi e mi affaccio alla finestra, la vedo scendere dal taxi e poi subito sparire. Io ero già pronto, ansioso e felice di poterla fotografare. Lei entra tutta eccitata, mi dice guarda: uscendo dal taxi ho investito la porta e vedi quest’occhio nero, guarda è tutto livido... Maledizione oggi non posso farmi fotografare e domani parto per la Svezia. Io per la verità non avevo visto nessun urto con la porta del taxi.
Liv le dico: io debbo consegnare al New York Times i rullini oggi stesso non più tardi delle 11:00, ho una dead line che non si può rimandare. Il giornale aspetta le foto per poter chiudere il numero. Perché non prendete una foto d’archivio, mi risponde Liv. Non si può. Vogliono una foto recente. E poi farei una figura da stupido. Penseranno che sia colpa mia se non riesco a fotografarti. Tira e molla lei non vuol cedere. A un certo punto mi viene la geniale idea di dirle: Guarda io ti farò apparire come una Monna Lisa, di profilo ma, sempre un Mona Lisa.
A questo punto dopo più di quindici minuti di agitata conversazione, la convinco a farsi fotografare. E così incominciamo. Lei a posare ed io a fotografare. Tenendo sempre presente di non inquadrarle l’occhio livido.
Giocando con la luce, la feci posare in controluce in modo da creare un contrasto naturale, che nascondesse il livido e così realizzai la mia Mona Lisa. Scattai un paio di rullini tri X e le dissi che avevo finito. Lei si girò leggermente verso di me alzò la mano sinistra per togliere i capelli che le erano caduti sul suo dolce viso ed espose pochissimo l’occhio livido e mi disse questa foto è per te. Ti voglio lasciare questo ricordo perché sei stato gentilissimo con me. Arrivederci. Mi diede un piccolo bacio sulla guancia e sparì con la stessa velocità con cui era entrata.
Diciassette anni dopo nel gennaio dell’ottantanove, la rincontrai, era in fila come tutti noi mortali alla prima del film di Bertolucci L’Ultimo Imperatore. Mi avvicinai. Le ricordai chi ero e le chiesi se volesse vedere i provini che avevamo scattato tanti anni prima e che, se avesse voluto delle foto, le avrei inviato molto volentieri delle stampe. Mi dette un indirizzo. Le inviai i provini, ma purtroppo la busta mi tornò indietro senza essere stata aperta. Ho sbagliato io o mi ha dato lei un indirizzo sbagliato?