#322 - 21 gennaio 2023
AAAAA ATTENZIONE questo numero resterà in rete fino alla mezzanotte del 3 maggio quando lascerà il posto al numero 351. - BUONA LETTURA - ORA ANTICA SAGGEZZA - Gli angeli lo chiamano piacere divino, i demoni sofferenza infernale, gli uomini amore. (H.Heine) - Pazzia d'amore? Pleonasmo! L'amore è già  in se una pazzia (H.Haine) - Nel bacio d'amore risiede il paradiso terrestre (Lord Byron) - Quando si comincia ad amare si inizia a vivere (M. de Scudery) - L'amore è la poesia dei sensi ( H. De Balzac) - Quando il potere dell'amore supererà  l'amore per il potere, sia avrà  la pace (J. Hendrix)
Storia

Note sulla memoria dei giorni

  • Arriva il 13 al Totocalcio: «Quote più elevate nei concorsi popolari. La scheda a 13 vi porterà fortuna!» Con questo messaggio accattivante, agli amanti della storica schedina viene annunciato che da domenica 21 gennaio, se vorranno portarsi a casa l'intero montepremi, dovranno indovinare tredici risultati e non più dodici. Una piccola grande rivoluzione nel mondo dei pronostici e della lingua italiana, destinata a durare oltre mezzo secolo.
    Ideata nel 1946 dal giornalista sportivo Massimo Della Pergol e ribattezzata due anni dopo (con la gestione diretta del CONI) Totocalcio, la schedina entra subito nel cuore di migliaia di italiani, che al bar e nelle case si ritrovano a rispettare un rito di speranzosa attesa della domenica calcistica. I loro sogni di riscatto sociale e di una vita migliore sono legati a un numero: il 12.
    Tante le partite elencate su quel foglietto rettangolare, di cui bisogna azzeccare l'esito finale. Impresa non facile visto che, statistiche alla mano, parliamo di una possibilità su 531.441. Ciononostante, non pochi sul finire del weekend si trovano a gridare «Ho vinto!», per aver centrato dodici o undici risultati. Per questo le quote sono spesso popolari e a cinque anni dal lancio del gioco gli organizzatori pensano a una modifica. Si arriva alla prima giornata del girone di ritorno del campionato di serie A 1950/51, in cui fa la sua comparsa la nuova griglia a 13 partite. Le regole restano immutate, tranne che da adesso si vince con il 13 e con il 12. Le probabilità di ottenere la vincita massima salgono a 1 su 1.594.323 ma subiscono una decisa impennata anche le quote. L'anno dopo viene introdotta la seconda colonna che dà alla schedina il formato storico, al costo minimo di 100 lire a colonna.
    Da qui in poi il numero dei giocatori e delle giocate cresce vertiginosamente e si registrano le prime vincite multimilionarie: i primi a superare i 100 milioni di lire sono Renzo Rinferi di Prato e Luigi Piacenza di Savona, che si aggiudicano, ognuno, un "13" da 104 milioni. A loro, e a tanti dopo di loro, il Totocalcio sconvolge l'esistenza e da quel momento «fare 13» entra nella lingua italiana, quale sinonimo di una strepitosa fortuna ricevuta dal destino o del conseguimento del più alto profitto tratto da un'impresa. Verso la fine degli anni Novanta il primato del Totocalcio inizia a scricchiolare, dapprima per la comparsa di altri concorsi legati al mondo del calcio (quali Totogol, Totosei e Totobingol, questi ultimi due soppressi dal 2003); in seguito per la legalizzazione (dal 1998) delle scommesse sportive. Il mito del "13" resiste per sessant'anni, tramontando definitivamente nell'agosto 2003 quando sulla schedina debutta il "Tredicissimo", alias il quattordicesimo risultato

