#325 - 4 marzo 2023
AAAAAATTENZIONE - Cari lettori, questo numero rimarrà in rete fino alla mezzanotte di martedi 31 dicembre quando lascerà il posto al n° 359 - mercoledi 1° dicembre 2025 - CORDIALI AUGURI DI BUON ANNO e BUONA LETTURA - ORA PER TUTTI un po' di HUMOUR - E' da ubriachi che si affrontano le migliori conversazioni - Una mente come la tua à affascinante per il mio lavoro - sei psicologo? - No architetto, mi affascinano gli spazi vuoti. - Il mio carrozziere ha detto che fate bene ad usare WathsApp mentre guidate - Recenti studi hanno dimostrato che le donne che ingrassano vivono più a lungo degli uomini che glielo fanno notare - al principio era il nulla...poi qualcosa è andato storto - una volta ero gentile con tutti, poi sono guarito.
Storia

Note sulla
Memoria dei Giorni

  • La prima de "Il lago dei cigni": Simbolo della grandiosità e dell'eleganza della tradizione coreutica russa, il Lago dei cigni venne rappresentato per la prima volta al Teatro Bolshoi di Mosca, nel marzo del 1877.
    Composto da Pyotr Tchaikovsky tra il 1875 e il 1876 e ispirato a un'antica fiaba tedesca, il balletto racconta la struggente storia d'amore tra il Principe Sigfried e Odette, regina di un gruppo di fanciulle trasformate in cigni dal perfido mago Rothbar.
    La prima rappresentazione venne curata dal coreografo Julius Wenzel Reisinge, che operò diversi tagli alla partitura originale, lasciando molto spazio all'improvvisazione dei ballerini. Scelta infelice che produsse una serie di insuccessi, prima del ritiro dalle scene. Dopo la morte dello stesso Čajkovskij nel 1893, il coreografo francese Marius Petipa riprese in mano il libretto, rivisitandolo insieme all'assistente Lev Ivanov. Rappresentata al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, la nuova versione del "Lago dei cigni" riscosse enorme consenso, diventando in pochi anni l'opera più celebre del balletto e un appuntamento classico nei maggiori teatri lirici del mondo.

  • Nasce il Corriere della Sera: «Pubblico, vogliamo parlarti chiaro. In diciassette anni di regime libero tu hai imparato di molte cose. Oramai non ti lasci gabbare dalle frasi. Sai leggere fra le righe e conosci il valore delle gonfie dichiarazioni e delle declamazioni solenni d’altri tempi. La tua educazione politica è matura». L'editoriale del direttore Eugenio Torelli Viollier salutò i lettori del primo numero del Corriere della Sera, che debuttò in edicola il 5 marzo, prima domenica di Quaresima del 1876. Quattro fogli stampati in tremila copie, ognuna al costo di 5 centesimi (7 fuori Milano), che gli strilloni iniziarono a distribuire verso le nove di sera.
    A tre lustri dalla nascita del Regno d'Italia, la Destra storica, erede di Cavour ed espressione della borghesia liberale, si avviava ormai alla sconfitta elettorale dopo aver guidato la fase di completamento dell'unità e di organizzazione della macchina statale. La pesante politica fiscale, finalizzata al raggiungimento del pareggio di bilancio, fu fatale al governo Minghetti, la cui caduta aprì la strada alla sinistra storica con Agostino Depretis.
    In questo scenario, Torelli Viollier cercò di intercettare le istanze della destra moderata e tradurle in un nuovo organo di stampa, che fungesse da strumento di dialogo costruttivo con la Sinistra. Insieme a tre soci e con un investimento iniziale di 30.000 lire avviò la sua impresa editoriale, fissando la sede in un luogo simbolo della borghesia milanese: la Galleria Vittorio Emanuele. Qui lavorava un team ridotto, tre redattori e quattro operai, che curava tutti i contenuti da sé, non potendo contare su inviati.
    Per il nome si trovò più in linea con i tempi la dicitura Corriere (rispetto alle abusate Gazzetta, Avvisatore, Eco), associata all'espressione della Sera perché era previsto che uscisse il pomeriggio. Il numero di lancio si presentava in "prima" con il suddetto editoriale che riassumeva l'anima politica della testata nella formula «conservatori e moderati». Ai piedi della stessa pagina la prima puntata di un romanzo d’appendice, L’incendiario di Elie Berthet.
