Con la minuscola frazione di Farneta, è parte integrante dell'Arberia,
la "nazione" sparsa di una delle più grandi minoranze etnolinguistiche del nostro Paese
Castroregio
L’Albania calabrese tra natura, storia e folclore
di Marino Pagano
Il borgo di Castroregio in provincia di Cosenza (foto: Stefano Russo)
Esiste una Calabria “albanese”, una terra dove conoscere una cultura altra eppure italianissima ormai.
Siamo nell’alto cosentino, tra i primi paesi che si trovano scendendo dalla Basilicata di Policoro, Scanzano, Montalbano, Nova Siri.
Perché gli albanesi qui? Siamo nel 1400. Epoca in cui il patriota Giorgio Castriota Scanderbeg aveva sconfitto i turchi in casa propria. Ma lo aveva fatto anche grazie all’aiuto del re aragonese di Napoli, Alfonso. A sua volta ricambiato dal condottiero albanese quando, sconfitti definitivamente gli Angioini, il re dovette domare qualche resistenza dei baroni calabro-siciliani. Per ricompensa, la corona cedette agli albanesi delle terre in Sicilia e Calabria, come Zagarise nel catanzarese.
Finita questa trasmigrazione, ne nasce una seconda che interessa i paesi al centro del nostro giretto. Siamo ora nel periodo di Ferrante di Aragona, figlio di Alfonso.
Paesaggio dell’alto cosentino (foto: Stefano Russo)
Tra le pretese degli Orsini di Taranto e ancora qualche tentativo angioino, anch’egli non ha vita facile. Incombe pure la questione delle tasse. Il popolo mormora. Ma questa volta sarà proprio Scanderbeg in persona a difendere l’Aragona, guidando il suo esercito contro i nemici di Ferrante (1461-62). Qui i suoi fondano o ripopolano paesi. Le aree? Il foggiano e il tarantino. Poi queste migrazioni continuarono anche dopo il 1468, anno della morte di Scanderbeg. Morto l’uomo valoroso, infatti, gli ottomani si vendicarono rendendo la vita difficile al suo popolo.
Ed ecco nuovi arrivi. Dal 1458 al principio del ‘500 ne è interessata la Calabria altocosentina. Sede dunque della terza migrazione albanese. Ma non tutti i paesi ora. Perché se Plataci e Civita ricevono subito gli albanesi, assieme a centri come Lungro, Spezzano e San Basile, Castroregio (con la sua minuta frazione di Farneta al centro del nostro reportage) dovrà attendere la quarta ondata.
Panorama della vallata da Castroregio (foto: Stefano Russo)
Ora a regnare è Carlo V, 1534. I turchi avanzano nei Balcani, in Morea, vincendo gli autoctoni, cui non resterà che espatriare.
In Calabria arrivano gli sconfitti albanesi: o per fondare o per ripopolare.
In Lucania (Barile, San Costantino Albanese, San Paolo Albanese, Ginestra, Maschito) e in Irpinia (Greci) e poi da queste parti, appunto a Castroregio. Le migrazioni continueranno fino all’ottava, interessando addirittura anche zone del piacentino, fino al ‘700.
Gli albano-greci saranno studiati e descritti sin da subito. Una lingua che appartiene alle varietà del toskë, Albania del sud. Un albanese antico, diverso dall’attuale parlato nel paese dell’aquila. Dal 1999 ha avuto riconoscimento ufficiale per legge come lingua tutelata. Circa centomila gli italiani dell’Arberia, “nazione” sparsa tra le più grandi tra le minoranze etnolinguistiche.
Due nazioni. Gli arbereshe si sentono anche perfettamente italiani e sanno che il loro non è un dialetto ma una lingua, una lingua vera.
Da qui un portato grande di tradizioni e civiltà. Folklore, costanza nella difesa degli usi. Con le chiare difficoltà dovute ad un discorso per forza di cose residuale, a rischio scomparsa tanto più dopo la grande ondata migratoria postunitaria e primonovecentesca.
E poi c’è la questione religiosa con il cristianesimo ancora molto sentito, secolare eredità di una cultura identitaria che è stata grande.
Uno scorcio del centro antico di Castroregio (foto: Stefano Russo)
Castroregio, piccola arberia di Calabria, fa pensare, nel nome, all’eredità castellare e regale insieme. Un qualcosa di magnificente. E invece Castroregio, ottocento metri sul livello del mare, la Kastërnexhianë albanese, ha pochissime centinaia di abitanti, dislocati tra il capoluogo e la frazione di Farneta, lontana venti o trenta chilometri a seconda delle strade. Entrambi a eredità albanese. Paesini circondati da foreste e boscaglia.
Vi giungiamo percorrendo la bella strada panoramica dal mare di Amendolara. Una chiesa del Seicento attira presto l’attenzione. È intitolata alla Madonna della Neve, riparo e frescura sin dal nome in questa perfetta e calda estate meridionale. Chiesa bizantina, graziosa. Ci dicono che a Casteoregio siano bravi nel realizzare i tipici costumi albanesi, partoriti a ricamo con tanta cura. Speciale qui il rito delle nozze: durante il corteo il “flamurari”, cioè il portatore di bandiera, annuncia la gioia di un’intera comunità.
Una suggestiva vista di Castroregio (foto: Stefano Russo)
A Farneta, minuscola frazione, arrivi in realtà da Oriolo, bellissima e qui vicino, attraverso la valle del fiume Ferro. A 875 metri il silenzio regna sovrano. Qui è nata Enza Scutari, poi legata all’altrettanto arbëreshe San Costantino albanese, in provincia di Potenza, straordinaria ricercatrice e tra le più interessanti figure culturali contemporanee di questa speciale cultura. Vera curiosità dell’Italia di provincia, Farneta, qualche decina di abitanti soltanto, ha rito liturgico bizantino, come pure Castroregio, con tanto di prete ucraino. Belle le icone presenti nella chiesa, parrocchia che fa parte dell’eparchia di Lungro. Il sacerdote chiama a raccolta i (pochi) fedeli e fa suonare le campane.
visione di Farneta
Vuole offrirci il caffè ma il minuscolo bar è chiuso. Da fuori si scorgono immagini di Carmine Crocco e Che Guevara. Perché qui c’è anche chi sogna la rivoluzione. Poi arriva il figlio del proprietario del bar, chiamato apposta dal prete. È tornato qui da pochi mesi, stava all’estero. “Aspetta che nemmeno so quanto mio padre si fa pagare il caffè”. Beviamo, due chiacchiere e ce ne andiamo. Ci salutano gli occhi addormentati di un gatto annoiato, dormiva anche lui, cullato da un vento caldo. Caldo di quell’estate in cui a Farneta, con la festa di San Donato, dicono torni anche la vita.
Area di confine, la Lucania già si annusa. Attorno boschi di farnia, un tipo di quercia. E Farneta si chiama così proprio per questo. Farneta è di poco più antica di Castroregio e fino all’800 dipendeva dalla bella Oriolo. Qui si fabbrica e suona la zampogna. E si pubblica anche un giornalino in lingua albanese: “Rilindia Jug”, (Rinascita Sud). Altro che gatti e paesi addormentati. Qui si pensa. E vi pare poco?