  • Gli Alleati sbarcano ad Anzio: Nella notte del 22 gennaio l'esercito alleato diede vita a un'imponente operazione militare che si rivelò ben più ardua del previsto, causando migliaia di perdite tra le file dei "liberatori". Lo sbarco di Anzio (nel Lazio), noto anche come Operazione Shingle, venne ricordato come una delle fasi più drammatiche della Seconda guerra mondiale combattute sul territorio italiano.
    Dopo i primi risultati positivi della Campagna d'Italia (che aveva visto Inglesi e Americani sbarcare in Sicilia e in Calabria e respingere gradualmente i Tedeschi verso il centro), di fronte allo stallo dell'offensiva di terra, rallentata dai tentativi respinti di conquistare Montecassino, si studiò una strategia alternativa. Nel corso della conferenza di Marr Franklin D. Roosevelt pianificarono l'Operazione Shingle (in italiano "ciottoli di spiaggia"). In pratica, con lo sbarco sulla spiaggia di Anzio, a soli 40 km da Roma, erano convinti di aggirare la linea Gustav delle truppe germaniche che tagliava in due l'Italia (dalla foce del Garigliano, ad Ortona, passando per Cassino), e lanciare l'offensiva verso Nord.
    Il D-Day venne fissato per il 22 gennaio. Alle ore 2,45 un convoglio di 374 navi sbarcava la I Divisione Britannica sul tratto di costa fra le Torri Caldara e San Lorenzo, mentre la III divisione Americana puntava sull’arco costiero compreso tra Nettuno e Torre Astura, noti con i nomi in codice di Peter Beach e X Ray Beach. Il comando delle operazioni era affidato al generale John P. Lucas.
    La strenua resistenza dei battaglioni tedeschi agli ordini del comandante Albert Kesselring da un lato, le abbondanti piogge con il conseguente allagamento della zona dall'altro, resero le operazioni più difficili del previsto. Ne seguirono feroci battaglie, che si risolsero a favore degli alleati soltanto verso la fine di maggio.
    Si arrivò al trionfo di domenica 4 giugno: mentre i Tedeschi ripiegavano al di là della linea Gotica (che dalle attuali Massa e Carrara arrivava alla costa adriatica di Pesaro, passando attraverso le Alpi Apuane e gli Appennini modenese e bolognese), il generale Mark Wayne Clark, della V Armata americana, entrò nella Capitale tra la folla festante.
    Ricordata come un successo da alcuni storici, come un fallimento da altri, lo Sbarco di Anzio provocò gravi perdite da ambo le parti: circa 30.000 uomini tra i soldati americani, 12.000 le vittime inglesi, 25.000 quelle tedesche. Tra le forze alleate, perse la vita E. F. Waters, padre di Roger Waters, ex bassista dei Pink Floyd. L'episodio ispirò a quest'ultimo le canzoni dell'album "The Wall", tra i migliori in assoluto nella storia del rock.

  • Giambattista Vico: Nato a Napoli (nell'odierna via San Biagio dei Librai, come ricorda una lapide lungo la strada), è considerato il più grande filosofo dell'epoca moderna, oltre ad essere ricordato come storico e giurista.
    Cresciuto in un ambiente povero e costretto ai più diversi lavori per prendersi cura dei genitori anziani e dei sette fratelli, lavorò come precettore fino al 1699 quando vinse la cattedra di Retorica all'Università di Napoli. Scomparso a 76 anni (gennaio 1744), venne sepolto nella chiesa dei Girolamini.
    Formatosi nell'ambito della cultura umanista napoletana, attraverso le letture di Bacone, Gassendi, Descartes e Scienza nuova, dove in polemica con Cartesio difende il valore dello studio delle lettere e della storia, rispetto al primato cartesiano delle scienze matematiche e fisiche.
    La "scienza nuova" è la storia che, secondo Vico, deve fondarsi sulla filologia e sulla filosofia e cui va attribuito un valore di verità come per la matematica.

  • Édouard Manet: Un grande maestro della pittura en plein air (all'aperto), fatta di pennellate rapide, di vivacità di colori e di una resa naturalistica della luce, e in ciò anticipatrice della corrente impressionista.
    Nato a Parigi e morto nella stessa città nel 1883, ostacolato dalla famiglia portò avanti le sue aspirazioni artistiche, studiando pittura prima presso Thomas Couture e poi presso Leon Bonnat, di cui seguì le lezioni all'Academie. Qui strinse amicizia con letterati di grido, come Zola e Mallarmè, e soprattutto con i futuri impressionisti, da Degas a Renoir.
    A differenza di questi ultimi, da cui prese le distanze, cercò il riconoscimento delle istituzioni, tentando inutilmente di esporre al Salòn di Parigi. Le sue opere "all'aperto", realizzate ai giardini delle Tuileries, alle spalle del Louvre, crearono scandalo e diedero un tratto distintivo alla sua produzione. Restano celebri in tal senso Colazione sull'erba e Olympia