    In seconda spazio alla cronaca (tra cui la notizia di una drammatica morte sul lavoro di un operaio di Torino, tranciato da un treno) e alle analisi politiche e, in basso, alla rubrica "ciarle del curioso", in cui si descrivevano le piante carnivore. La cronaca milanese insieme agli spettacoli, alle notizie di borsa e all'estrazione del lotto occupavano la terza pagina. Sempre qui si riportava una circolare ministeriale emblematica del clima di conflitto tra Regno d'Italia e Chiesa romana, giacché si invitavano i prefetti a sorvegliare sui quaresimali pronunciati nelle chiese.
    L'introduzione di telegrafo e rotativa fece schizzare le copie dalle 7.000 del 1878 alle 60.000 del 1889. La stagione d'oro coincise con l'inizio del nuovo secolo e con Luigi Albertini nominato direttore responsabile dal gruppo Crespi, nuovo proprietario del giornale. In sei anni le vendite raddoppiarono da 75.000 a 150.000, assegnando al Corriere il primato di quotidiano italiano più diffuso. Tra le ragioni del successo la comparsa di periodici collegati, come La Domenica del Corriere e il Corriere dei Piccoli.
    In quegli anni, lasciarono la propria firma sul Corriere i più illustri esponenti della cultura nazionale: da Giosuè Carducci a Gabriele D'Annunzio, da Benedetto Croce a Luigi Pirandello, passando per Grazia Deledda. Nel 1904 la Redazione fu trasferita in un palazzo progettato dall'architetto Luca Beltrami, in via Solferino, che divenne da allora la sede storica. L'interesse per la Prima guerra mondiale permise di sfondare il muro delle 600.000 copie nel 1920.
    Dopo gli anni difficili della censura fascista, il Dopoguerra vide la testata cambiare nome due volte, da Corriere d'Informazione nel '45-'46, a Nuovo Corriere della Sera nel '46-'59, fino al recupero della originaria dicitura. Il ventennio '60-'70 fu caratterizzato da grandi figure di inviati come Indro Montanelli e Oriana Fallaci. Dopo questo periodo cominciò la sfida infinita con la Repubblica di Eugenio Scalfari, nel contendersi il ruolo di primo quotidiano italiano.

  • Pier Paolo Pasolini: Intellettuale tra i più geniali e controversi del Novecento italiano, in varie forme, dalla letteratura al cinema, seppe anticipare le trasformazioni della società italiana, evidenziandone limiti e storture.
    Nato a Bologna, il suo primo amore fu la poesia, cui si dedicò scrivendo in vernacolo in aperta contestazione all'egemonia culturale della Chiesa. In particolare predilesse il friulano, per la cui tutela fondò nel 1945, insieme ad altri amici, l'Academiuta di lenga furlana.
    Il trasferimento nella Capitale segnò l'ingresso nel mondo del cinema, prima come sceneggiatore e poi come regista, debuttando con Accattone nel 1961. Già dagli esordi dovette fare i conti con la censura, subendo successivamente una sorta di ostracismo per il contenuto forte e provocatorio delle sue opere, portato all'esasperazione in Salò e le 120 giornate di Sodoma, uscito postumo nel 1975.
    Nemico giurato dei luoghi comuni e delle ipocrisie della società, affrontò fin dal primo romanzo Ragazzi di vita senza tabù il tema dell'omosessualità maschile. Morì assassinato nel novembre del 1975 e il corpo fu rinvenuto all'idroscalo di Ostia. Nonostante la condanna a Giuseppe Pelosi, sono in tanti a credere che sul delitto non sia stata fatta totale chiarezza.

  • Lucio Battisti: Per molti è il più grande in assoluto della musica leggera italiana, riferimento imprescindibile per ogni generazione di artisti. Le sue canzoni, reinterpretate da illustri colleghi di ieri e di oggi, continuano a regalare sempre le stesse "emozioni".
    Nato a Poggio Bustone, in provincia di Rieti, e morto nel settembre 1998 a Milano, da autodidatta scoprì le infinite possibilità della chitarra, contaminando il pop nazionale con la musica nera e il rock d'oltreoceano. Dopo le prime apparizioni a Milano con la band "I campioni", incontrò il paroliere Giulio Repetti, in arte Mogol, e con lui iniziò un lungo sodalizio, il più prolifico nella storia della musica italiana.
