#120 - 16 febbraio 2015
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Racconto

Quasi un sogno di una notte di mezza primavera

Camera dei Deputati in un'isola che non c'è,
ma che sollievo se si riuscisse a trovarne una così

La battaglia

(persone e fatti sono immaginari)

di Ruggero Scarponi

Caterina entrò titubante nella grande aula, raggiunse il suo posto, aprì la cartelletta e ne trasse fuori i fogli che dispose allineati sul banco.
Intorno, nessuno vi fece caso. Nemmeno la collega che le sedeva accanto impegnata a scrutare i vari ingressi nel tentativo di non perdersi l’entrata di Niccodemi.
Le urla degli onorevoli aumentavano tra insulti e minacce.
Il Presidente scampanellava di continuo e in diverse occasioni invitò i commessi a separare i politici che presi dalla concitazione del momento rischiavano di venire alle mani.
L’onorevole Palanca terminò il suo inascoltato intervento.

La battagliaLa battaglia

Dopo un istante di pausa scandito da numerosi sguardi di assenso con i questori, il Presidente chiamò, in mezzo a un fragore infernale, il nome di Caterina Gorriani e subito dopo la giovane percepì appena, sommerso da centinaia di voci, il finale della formula di rito che recitava: ne ha facoltà.
Caterina si guardò intorno smarrita. La Camera dei Deputati sembrava essersi trasformata nell’alveo di un piccolo oceano attraversato da ondate tumultuose. Fuori del Palazzo il cattivo tempo imperversava con violenza. Lampi, tuoni e una pioggia scrosciante facevano da cornice ad una delle più convulse sedute parlamentari della Storia Repubblicana.

  • Signor Presidente – balbettò incerta Caterina.
  • Signor Presidente – riprovò con un tono di voce che neanche l’amplificazione riuscì a condurre fino ai banchi della Presidenza e del Governo.
  • Onorevoli! Onorevoli! – sbraitò il Presidente – e lei onorevole Gorriani, - disse all’indirizzo di Caterina, gesticolando con ambo le mani - sia gentile, parli un po’ più forte, per favore!
    La giovane respirò profondamente e riprovò, cercando d’impostare la voce.
  • Signor Presidente! Onorevoli colleghi!

Niente da fare. Per quanto Caterina si sforzasse di utilizzare un tono di voce elevato, non riusciva a sovrastare la selvaggia gazzarra causata dai politici dei contrapposti schieramenti.
Nessuno si mostrava interessato al suo intervento.
Persino il Presidente sembrava averla dimenticata, ora, impegnato in un fitto colloquio con i membri di una commissione di vigilanza.
Caterina attese paziente che la situazione si chetasse per riprendere la parola, con gli occhi fissi sui due foglietti che teneva ben stesi sul banco, davanti a sé.
Finalmente dopo una decina di minuti cessò il fracasso, lasciando ribollire l’intera aula di un sommesso brusio.

  • Signor Presidente! – Tuonò Caterina con una voce che stavolta le uscì limpida e squillante.
    Il Presidente, quasi sorpreso dal piglio sicuro della deputata, annuì sorridente, invitandola con un gesto della mano ad approfittare della momentanea calma e portare a termine il suo intervento.
  • Perché non potrebbe essere la nostra battaglia? - Esordì a sorpresa Caterina.
    La frase s’impresse perentoria nell’aria densa dell’aula sopraffacendo per un momento subbugli e mormorii.
    Ma proprio quando l’imprevisto incipit sembrava aver catturato l’attenzione di qualche deputato qua e là, un urlo, lungamente represso e liberatorio, squarciò l’ atmosfera parlamentare, cancellando all’istante il piccolo successo conseguito dalla giovane deputata.
  • Niccodemi! Niccodemi! Esclamarono in molti.
    L’onorevole Niccodemi aveva fatto il suo ingresso nell’aula.
    Tutti gli si rivolgevano speranzosi e per opposte ragioni.
    Ognuno desiderava attirarlo dalla sua parte cercando di farsi notare, di farsi riconoscere.
    Niccodemi assentiva a tutti con la testa e con larghi sorrisi.
  • Niccodemi che fa? Sta al governo o all’opposizione? – chiese a bassa voce il presidente della Camera ad uno dei questori che gli si trovava a fianco.
  • E chi lo sa Signor Presidente. Nessuno sa niente in proposito. Stiamo tutti nell’attesa del suo discorso. Appena questa finisce…