  • Salvador Dalí: Artista poliedrico e tra i più eccentrici del Novecento, con il suo stile onirico è stato il maggior esponente della corrente surrealista. L'inesauribile estro che gli era peculiare lo ha portato ad eccellere in diversi campi, dalla pittura alla fotografia, dalla scultura al cinema.
    Nato a Figueres, nella parte più a est della Catalogna, Salvador Domènec Felip Jacint Dalí i Domènech, marchese di Púbol, fu segnato dalla prematura perdita della madre, perdita da lui definita «la disgrazia più grande che mi capitò perché sapeva rendere invisibili le inevitabili imperfezioni della mia anima». Dopo una prima esposizione in forma privata nella casa paterna, in cui erano chiari i richiami alle istanze artistiche moderne, espose per la prima volta in pubblico nel 1919, al Teatro Municipale di Figueres.
    Messosi in luce all'Accademia delle belle arti di San Fernando per gli slanci verso il cubismo e il dadaismo, si trasferì poi a Parigi e qui conobbe Pablo Picasso, la cui arte lo influenzerà negli anni successivi. Mentre stava ancora maturando il proprio inconfondibile stile, espose a Barcellona dividendo la critica tra entusiasti e perplessi; nello stesso periodo, imitando il grande maestro del Seicento spagnolo Diego Velázquez, decise di farsi crescere dei vistosi baffi che conservò fino alla morte.
    Alla fine degli anni Venti incontrò la sua musa ispiratrice e futura moglie, Elena Ivanovna Diakonova (nota come Gala), un'espatriata russa sposata al poeta surrealista Paul Éluard. Agli inizi degli anni Trenta allestì le sue prime mostre importanti e diventò ben presto un pittore professionista, andando incontro al successo internazionale nel 1934, con la prima esposizione a New York.
    Nello stesso anno fu espulso dal gruppo dei surrealisti per non aver voluto condannare apertamente il fascismo, né aver voluto manifestare le proprie simpatie politiche. Al fine di denigrarlo, di lui i surrealisti parlarono solo al passato remoto considerandolo come morto e, per sottolineare la crescente commercializzazione delle sue opere, gli fu coniato il soprannome "Avida Dollars" dall'anagramma del suo nome.
    Agli inizi degli anni Sessanta, iniziò a lavorare al Teatro-Museo Dalí nella sua città natale, per il quale impiegò la maggior parte delle proprie energie fino al 1974. In quest'ultima fase trovò una seconda musa nella cantante e attrice Amanda Lear. Debilitato nel sistema nervoso (per un cocktail di farmaci somministratogli per errore dalla moglie), si spense nella città natale, il 23 gennaio del 1989.
    Autore di 1.500 dipinti, illustrazioni per libri, litografie, scenografie e costumi teatrali, disegni, sculture, la più vasta collezione di sue opere si trova proprio al Teatro-Museo Dalí di Figueres e al Salvador Dalí Museum di St. Petersburg in Florida.

  • Edvard Munch: Noto come l'esistenzialista dei fiordi, con la sua pittura anticipò gli aspetti peculiari dell'espressionismo, di cui è considerato il padre.
    Nato a Løten, nel sud-est della Norvegia, e morto ad Oslo nel 1944, dopo aver studiato all'Accademia di belle arti di Oslo, si trasferì a Parigi formandosi sulle opere di Gauguin, Van Gogh e Degas. Dal 1892 al 1902 visse il periodo di maggiore ispirazione, segnato dal capolavoro assoluto: L'urlo.
    Legato a un episodio reale della sua vita, in esso portò alla massima esasperazione (nei contorni deformati dei soggetti, nell'uso della luce e nel paesaggio fatto di linee ondulate) quell'angoscia esistenziale, che fu la cifra distintiva di tutta la produzione di Munch.
    Osteggiato dal regime nazista, trascorse gli ultimi anni dell'esistenza afflitto da gravi disturbi nervosi. Nel centenario della nascita gli fu intitolato a Oslo un museo, che conserva circa 1100 dipinti, 3000 disegni e 18000 litografie del maestro norvegese, oltre a una versione de "L'urlo", per due volte trafugata (1994 e 2004) e in entrambi i casi recuperata dalla polizia.

