#304 - 2 aprile 2022
AAAAA ATTENZIONE questo numero resterà in rete fino alla mezzanotte del 3 maggio quando lascerà il posto al numero 351. - BUONA LETTURA - ORA ANTICA SAGGEZZA - Gli angeli lo chiamano piacere divino, i demoni sofferenza infernale, gli uomini amore. (H.Heine) - Pazzia d'amore? Pleonasmo! L'amore è già  in se una pazzia (H.Haine) - Nel bacio d'amore risiede il paradiso terrestre (Lord Byron) - Quando si comincia ad amare si inizia a vivere (M. de Scudery) - L'amore è la poesia dei sensi ( H. De Balzac) - Quando il potere dell'amore supererà  l'amore per il potere, sia avrà  la pace (J. Hendrix)
letteratura

Uno spazio in omaggio al Sommo Poeta

Endecasillabi sciolti e ritmati nella lingua dell'Urbe

La Commedia

Canto IV - 1^ Parte

di Angelo Zito

Ar pari d’un tamburo ne la testa
sentii un sòno, tanto da svejamme
e provai de aprî l’occhi controvoja;
me scossi dar torpore, guardai attorno
cercanno un punto fermo ne la mente;
nun capivo dov’ero capitato.
M’accorsi de stà in cima d’un burone,
sopra ‘na valle dove li lamenti
batteveno er tempo de chi s’addannava.
Profonda, buia, avvorta ne la nebbia,
provai a guardà dentro fino in fonno,
e nun riuscivo a véde quanto c’era.
“Scennemo giú ner monno senza luce”,
me dice er vate, bianco come un cencio,
“vado io avante, viemme tu de dietro”.
M’ero accorto der pallore de le guance:
“Come faccio a seguitte si te manca
la sicurezza che me fà sicuro?”
“Tanto è er dolore de sta gente”, dice,
“che me riflette in faccia quela pena,
che tu hai scambiato adesso pe’ ppaura.
Nun famo sosta che la strada è longa,
vieni pe’ qqua”. A ‘sta maniera entrammo
ner primo cerchio attorno a quela valle.
L’orecchio fu corpito da quer pianto,
frammisto a li sospiri sussurati,
che scôteveno l’aria tutt’attorno.

Nun era afflizione, ma mestizia,
er tormento che agitava quele genti
de donne, de omini e de infanti.
“Nun me chiedi”, me domandò er maestro,
“chi sò ‘st’anime perse dentro ar cerchio?
Devi conosce, prima de annà avanti,
che nun sò peccatori ma je manca,
puro si cianno meriti, er battesmo:
er principio che te fà credente;
sò nati avanti che venisse Cristo,
ignoranti a pregallo co’ la fede:
faccio parte pur’io de questa schiera.
Questo è tutto er male, nun c’è artro,
l’unica córpa che ciavemo addosso:
è vive senza un filo de speranza”.
M’addolorai così tanto ner sentillo
perché incontrai, tra ‘st’anime sospese,
gente gloriosa, piena de valori.
“Dimme maestro, leveme ‘gni dubbio”,
risposi io pe’ ttrovà er riscontro
de quella fede che supera l’erori,
“è capitato che ce fu quarcuno
che meritò er nome de beato?”
E lui che aveva còrto l’intenzione
me disse: “Io da poco ero tra questi,
quanno entrò ner gruppo uno potente
co’ le stimme segnate dar distino.
Questi sarvò l’anima d’Adamo,
der fijo Abele, de Noè patriarca
e pure de Mosè co’ le sue leggi;
e appresso Abramo, Davide regnante,
Giacobbe cor padre Isacco e co’ li fij,
e co’ Rachele che la fece sposa,
tant’artri ancora: tutti sò beati.
Devi sapé che mai prima de loro
artri spiriti furono sarvati”.
Parlava e intanto annava avanti
e attraversammo tutta quela sérva
accorpata attorno a tanti spirti.

Nun era tanto che camminavamo,
da quanno m’ero svejato, che un foco
me comparí lucente in mezzo ar buio.
Anche si eravamo un po’ lontani
me riuscí de intravéde lo splennore
de l’anime che staveno in quer posto.
“O tu che onori l’arte e sai de scienza,
chi sò questi che godeno l’onore
de vive separati da quell’antri?”
“Quela fama che cianno sú ner monno”,
me rispose così, “merita er premio
d’avé la grazia de ‘sto privileggio”.

La Commedia

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