    Al successo di "Balla linda" del 1968 ne seguirono tanti altri, da "Non è Francesca" a "Emozioni", da Acqua azzurra acqua chiara (che vinse il FestivalBar) a "La canzone del sole", che per oltre un decennio lo proiettarono ai vertici delle classifiche. Di contro il suo essere in anticipo sui tempi e alla continua ricerca di innovazioni, unito alla personalità schiva e libera da appartenenze politiche, lo rese oggetto di critiche e illazioni ingenerose, spingendolo a disertare le apparizioni in pubblico e sui media.
    L'ultima fase artistica, dopo la separazione da Mogol, fu segnata dalla collaborazione con il poeta Pasquale Panella, la cui poetica ermetica influenzò album come "Don Giovanni" ed "Hegel", non toccati dallo stesso successo dei precedenti. Oltre alle canzoni, di Battisti si ricordano gli straordinari duetti, su tutti quello con Mina.

  • Primo cellulare in commercio: Stretto e lungo, tutt'altro che maneggevole e per giunta molto costoso. Si presentava così il DynaTAC 8000x, il primo cellulare a debuttare nei negozi. Paragonato ai moderni smartphone fa un certo effetto... eppure cominciò da qui l'era della telefonia mobile!
    In principio fu la Bell System (nata dalla storica compagnia di Alexander Graham Bell, riconosciuto, insieme con l'italiano Meucci, come l'inventore del telefono) a tentare la strada della telefonia wireless, con risultati scarsi e limitati solo all'utilizzo nelle autovetture, in particolare delle forze dell'ordine. La sfida di farne il nuovo strumento di comunicazione tra le persone fu raccolta da John Mitchell, vicepresidente della Motorola.
    Fu lui, all'inizio degli anni Settanta, a incaricare del progetto Martin Cooper, esperto ingegnere della compagnia elettronica di Chicago. Il primo straordinario traguardo venne raggiunto il 3 aprile del 1973, con Cooper che effettuò la prima chiamata senza fili, contattando dalla Sesta Strada di New York City l'ufficio del suo rivale Joe Engel, anch'egli impegnato su un progetto simile per la Bell. L'esperimento fu possibile grazie anche alla decisione della Agenzia federale americana sulle telecomunicazioni, di liberare le frequenze necessarie.
    Trascorsero dieci anni, e ben 100 milioni di dollari di investimenti, perché quella scoperta si trasformasse in un prodotto commerciale. Nel 1983 Motorola inaugurò la sua prima linea di cellulari, identificata con la sigla DynaTac (una sigla che stava per Dynamic Adaptive Total Area Coverage). Il modello di lancio, l'8000x, comparve nelle vetrine dei negozi il 6 marzo di quell'anno, disponibile nei colori bianco e nero. Per realizzarlo la società statunitense aveva sborsato un milione di dollari.
    Alto circa 25 cm e dal peso di 800 grammi, con la sua forma rettangolare, stretta e lunga, e con l'altrettanto lunga antenna di gomma, dava più l'idea di un walkie-talkie che di un telefono portatile e costava non poca fatica portarselo dietro. La tastiera si componeva di dodici bottoni standard, con numerazione da 0 a 9 più l'asterisco (*) e il cancelletto (#), e di ulteriori nove tasti con funzioni speciali, tra cui "recall", "volume" e "clear".
    Alla poca maneggevolezza e alla scarsa durata della batteria (reggeva al massimo un'ora di chiamate) si univa il prezzo esorbitante, accessibile soltanto ai più benestanti: 4.000 dollari (equivalenti oggi a 9.000 dollari e 6.500 euro circa). Ciononostante, le prenotazioni per acquistarlo superarono di gran lunga gli esemplari in commercio, spingendo gli ingegneri a lavorare già a un secondo modello.
    Un aspetto tra gli altri, che si cercò di migliorare nei DynaTac successivi, riguardava la batteria. Da un lato si arrivò a ridurre i tempi di ricarica, dalle iniziali 10 ore a un'ora soltanto, grazie all'introduzione di un caricabatterie da tavolo. Dall'altro si lavorò sulle dimensioni che incidevano non poco sul peso complessivo del telefono, soprannominato per questo «il mattone» (in inglese "the brick"). La tecnologia del telefono senza fili salì gradualmente alla ribalta e in pochi anni vide aumentare in maniera esponenziale il numero degli utenti, fino al boom tra la fine degli anni Novanta e l'inizio del 2000, che interessò anche l'Italia. Numeri alla mano si può concludere che sia stata una delle rivoluzioni tecnologiche più rapide e più influenti della storia. Se i primi cellulari cambiarono le comunicazioni telefoniche tra le persone, i più recenti smartphone, dotati di innumerevoli funzioni, hanno rivoluzionato le modalità di utilizzo del cellulare, registrando il collegamento a internet come opzione più utilizzata rispetto alle chiamate.

