Televisore gioia e dolore
Zapping
Frammenti semiseri di cronaca televisiva
di Luigi Capano
Due gli avvenimenti rilevanti di questi giorni: le elezioni regionali ed il festival di Sanremo.
Le prime hanno registrato un’ulteriore batosta ai danni della Sinistra ed in particolare del PD, ormai in caduta libera, che ha perso la presidenza anche nel Lazio (oltre che, di nuovo, in Lombardia) ma che ancora persevera, diabolicamente, ad esibire un segretario di Partito come Enrico Letta, uno dei leader politici più inadeguati di sempre. Lo ricordiamo nelle ultime elezioni nazionali giaculare lo slogan elettorale: “Se non votate per me la democrazia è in pericolo”; e dopo il tracollo finale, intervistato da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, affermare con tempi comici straordinari: “abbiamo avuto dagli Italiani il mandato di stare all’opposizione”. E, tenacemente, ancora oggi non si lesinano le boutade: “Siamo il primo partito d’opposizione” è il commento lettiano, riferito da un TG della Rai. Tra gli intrattenitori televisivi ci sembra che soltanto Maurizio Crozza abbia colto appieno le ineffabili potenzialità comiche di Enrico Letta e le abbia sfruttate da par suo nello spettacolo settimanale sulla Nove, “Fratelli di Crozza”.
E veniamo al più coinvolgente (a detta dei numeri) Festival di Sanremo. Una macchina straordinariamente complessa, congegnata e condotta da eccellenti professionisti dello spettacolo, ha filantropicamente regalato ai telespettatori una settimana luccicante e gaudiosa, proiettandoli in un mondo di sogno, appena scalfito dalle cacofonie della maggior parte dei giovani cantanti in gara (ma in tempi di fluidità e di non binarismo, anche l’ugola può reclamare il diritto di identificarsi con un naso costipato, se crede). E neanche ha pesato più di tanto quella trasgressività da gabbia delle scimmie esibita da qualche illustre ospite (che anche la cosiddetta trasgressione sia ben irreggimentata lo sa bene l’incauto Enrico Montesano recentemente espulso dal notissimo spettacolo serale di Milly Carlucci); né i soporiferi predicozzi un tantino sentimentali delle fascinose ospiti di turno; oppure il discorso guerrafondaio, vagamente sopra le righe del Presidente ucraino Zelensky, letto con partecipata compunzione dall’ottimo Amadeus. Non poteva mancare, e non è mancato, il versatile pimento à la page del razzismo ecumenicamente ammannito, malcelando una discreta forma mentis induttiva e inquisitoria che gli arcinoti Hitler e Lenin avrebbero di certo saputo apprezzare.
Come non ricordare, infine, il momento topico in cui Roberto Benigni ha esaltato la nostra Costituzione sotto gli occhi a dir poco compiaciuti del Presidente della Repubblica, definendola, con appena un pizzico di campanilismo e di intraprendenza mitopoietica, la più bella del mondo. Insomma possiamo dire che anche questa volta il Festival di Sanremo non ci ha deluso e che, come ogni anno, puntualmente, ha assolto egregiamente il proprio ufficio, effondendo nelle nostre menti e nei nostri cuori il soffio palingenetico di una meravigliosa, caleidoscopica illusione.