  • Giorno della Memoria: "La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati".
    Così recita il testo dell'articolo 1 della legge italiana che spiega cosa si ricorda nella giornata della Memoria. La scelta del 27 gennaio si riferisce proprio al giorno in cui, nel 1945, le truppe sovietiche dell'Armata Rossa scoprirono il campo di concentramento di Auschwitz e liberarono i pochi sopravvissuti allo sterminio, rivelando al mondo intero l'assurdità e la follia del genocidio nazista e gli strumenti di tortura e di annientamento del lager.
    La giornata della memoria è celebrata in molte nazioni, tra cui Germania e Gran Bretagna ed è riconosciuta anche dall'ONU in seguito alla risoluzione 60/7 del 1º novembre 2005.

  • Liberato il lager di Auschwitz: «Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto». Così lo scrittore rumeno Elie Wiesel, sopravvissuto all’Olocausto e Premio Nobel per la pace 1986, ricorda nelle sue memorie uno dei tanti orrori vissuti nel lager di Auschwitz. Un inferno da cui fu liberato insieme a poche migliaia di superstiti, ridotti in condizioni scheletriche, dall'arrivo delle truppe sovietiche.
    La città di Oświęcim (in tedesco Auschwitz), sita a 75 km da Cracovia, era stata per secoli un luogo di pacifica convivenza tra gli abitanti di origine polacca e quelli di origine tedesca. Dal 1400 la popolazione era in maggioranza di religione ebraica, ma ciò non le aveva impedito di figurare tra i principali centri della cultura protestante in Polonia. Lo scoppio del secondo conflitto mondiale mutò completamente lo scenario.
    Dopo l'invasione della Polonia, i Nazisti decisero di aprire in questa zona un campo di concentramento destinato a dissidenti polacchi, comunisti, intellettuali, criminali tedeschi e zingari. A questo scopo furono utilizzate delle vecchie caserme dell'esercito polacco, nella periferia della città.
    L'area, recintata con il filo spinato elettrificato, venne chiusa da un cancello di ferro tristemente famoso per la scritta ingannevole che lo sormontava: «Arbeit macht frei» ("il lavoro rende liberi"). Il fabbro che l'aveva realizzata pare che avesse appositamente saldato la "B" al contrario, in segno di protesta verso la reale funzione del luogo.
    Nei due anni successivi il complesso si ampliò ulteriormente con il campo di Birkenau, riservato inizialmente ai prigionieri russi, e il campo di lavoro di Monowitz, quest'ultimo destinato a sfruttare il lavoro dei deportati per la costruzione di una fabbrica legata alla produzione di gomma sintetica (mai avviata). Con l'adozione della famigerata soluzione finale, proposta nella conferenza di Wannsee del gennaio 1942, l'area divenne lo strumento di un disegno criminoso: lo sterminio del popolo ebraico.
    Da quel momento Birkenau si trasformò in una "cittadella di morte", attraverso la costruzione di camere a gas e forni crematori. La scelta ricadde qui per la vicinanza della linea ferroviaria che facilitava le deportazioni.
    Al loro arrivo i prigionieri venivano spogliati di tutto e rivestiti con una casacca standard che si distingueva per un contrassegno colorato all'altezza del torace (identificativo della categoria del detenuto; agli ebrei era associata una stella gialla a sei punte) e per il numero di matricola (tatuato anche sul braccio sinistro). Tutti i deportati ignoravano la loro destinazione e la sorte che li attendeva. Stremati dalla fame e dalle indicibili torture patite, molti preferirono andare incontro alla morte volontaria lanciandosi contro il filo spinato elettrificato, piuttosto che aspettare di essere avvelenati dal gas e bruciati nei forni crematori. Qui, in tre anni, furono messi a morte circa 12mila ebrei al giorno.
    Uno sterminio di massa che s'interruppe solo di fronte all'avanzata dell'Armata rossa in Polonia, di fronte alla quale il capo delle SS Himmler diede l'ordine di evacuare i prigionieri e distruggere qualsiasi traccia dei crimini commessi, dai forni crematori agli indumenti delle vittime ammassati nei magazzini. L'operazione non poté essere portata a termine e molte testimonianze di quell'inferno rimasero intatte.
    Quando il pomeriggio del 27 gennaio le truppe sovietiche della Prima Armata del Fronte Ucraino, al comando dal maresciallo Konev, abbatterono i cancelli di Auschwitz si trovarono di fronte a 7mila fantasmi: tanti erano i sopravvissuti ridotti a pelle e ossa che li accolsero. L'ispezione della zona fece emergere le prime tracce dell'orrore consumato all'insaputa del mondo intero: tra i vari resti, furono rinvenute 8 tonnellate di capelli umani.
    Nelle settimane successive si poté così svelare il più grande inganno della storia, partendo dai numeri. Si parlò inizialmente di 4 milioni di ebrei uccisi ad Auschwitz, cifra rivista in seguito e fissata a 1.500.000. La gran parte di essi fu messa a morte poco dopo l'arrivo, la restante spirò per malattie e denutrizione.
    Più dei numeri dicevano le numerose testimonianze dei sopravvissuti, tra cui lo scrittore torinese Primo Levi (autore del romanzo Se questo è un uomo), e quelle lasciate dalle vittime, come il celebre diario di Anna Frank.
    Istituzioni governative e culturali si attivarono negli anni perché le generazioni future non dimenticassero mai più questa drammatica pagina di storia. L'UNESCO dichiarò Auschwitz Patrimonio dell'Umanità nel 1979. Nel 1996 la Germania riconobbe il 27 gennaio come Giorno della memoria delle vittime del Nazismo, proclamata anche dall'Italia (nel 2000) e dall'ONU (risoluzione 60/7 del 1° novembre 2005).

