#321 - 7 gennaio 2023
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letteratura

L'opera nella lingua dell'Urbe

Dante

La Commedia - Canto XIX

di Angelo Zito

CANTO XIX

O Simon mago e voi artri ingordi,
mó sta a sonà pe’ vvoi la tromba,
che ve tiè condannati in questa borgia,

miserabbili da scambià co’ l’oro
le cose sante fatte dar Signore,
che avrebbero pe’ pprezzo la bontà.

Stavamo ormai ner terzo vallone,
ner punto più arto de lo scojo,
che precipita proprio in mezzo al fosso.

Oh divina sapienza quello c’hai fatto
se vede in cielo, in tera e in questi abissi,
come sei giusta a dà premi e dolori!

Notai su le pareti e verso er fonno
che ne la pietra grigia c’ereno buchi
granni a lo stesso modo, tutti tonni.

Nun era diversa la misura
de quelli che in chiesa ner mio San Giovanni
serveno a battezzane li credenti.

Io uno lo ruppi, tempo addietro,
pe’ sarvà un cristiano c’affogava:
questo pe’ mmette a tacé le malelingue.

Sortiveno dar buco solamente
li piedi e le gambe de chi ha peccato,
fino a la coscia, er resto stava dentro.

Er sotto de li piedi annava a foco;
tanto menaveno carci li ginocchi
da spezzà er cordame più ritorto.

Come la fiamma s’attizza ‘ndo’ c’è l’unto,
e s’agita de sopra come serpe,
così lì dar carcagno a li diti.

“Chi è questo che s’addanna”, chiesi ar duca,
“se contorce de più de l’artri in pena
e un foco più ardente se l’abbrucia?”.

E lui: “Si te fa piacere, te porto
là dove er costone pare più basso,
chiedi a lui qual’è la corpa c’ha commesso ”.

“Me va tutto bene quanto dichi”, je fò,
“io sò conforme a quello che tu vôi,
e me capischi pure si nun parlò”.

Arivammo così a la quarta ripa;
girati annammo giù verso sinistra,
er fonno era pieno de buchi e sderupato.

Er maestro continuava a sostenemme
infino a che giunsi a quela fossa,
dove quello piagneva da le cianche.

“Famme capí chi sei”, presi a parlà,
“sventurato, ficcato come un palo
a testa in giù e co’ li piedi in arto”

Ero come er frate che confessa
l’assassino che, ormai dentro la buca,
chiede de mette fine a la condanna.

Quello gridò: “Sei tu che stai lì in piedi,
sei proprio tu, Bonifacio, sei arivato?
Li libbri m’aveveno mentito.

Te sei già saziato de quell’ori
che t’hanno spinto a ingannà la Cchiesa
che l’hai sposata e poi disonorata?”.

Me fermai, confuso senza parole,
come chi non capisce quanto detto,
e nun sa come principià a risponne.
Virgijo capí ar volo: “Dije così:
nun sò io, nun sò io quello che pensi”;
io seguii er consijo der maestro.

Lo spirito, inturcinanno li piedi,
sospiranno co’ ‘na voce de pianto,
me disse: “Allora che vôi sapé da me?

Si hai fatto fin qui tutta ‘sta strada,
curioso de conosce chi sò stato,
sappi c’ho ‘ndossato l’abbito papale;

vengo da la famija de l’Orsini,
ingrassai la cariera a li nipoti
e qui infossai me stesso, come vedi.

E sotto de me, schiacciati tra le pietre,
li Papi che m’hanno preceduto
e fecero mercato de la Cchiesa.

Io pure annerò più sotto come l’artri
quanno ariverà quer Bonifacio,
come te chiamai, scambianno de persona.

Ma terrò più a lungo io li piedi cotti,
e così conficcato a testa sotto,
de quanto je durerà a lui ‘sta pena:

che doppo de lui un pastore da la Francia
più marvaggio, contrario a ‘gni morale,
ce infosserà più in basso a tutt’ e dua.

Er Re de Francia co’ lui fu generoso,
come a Giasone, scriveno li Maccabei,
je fu concesso quello che voleva”.

Je risposi allora a brutto muso,
e forse sarò stato troppo ardito:
“Dimme: quanti furono li sòrdi,

che volle nostro Signore da San Pietro,
pe’ ddaje le chiavi de la Cchiesa?
Lui je disse solo - viemme dietro!-

E Pietro e l’apostoli nun chiesero
oro e argento, quanno Mattia fu scerto
pe’ pprenne er posto de Giuda Iscariotto.

Resta a scontà la pena che te tocca,
e tié da conto er potere accumulato
che te permise de fà fori Carlo.

E si nun fosse che porto rispetto
a l’arta carica che ciai avuto in vita,
gnente terebbe a freno le parole

che me sento de ditte anche più dure;
er vostro appetito avvelena er monno,
carpesta chi è bono e porta in arto er male.

Capí l’Evangelista chi eravate
quanno vidde che la Cchiesa de Roma
se la intenneva de brutto co li reggi;

lei ch’era nata da lo Spirto Santo,
accorpata su li comannamenti,
finché li Papi mostrareno rispetto.

L’oro e l’argento tenete su l’artare;
che differenza c’è co’ li pagàni?
quelli pregheno un solo Dio e voi cento.

Ahi Costantino quanto male ha fatto
no la conversione, ma li beni
c’hai trasmesso in dote ar primo Papa!”.

Mentre je le cantavo a sta maniera,
sarà pe’ rabbia o pe’ ppentimento,
quello menava carci a più nun posso.

Sò certo che er duca m’approvava,
er viso suo esprimeva contentezza,
mentre ascortava quello che dicevo.

M’afferrò co’ tutt’ e ddua le braccia;
e ‘na vorta che m’ebbe stretto ar petto
rifece la strada da ‘ndove era sceso.

E nun se stancò de tenemmo in collo,
anzi me portò su in cima ar ponte
ch’è ‘r passaggio tra la quarta e quinta riva.

Qui delicato me posò per tera,
attento a la roccia ripida e sdrumata,
sentiero inospitale anche a le capre.

E lì me comparí un’artra borgia.

Dante

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