  • Anna Magnani: «Lasciamele tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una, che ci ho messo una vita a farmele!». In questa frase c'è la vera, grande, anima di Nannarella (suo nome d'arte), che aveva la stessa spontaneità e forza drammatica sul set come nella vita reale.
    Massima espressione della "romanità" (come lei forse solo Aldo Fabrizi), a Roma venne alla luce e trascorse gran parte della vita, fino alla morte nel settembre del 1973. Come tanti cominciò anche lei a teatro, con l'avanspettacolo, passando dal 1934 sul grande schermo con parti secondarie e sette anni dopo con il ruolo di protagonista in Teresa Venerdì di Vittorio De Sica.
    Ad Hollywood iniziarono ad apprezzarla con la sublime interpretazione di Pina nel capolavoro neorealista di Roberto Rossellini (che le fu compagno di vita per un periodo), Roma città aperta, che le valse il Nastro d'argento e venne premiato alla prima edizione del Festival di Cannes, e successivamente con Bellissima (1951) del grande Luchino Visconti. Affascinato dalle sue qualità recitative il regista Daniel Mann la scritturò per interpretare la giovane immigrata negli USA, Serafina Delle Rose, ne La rosa tatuata. Fu un trionfo per la Magnani, che ricevendo nel 1956 l'Oscar (anticipato dal Golden Globe) come "miglior attrice protagonista", entrò nella storia come prima attrice italiana a conquistare la "statuetta".
    Anti-diva per eccellenza, pensò a uno scherzo quando glielo comunicarono e rinunciò a partecipare alla grande "notte di Los Angeles". Tra le poche personalità italiane a vedersi dedicata una stella nella celebre Hollywood Walk of Fame, nella sua quarantennale carriera artistica vinse tra gli altri due David di Donatello e una Coppa Volpi (per "L'onorevole Angelina") alla Mostra del Cinema di Venezia del 1947.

  • La Festa della Donna: La giornata internazionale della donna, il Woman's Day o, più comunemente, la festa della donna ricade l'otto marzo e commemora un evento tragico accaduto nel 1908, quando a New York, 129 operaie di una fabbrica tessile scioperarono per ottenere condizioni di lavoro dignitose. Lo sciopero si protrasse fino a quando il proprietario della fabbrica chiuse le porte per evitare che le donne uscissero in strada a protestare. Un incendio doloso scoppiò nella struttura e le donne morirono.
    In America, per molti anni, l'8 marzo (giorno della tragedia) si è commemorato l’evento, con il tempo anche in Italia si è diffuso l’uso della commemorazione, associandolo al simbolo del riscatto femminile.
    Alcuni credono, invece, che la festa commemori la repressione della polizia di una manifestazione di operaie tessili avvenuta a New York nel 1857, altri credono che si faccia confusione con l’incendio della fabbrica Triangle avvenuto nel 1911, quando morirono 146 lavoratori (per la maggior parte giovani donne).
    Ad ogni modo, oggi la commemorazione ha assunto toni meno profondi e più festosi. A questo giorno è dedicata la pianta di stagione: la mimosa!

  • Dante condannato all'esilio da Firenze: «Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia». Recita così il testo della sentenza emessa dal tribunale cittadino che segnò per sempre la vita del Sommo Poeta e insieme la storia della letteratura italiana.
    Verso la fine del XIII secolo, dopo un breve periodo di pace, Firenze era ripiombata nel clima di feroce contrapposizione tra Guelfi, che sostenevano la supremazia del Papa, e Ghibellini, fautori del primato politico dell'imperatore. Questo scenario aveva favorito l'ascesa del ceto mercantile a discapito dell'aristocrazia, attraverso la creazione nel 1282 di un consiglio di rappresentanti delle Arti (corporazioni che facevano gli interessi di una specifica categoria professionale) che affiancava il Podestà nel governo del Comune, in sostituzione del Capitano del Popolo.