  • Wolfgang Amadeus Mozart: Non ci sono dubbi che sia lui il più grande compositore di tutti i tempi, anche se un certo Beethoven provò a contendergli degnamente il primato.
    Nato a Salisburgo, uno dei principali centri dell'allora Impero asburgico (e oggi dell'Austria centro-settentrionale), Joannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus Mozart dimostrò presto le doti di genio della musica, componendo già a cinque anni brani per clavicembalo e violino. Portato dal padre ad esibirsi in giro per l'Europa, fu più volte in Italia, dove sostenne l'esame per entrare all'Accademia Filarmonica di Bologna. Entrato in contatto con Joseph Haydn, al quale rimase sempre legato da solida amicizia, portò alla massima espressione il cosiddetto classicismo viennese, una stagione aurea della musica tedesca, inaugurata dallo stesso Haydn e chiusa da Beethoven.
    Nell'ultimo ventennio del XVIII secolo compose le sue migliori opere, da Le nozze di Figaro al Don Giovanni, che gli consentirono di accreditarsi come compositore di corte. Morto a Vienna nel dicembre del 1791 (a soli 35 anni), lasciò incompiuto il suo ultimo capolavoro, il Requiem, portato a termine dall'allievo Franz Sussmayr. Nella sua preziosa eredità figurano opere di musica sinfonica, sacra, da camera e di vario genere.

  • Giuseppe Verdi: Nato a Roncole Verdi (frazione di Busseto, in provincia di Parma) e morto a Milano nel 1901. È stato uno dei più grandi compositori di sempre, autore di melodrammi famosi in tutto il mondo. Pur provenendo da una famiglia umile e disagiata, Giuseppe Verdi riuscì ad intraprendere la carriera che desiderava. Eletto deputato nel primo Parlamento dell'Italia Unita, il carattere schivo e timido lo portò a condurre una vita semplice.
    Il "cigno di Busseto" (come viene ricordato) compose moltissime opere, ancora oggi eseguite nei templi della lirica mondiale, su tutte l'Aida e il Nabucco, di cui fa parte il celebre coro del Va, pensiero, divenuto un inno di liberazione durante il Risorgimento e tuttora eseguito insieme all'inno di Mameli in alcune occasioni ufficiali.

