Babilonia
di Dante Fasciolo
Venite, facciamo mattoni…
Venite costruiamo una torre fino alla fine del cielo…”,
l’opera inizia, al servizio del Re.
Forti braccia, mattone su mattone, la torre cresce
al pari dell’orgoglio e della supponenza…
Dio, che tutto vede, punisce l’invisibile.
Ora nella torre, improvvisamente, si contano a iosa
linguaggi sconosciuti, vuote parole altisonanti…
l’opera perde lo splendore e la sua gloria.
Diciamoci la verità, noi, possiamo negare
di sentirci cittadini confusi di una torre
carica di effimere e nebulose conquiste?!
La scienza, la tecnica. Il sapere
trottolano audaci, intrecciano iperbole…
sprofondano, da basso, incertezze e disagi.
L’abisso muta i suoi misteri e le sue paure,
trasforma la propria fisionomia
in un labirinto, un vortice… una babele.
Una Bibbia terrena ci narra il sopito, il non detto
nascosto tra i dedali di una nuova città verticale
che decanta il successo, mentre deride la vita.
Filone di Bisanzio nega alla vera Torre di Babele
di figurare tra le Sette Meraviglie del Mondo,
e inserisce inesistenti Giardini Pensili di Babilonia.
Quante analogie con il tempo che viviamo,
si scarta la verità, si accredita il falso…
Non si scorgono al nostro orizzonte
né un nuovo Carlo Magno desideroso
di costruire una Nuova possibile Torre,
né una nuova regina Semiramide capace
di raccogliere rose fresche tutto l’anno.