La battagliaLa battaglia

Intanto Caterina osservava silenziosa quanto avveniva intorno a lei. Nessuno stava più ad ascoltarla. Tutti erano intenti a cogliere dal volto di Niccodemi un indizio del messaggio rivelatore.
I minuti scorrevano veloci. Caterina constatò che dei trenta che aveva disponibili per l’intervento se n’erano andati più di venti. Con disappunto pensò che con soli cinque, sei minuti che le rimanevano, forse, non aveva neanche senso di ricominciare.
Di fuori il temporale non accennava a placarsi. Sembrava anzi voler scatenare tutta l’energia distruttrice sul Palazzo bersagliandolo con raffiche di fulmini mentre il rumore della pioggia sulla cupola rivaleggiava in intensità con lo schiamazzo dei deputati.
Caterina prese di nuovo un bel respiro. Con le mani si scostò una ciocca di capelli dal viso e riprese:

  • Perché non potrebbe essere la nostra battaglia, ripeto. La nostra battaglia, onorevoli colleghi. Di noi tutti, cittadini democratici di questo paese. Quando si affrontano tragedie di questa portata non ha senso parlare con spirito di parte. Sono i valori più nobili, cui bisogna appellarsi, quelli della libertà individuale, del rispetto reciproco, dell’umana solidarietà, quelli, in poche parole, su cui si fonda uno stato di diritto. Io parlo, onorevoli colleghi, dell’immane persecuzione scatenata contro i Cristiani in tanti paesi del mondo, tra l’indifferenza e la compiacenza di chi ha smarrito il senso civico delle istituzioni nazionali e internazionali. 150 milioni di perseguitati, secondo le fonti ufficiali, scacciati dai loro territori e spesso condannati a un anonimo martirio. E allora mi domando, perché non potrebbe essere questa, la mia battaglia per la libertà? E perché non di tutti? In essa si ravvisano, infatti, le ragioni che da sempre producono il riscatto morale dei popoli: la lotta contro il sopruso e la tirannide, l’ignoranza e il fanatismo.

Caterina parlava da cinque minuti in un silenzio di cui lei stessa, concentrata nel suo discorso, non si era accorta. Tutti gli schiamazzi erano cessati e tutti gli onorevoli sembravano catturati dalla sua bella voce chiara e leggermente arrochita per la passione. Fuori del Palazzo era tornato il sereno e un raggio di sole penetrando la cupola vetrata dell’aula parlamentare aveva inondato proprio la piccola Caterina facendola risplendere nel grigiore fumigante di quella convulsa mattinata.

  • onorevole Gorriani – la interruppe il Presidente a malincuore – il suo tempo, purtroppo è scaduto. La parola passa all’onorevole Niccodemi. Prego onorevole proceda pure, ne ha facoltà.
    Ma prima ancora che l’onorevole Niccodemi prendesse la parola, spontaneamente e senza nessun segreto segnale, decine di onorevoli si erano alzati in piedi tra i banchi dei diversi schieramenti.
    Nell’aria elettrica della Camera dei Deputati si percepì un brivido, una tensione.
    L’applauso esplose gioioso investendo il Presidente, il Governo e i banchi dei deputati fino a raggiungere la stessa incredula Caterina.

L’intero Parlamento, ritrovando per una volta un’intesa comune, le tributava un’ovazione unanime e sincera. Dal suo banco l’onorevole Niccodemi, assisteva, apparentemente compiaciuto alla scena. Rapido, decise un cambio di programma. Lasciando sbigottiti molti osservatori rinunciò per quel giorno al suo intervento. Con gesto nobile e calcolato, infatti, pensò di donare il suo tempo a Caterina, come consentito dal regolamento, affinché terminasse quanto aveva da dire, e così facendo da esperto politico, riuscì a guadagnarsi la sua parte di applausi rimandando all’indomani una decisione che al momento, non sarebbe stata opportuna.

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