  • Giovanni Verga: Nato a Catania e morto nella stessa città nel 1922, è stato uno scrittore dalla fama inestimabile, padre del verismo, drammaturgo d’eccezione. Tra i suoi scritti più famosi si ricordano “I Malavoglia”, “Storia di una capinera”, “Mastro Don Gesualdo” e moltissime novelle e trasposizioni teatrali dei suoi romanzi.
    Nominato senatore a vita nel 1920, in occasione del suo ottantesimo compleanno, scomparve due anni dopo nella sua residenza catanese, trasformata in seguito in "casa museo".

  • Dino Buzzati: Scoperto e apprezzato solo dopo la morte, Dino Buzzati è stato un autore tra i più raffinati del suo tempo. Nato a San Pellegrino di Belluno, nel Veneto, la seconda patria fu Milano, in cui prestò l'attività di giornalista e di scrittore e dove rimase fino alla morte, sopraggiunta nel gennaio del 1972. Completati gli studi universitari in Giurisprudenza, a 22 anni cominciò a collaborare per il Corriere della Sera, di cui restò una delle firme più illustri fino agli ultimi giorni di vita. Per il quotidiano di via Solferino, fu prima inviato di guerra sul fronte etiopico e in seguito critico d'arte.
    Nel 1940 pubblicò il suo romanzo più conosciuto: Il deserto dei Tartari, che ne raccoglie gli aspetti salienti della poetica, riassumibile nel rapporto tra l'angoscia esistenziale dell'uomo moderno e il proprio desiderio di fuga dal tempo.
    Rientrarono tra i suoi interessi la pittura, il teatro e il cinema. Quest'ultimo lo vide collaborare con Federico Fellini alla sceneggiatura di un film che non fu portato a termine.

  • Verne pubblica "Il Giro del mondo in 80 giorni": «Nell'anno 1872, la casa segnata con il numero 7 di Saville Row, Burlington Gardens – nella quale morì Sheridan nel 1814 – era abitata da Phileas Fogg, esq. uno dei membri più originali e più in vista del Reform Club di Londra, nonostante il suo apparente proposito di non far nulla che potesse attirare l'attenzione altrui».
    Comincia così Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne, uno dei romanzi più celebri nella storia della letteratura d'avventura, da cui ebbe origine una nuova concezione del viaggio, antesignana del moderno concetto di turismo.
    In dieci anni di attività, lo scrittore francese, originario di Nantes, aveva già strabiliato i suoi lettori con appassionanti avventure tra scienza e immaginazione. Dal romanzo d'esordio Cinque settimane in pallone al capolavoro Ventimila leghe sotto i mari, l'idea del viaggio come scoperta di nuovi mondi e insieme impresa straordinaria, spesso oltre i limiti delle umane possibilità, era stato fin qui il leitmotiv delle sue storie. Il contesto storico, del resto, alimentava questo spirito d'avventura: si era nel pieno dell'Età dell'imperialismo, con le grandi potenze a contendersi pezzi di continenti, ricchi di risorse e strategici nelle rotte commerciali. Accanto a ciò, nel 1870 era avvenuto qualcosa che probabilmente aveva lasciato il segno nell'immaginario di Verne. L'imprenditore americano George Francis Train, specializzato nella costruzione di linee ferroviarie, aveva compiuto il giro del globo in treno e la sua impresa era stata esaltata da radio e giornali. Esattamente tre anni dopo venne dato alle stampe Il giro del mondo in 80 giorni. Protagonista della storia è Phileas Fogg, un ricco signore londinese, riservato e dall'aria enigmatica, amante esasperato della puntualità e della regolarità. La sua pignoleria è tale che arriva a licenziare il suo vecchio domestico, colpevole di avergli portato l'acqua per la barba a una temperatura di 29° centigradi invece di 30°.
    La medesima regolarità caratterizza la sua quotidianità, che trascorre tra partite a carte e pranzi all'esclusivo Reform Club, di cui è socio. La mattina del 2 ottobre, leggendo il Daily Telegraph apprende della rapina alla Banca d'Inghilterra e dell'apertura di una linea ferroviaria in India che, secondo l'articolista, permetterebbe di completare il giro del mondo in 80 giorni.
    Ne nasce una sfida con gli altri soci che sono pronti a scommettere 20mila sterline che l'impresa è impossibile. Fogg accetta la scommessa e si dice pronto a dimostrare in prima persona il contrario, sapendo di giocarsi metà del suo patrimonio.
    Parte la sera stessa insieme al nuovo cameriere Jean Passpartout, che si rivelerà un valido e fidato compagno di viaggio, e promette di ritornare a Londra entro sabato 21 dicembre. Inizia un viaggio che tra mille difficoltà ed insidie lo porta da Calcutta a New York, passando per Hong Kong. A mettergli i bastoni tra le ruote c'è l'inviso ispettore di Scotland Yard, Fix, il quale, ingannato dalla somiglianza con l'identikit, individua in Fogg il rapinatore della Banca d'Inghilterra e gli si mette alle calcagna lungo tutto il cammino.
    Il romanzo ebbe un impatto immediato sul pubblico e fu fonte d'ispirazione per numerose imprese che di lì a poco fiorirono. Il primo tentativo fu della giornalista Nellie Bly che ripercorse le tracce del personaggio immaginario di Verne, portando a termine il giro in 72 giorni. Tanti altri dopo di lei presero a viaggiare per il mondo, in treno o con i mezzi più improvvisati (come la bicicletta), inaugurando quel fenomeno dei globetrotters che ebbe il suo periodo d'oro nel primo trentennio del XX secolo. Furono innumerevoli le trasposizioni del romanzo dal cinema alla televisione. Tra i film di maggior successo, quello diretto da Michael Anderson nel 1956 e con David Niven nel ruolo di Fogg, si aggiudicò cinque Oscar su un totale di otto nomination. Molto popolare tra i giovanissimi la serie animata Il giro del mondo di Willy Fog, una coproduzione nipponico-spagnola, trasmessa in Italia per la prima volta nel 1987.