    Guelfo convinto e iscritto all'Arte dei Medici e Speziali, Dante aveva già al suo attivo diversi incarichi politici ed era uno dei protagonisti della scena istituzionale della sua città. L'autonomia della stessa per lui era un valore sacro da difendere contro qualsiasi ingerenza, sia da parte di sovrani stranieri, sia da parte del Papa. Per tali ragioni accolse come un evento infausto l'ascesa al "soglio di Pietro", nel 1294, del cardinale Benedetto Caetani, favorita dalla rinuncia di papa Celestino V (più che plausibile il riferimento a lui nel verso «colui che fece per viltade il gran rifiuto» del III canto dell'Inferno).
    Il nuovo pontefice, che aveva preso il nome di Bonifacio VIII, trovò nel letterato fiorentino un fiero oppositore alla sua politica espansionistica, che a Firenze finì per dividere il partito guelfo in due fazioni: i Bianchi, capeggiati dalla famiglia dei Cerchi ed espressione dell'aristocrazia più aperta alle forze popolari, erano contrari a qualsiasi ingerenza da Roma; i Neri, guidati dai Donateschi e rappresentati dalle famiglie locali più ricche, erano per interessi economici strettamente legati al Papa.
    Schierato con i Bianchi, Dante si venne a trovare sempre più isolato dai suoi, oltre che odiato a morte dai suoi avversari, per via della sua partecipazione al Consiglio dei Cento che aveva deciso la messa al bando dalla città degli esponenti più violenti delle due fazioni. A questo punto la strategia di Bonifacio VIII lo attirò in una trappola "letale". Dopo aver mandato Carlo di Valois, fratello di Filippo IV re di Francia, a prendere il controllo del Comune, fece in modo che il Poeta fosse inviato come ambasciatore a Roma per discutere la pace e qui trattenuto oltre il dovuto con l'inganno.
    In questo frattempo, Carlo di Valois approfittò dei disordini cittadini per rovesciare il governo "bianco" di Firenze, nominando Podestà il fedele condottiero Cante Gabrielli. Il nuovo Podestà, alleato con i Neri, iniziò un'azione persecutoria nei confronti dello scrittore che, oltre a vedersi saccheggiata la casa, finì sul banco degli imputati con accuse infamanti, tra cui l'estorsione e la baratteria. Quest'ultimo reato (affrontato nei canti XXI e XXII dell'Inferno), assimilabile al moderno peculato, era utilizzato spesso come pretesto per far fuori i propri avversari.
    Fu organizzato un processo farsa al quale Dante preferì sottrarsi, presagendo il destino cui sarebbe andato incontro. Si arrivò così alla sentenza del 10 marzo 1302 che condannava in contumacia l'imputato a due anni di confino, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, alla confisca dei beni e al pagamento dell’ammenda di 5000 fiorini piccoli. Al suo reiterato rifiuto di presentarsi davanti al giudice, la pena, estesa nel 1315 ai figli Jacopo e Pietro, fu commutata nella confisca dei beni e nell'esilio perpetuo, con l'alternativa della condanna al rogo se fosse stato catturato.
    Ciò per Dante significò dire addio per sempre alla sua amata terra e l'inizio di una lunga fase di sofferenza interiore e di ripensamento della sua poetica, che costituì l'humus ideologico e stilistico del suo capolavoro immortale: la Divina Commedia. La storica sentenza della condanna all'esilio è raccolta nel Libro del Chiodo, attualmente conservato presso l'Archivio di Stato di Firenze.

  • Inaugurato il tunnel sottomarino più lungo al mondo: Quando se ne ipotizzò la costruzione il Giappone era ancora sotto choc per le perdite umane e i disastri dei due attacchi atomici. La sua entrata in funzione diede al paese del Sol Levante un altro prestigioso primato nella storia del progresso ferroviario.
    Sul piano del trasporto su rotaia, il Giappone figurava tra le nazioni che avevano investito maggiormente dopo la Seconda guerra mondiale. Nel 1964 fu inaugurata qui la prima linea ferroviaria dedicata esclusivamente all'alta velocità, denominata Shinkansen, che entrò in funzione con il treno Shinkansen Serie 0 (dalla peculiare forma a proiettile), a quel tempo il più veloce al mondo (poteva raggiungere i 210 km/h).
