Omaggio ad un grande artista che ci ha lasciato.
Indimendicabili opere della sua intensa produzione.
Julianos Kattinis Opera
di Dante Fasciolo
Da sempre, ogni giorno all’alba, quando i colori sono tenui,
da qualche parte del Mediterraneo
inizia una lenta cantilenante melodia percepibile appena:
il risveglio del mare che tende le sue onde al tepore del primo sole
e libera il volteggiar d’aria fresca gelosamente custodita nella notte.
E piano piano ecco incalanarsi antichi flussi,
curiosi e saggi, alla ricerca di approdi possibili.
Ki-en-gi: dalla “terra dei signori della canne”
ecco giungere, insieme agli umori delle paludi,
scritture nuove e architetture sumeri che anticipano l’ocra del bronzo;
e dalle vittoriose o sconfitte città assire
il dono di epica poesia e decorazioni smaltate di sontuosi palazzi.
L’ultimo grido di Alessando Magno giunge da Babilonia
intenta a strappare agli dei i segreti degli astri;
e possenti navi fenici di cedro trasportano alle Colonne d’Ercole kinahnu:
il rosso porpora delle murici, gelosamente segreto,
e ancora, sul mare distendono alfabeto e bublo,
il mito di Adone e l’arte del papiro.
Infine, Egitto: il cielo immortalato sulla terra per un calendario di pietra.
Arte originale per pochi, e strumenti musicali idiofoni
capaci l’una e gli altri di evocare gli invisibili.
Da sempre volteggia una civiltà in cerca di perpetuo ricordo di sé,
e riempie gli spazi del cielo, colora le acque, dà forma alle terre;
con discrezione si è insinuata nella coscienza degli uomini,
e pulsa nei loro cuori al ritmo di lontane emozioni.
La vita odierna ha tutto assorbito e modificato;
ha alterato il rapporto uomo-natura, uomo-società, uomo-uomo;
ha sacrificato spirito e valori, e mercificato cuore e intelligenza;
ora naviga a vista: non ha occhi per vedere lontano, non orecchio per ascoltare,
non ha più filo per tessere futuro, né ambizione, né forza di riscatto:
si è lasciata andare, la “storia di questo mondo”,
in balia di illusorie promesse di pochi uomini potenti perché furbi,
ammaliatori perché bugiardi, vincitori perché crudeli,
forti perché prepotenti….stupidi perché mortali.
E a raccogliere le antiche trame della vita madre-maestra
che aleggia fiduciosa lungo i sentieri del nostro vivere quotidiano,
pochi uomini, sensibili custodi di un amore, si sono dedicati.
Julius Kattinis è uno di questi uomini,
carattere anticonformista, ha attrezzato il suo palcoscenico artistico:
ha raccolto il Ki-en-gi, la poesia epica, i miti e i linguaggi, i suoni;
le ardite architetture, gli smalti, i miti indefiniti;
il rosso porpora e il bronzo ocra, insieme ai blu dei cieli e dei mari,
i verdi dei prati e degli ulivi.
E da lunghi anni ripropone con le sue opere memoria e spiritualità
di lontani sentieri: civiltà disseminate nello spazio e nel tempo.
Moderno esploratore, instancabile viaggiatore,
ha esteso i suoi passi nelle terre bagnate dal Nilo, dal Tigri e dall’Eufrate,
ha ripercorso le rotte mediterranee della storia e della leggenda,
della scienza e della magia, della religione e della filosofia.
Sorprendenti latitudini geografiche e culturali hanno offerto al suo lavoro
un’impronta cosmopolita, e un’armoniosa musicalità.
Le combinazioni grafiche e pittoriche evidenziano un’identità stilistica
capace di cogliere il “volo del pensiero artistico” e il mistero della rappresentazione:
codici linguistici che denotano in Kattinis l’alta professionalità,
il senso della mutazione dinamica delle esperienze letterarie,
l’evoluzione della spazialità espressa anche attraverso le intensità del colore.
Moderno affabulatore ellenico, contemporaneo Noè,
Kattinis sintetizza con la sua firma la nuova Arca
trabocchevole di sentimenti e di propositi:
il pianto che scioglie il dolore
e la gioia per il dono della vita,
il tempo per il lavoro e quello da dedicare all’amore.
Se il mare e il deserto hanno compenetrato e forgiato l’animo e lo spirito,
e fanno da contrappunto alle figure umane
intense ed espressive catturate per amore,
Kattinis – che conosce gli uomini e le loro emozioni –
tutto restituisce nutrito di fantasia e creatività.
Si, quel volteggiar d’aria fresca mattutina si è arricchita di un carisma:
ora è denso colore, è immagine pura, è tumultuoso vortice d’arte.