  • Franz Schubert: Tra i più importanti compositori della storia della lirica, è considerato il grande maestro del Lied romantico, composizione di carattere sentimentale per voce solista e pianoforte.
    Nato a Vienna e ivi morto nel 1828, scoprì da bambino il fuoco sacro della musica, superando a 11 anni l'esame di corista della Cappella Reale e riuscendo ad entrare al Reale Imperiale Convitto Civico. Iniziò a comporre in questo periodo, trovandosi poi costretto a lavorare come assistente nella scuola del padre. Dal 1818 iniziò ad esibirsi in pubblico e ad ottenere i primi incarichi, componendo soprattutto numerose sonate per pianoforte, sinfonie e opere di musica sacra. La sua fama è legata in particolare alla canzone romantica Ellens dritter Gesang, nota con il titolo Ave Maria.

  • Don Bosco: Nato in una frazione di Castelnuovo d'Asti, comune piemontese che oggi porta il suo nome, fu un sacerdote molto vicino ai giovani disagiati, per accogliere i quali fondò la congregazione dei Salesiani.
    Figlio di poveri contadini dell'astigiano, Giovanni Melchiorre Bosco si avviò al sacerdozio entrando al seminario di Chieri. A Torino cominciò a prendere coscienza delle drammatiche condizioni dei giovani, molti dei quali impiegati per lavori pesanti ancor prima dei dieci anni.
    Erano per lo più figli di immigrati, carcerati o poveri, ai quali decise di dare un'educazione amorevole e un luogo di serenità, fondando l'opera dei Salesiani, ispirata all'insegnamento di San Francesco di Sales e che in poco tempo si diffuse in tutto il mondo.
    Morto a Torino nel 1888, Don Bosco venne dichiarato santo il 1º aprile 1934 da papa Pio XI.
AAAA ATTENZIONE - Cari lettori, questo giornale no-profit è realizzato da un gruppo di amici che volontariamente sentono la necessità di rendere noti i fatti, gli avvenimenti, le circostanze, i luoghi... riferiti alla natura e all'ambiente, alle arti, agli animali, alla solidarietà tra singoli e le comunità, a tutte le attualità... in specie quelle trascurate, sottovalutate o ignorate dalla grande stampa. Il giornale non contiene pubblicità e non riceve finanziamenti; nessuno dei collaboratori percepisce compensi per le prestazioni frutto di volontariato. Le opinioni espressi negli articoli appartengono ai singoli autori, dei quali si rispetta la libertà di giudizio (e di pensiero) lasciandoli responsabili dei loro scritti. Le foto utilizzate sono in parte tratte da FB o Internet ritenute libere; se portatrici di diritti saranno rimosse immediatamente su richiesta dell'autore.