    Già dal periodo Taisho (1912-1925) ci si era posto il problema di realizzare un collegamento stabile tra le due maggiori isole dell'arcipelago nipponico, Honshu e Hokkaido, separate da uno stretto tratto di mare. Tuttavia, solo a partire dal 1946 si effettuarono i rilievi geologici della zona, in base ai quali si approntò una prima bozza della linea ferroviaria. Lasciato nel cassetto per un decennio, lo studio dell'opera fu ripreso in maniera più decisa verso la metà degli anni Cinquanta, in seguito al tragico affondamento di cinque navi passeggeri provocato da un tifone.
    Il boom economico del ventennio '60-'70 creò il clima adatto per l'inizio effettivo dei lavori che avvenne nel settembre del 1971, con l'obiettivo di collegarla alla linea dell'alta velocità. Le condizioni geologiche particolari del fondale marino, formato da rocce vulcaniche, complicarono le attività di scavo, dando luogo a frequenti incidenti in cui persero la vita 34 operai. Completato il tunnel pilota nel 1983, cinque anni dopo l'opera, costata complessivamente 3,6 miliardi di dollari, venne portata a termine.
    Integrato nella linea ferroviaria Kaikyo (che collega le prefetture di Hokkaidō e Aomori), il tunnel prese il nome di Seikan, nato dalla combinazione dei caratteri kanji (caratteri di origine cinese usati nella scrittura giapponese) delle prime lettere di Aomori e Hakodate, le due principali città collegate attraverso lo stretto.
    All'inaugurazione del 13 marzo 1988 venne certificato lo storico primato di "più lungo tunnel sottomarino del mondo": lungo 53,85 chilometri di cui 23,3 chilometri sotto il fondo marino. A questo se ne aggiunsero altri due. Il primo relativo al "più profondo tunnel ferroviario operativo nel mondo", in virtù dei 140 m al di sotto del fondale marino (240 m sotto il livello del mare) che fa segnare il livello dei binari. L'altro è legato alle due stazioni ricavate all'interno della galleria, le prime al mondo realizzate sotto il mare: la Tappi-Kaitei e la Yoshioka-Kaitei. Entrambe furono progettate come vie di fuga in caso di incendio o altro, dotate di moderni sistemi di sicurezza e soccorso. La prima funge ancora oggi da museo sulla storia del Seikan.
    Il primato relativo alla lunghezza rimase inalterato anche dopo l'apertura del Tunnel della Manica nel 1994, anche se quest'ultimo poteva vantare un tracciato sottomarino più lungo (39 km contro i 23 del Seikan). Inaugurato il 1º giugno 2016 e aperto al traffico viaggiatori il successivo 11 dicembre, il Gotthard Base Tunnel (Galleria di base del San Gottardo), in Svizzera, è diventato il più lungo tunnel ferroviario del mondo con doppio binario in due canne con i suoi 57,104 km.

  • Sequestro Moro: L'agguato sanguinario. La tormentata prigionia. La condanna a morte. Tutto in 55 giorni, i più lunghi della storia della Repubblica italiana, che segnarono il passaggio tra due epoche e il tramonto di un progetto politico che, forse, avrebbe potuto scrivere un futuro diverso per il Paese.
    Nel panorama dei cosiddetti anni di piombo, il 1977 aveva segnato una decisa svolta verso lo scontro violento sul piano politico e sociale, combattuto tra i gruppi eversivi di sinistra e di destra e tra questi e le forze dell'ordine. Il '78 non era iniziato con migliori auspici: la sera del 7 gennaio si era consumata la strage di Acca Larentia, in cui avevano perso la vita tre giovani del Movimento Sociale.
    Sul piano politico c'era una situazione instabile, che a meno di due anni dalle elezioni aveva già portato alla caduta del governo monocolore della Democrazia Cristiana, guidato da Giulio Andreotti. Di fronte a quest'impasse e per dare una risposta convincente al Paese, attraversato da una profonda crisi sociale, il presidente della DC Aldo Moro sostenne l'ipotesi di un governo di solidarietà nazionale, con la partecipazione dei comunisti.
    Si trattava di un gesto politico di considerevole portata, i cui echi oltrepassarono i confini nazionali. Il PCI del segretario Enrico Berlinguer si diceva pronto al compromesso storico, rivendicando lo strappo con Mosca. Le resistenze però erano forti sia all'interno della DC, sia tra gli alleati internazionali dei due principali partiti italiani.
    Da un lato gli USA timorosi che, nell'ottica della guerra fredda, un partito filosovietico al governo avrebbe potuto minare i piani militari della NATO. Dall'altro l'URSS giudicava tale prospettiva una forma di emancipazione dal modello sovietico, in favore di quello americano. In questo scenario destò molti sospetti il coinvolgimento di Moro nello scandalo Lockheed, dal nome dell'azienda americana che ammise di aver pagato tangenti a politici e militari stranieri, per vendere a Stati esteri i propri aerei. Ne uscì con una piena assoluzione il 3 marzo, tredici giorni prima che accadesse l'irreparabile.
    La mattina di giovedì 16 marzo Moro era atteso alla Camera, dove Andreotti avrebbe dovuto presentare il nuovo governo con il sostegno, per la prima volta, dei comunisti. Alle 9 scese dalla sua abitazione romana e salì a bordo della Fiat 130 blu di ordinanza, seguita dall'Alfetta bianca della scorta. All'incrocio tra via Fani e via Stresa, ad attenderlo un commando di 19 brigatisti (11 secondo un'altra versione), armati di mitragliette automatiche e pronti a far scattare un agguato in pieno stile RAF (gruppo terroristico tedesco di estrema sinistra).
    Bloccando il corteo con due auto all'inizio e alla fine dello stesso, e ostruendo le vie di fuga laterali con altri veicoli parcheggiati, i terroristi entrarono in azione facendo fuoco sulla scorta e sulle due guardie del corpo dell'auto blu. La fotografia che si parò davanti alle prime persone accorse sul posto era agghiacciante: sulla strada un tappeto di bossoli e sangue, nei due abitacoli crivellati di colpi i corpi senza vita di Domenico Ricci (appuntato dei Carabinieri), Oreste Leonardi (maresciallo dell'Arma), Francesco Zizzi (vice brigadiere di Polizia), Giulio Rivera e Raffaele Jozzino (entrambi agenti di Polizia).
    Passarono 48 ore prima che le Brigate Rosse rivendicassero l'attentato e il sequestro di Moro, attraverso una foto dello stesso, ritratto con alle spalle la famigerata "stella a cinque punte" e un comunicato in cui si annunciava che il presidente della DC sarebbe stato processato da «un tribunale del popolo». La reazione dei cittadini si tradusse in cortei e manifestazioni per gridare il proprio dissenso alla violenza brigatista.
    Le istituzioni reagirono approvando una serie di "leggi speciali" volte a dare più poteri alle forze dell'ordine e agli investigatori nell'attività di contrasto al terrorismo. Sul piano politico emersero forti divisioni tra chi era per trattare con i sequestratori, come il PSI, e la maggioranza (DC e PCI in testa) che era invece per la linea dura. Nonostante il dispiegamento di forze, con migliaia di blocchi stradali e perquisizioni, le indagini sembravano non portare da nessuna parte.
    Nei 55 giorni che seguirono ci fu uno stillicidio di comunicati delle BR, ipotesi giornalistiche e polemiche politiche, con il blocco moderato che accusava l'area comunista di essere contigua agli ambienti brigatisti. Il conflitto sociale non si fermò e alcuni episodi, come l'omicidio di due giovani di sinistra del centro sociale "Leoncavallo", lo esacerbarono ulteriormente. Nel frattempo le speranze di vedere liberato Moro si facevano sempre più deboli, nonostante gli accorati appelli di personalità di rilievo mondiale, come papa Paolo VI e il presidente degli Stati Uniti d'America, Jimmy Carter.
    Il 6 maggio, le BR comunicarono l'esecuzione della condanna a morte. Tre giorni dopo il corpo di Moro fu rinvenuto in via Caetani, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata, simbolicamente, tra via delle Botteghe Oscure e Piazza del Gesù (dove avevano sede rispettivamente il PCI e la DC). Della strage di via Fani e dell'omicidio Moro furono accusati e processati 14 brigatisti, la maggior parte dei quali oggi è in regime di semilibertà.
    Inchieste giornalistiche successive fecero emergere il possibile coinvolgimento nella vicenda di altri soggetti, tra cui la loggia P2, la rete clandestina della NATO e i servizi segreti di diversi paesi. A supportarle gli innumerevoli ritardi e punti oscuri nelle indagini svolte all'epoca dei fatti e alcuni aspetti nella dinamica del sequestro e della prigionia, secondo alcuni, non riconducibili al modus operandi tipico delle Brigate Rosse.
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