«La pandemia impone ai genitori di tornare a essere educatori»
Il parere di Armando Matteo nel libro «Il nuovo bambino immaginario»
Il nuovo bambino immaginario
Perchè si è rotto il patto educativo tra genitori e figli
di Armando Matteo - Rubbettino Editore
Osteggiata e ritenuta come ultimo baluardo della lotta contro il Covid la famigerata “Didattica a distanza” (DAD) ha significato per molti adulti ripensare totalmente il proprio ruolo di educatore e guardare alla realtà dei propri figli, senza alibi. Abbiamo chiesto un parere al teologo Armando Matteo, autore per Rubbettino del pamphlet «Il nuovo bambino immaginario. Perché si è rotto il patto educativo tra genitori e figli»
Armando Matteo: Il libro che ho appena dedicato all’universo dei bambini – «Il nuovo bambino immaginario. Perché si è rotto il patto educativo tra genitori e figli» – è il frutto di letture, riflessioni e confronti durati diversi anni. La scelta di pubblicarlo quest’anno è stata presa in ragione dell’appello di papa Francesco ad un nuovo patto educativo globale, che è ovviamente passato poi in secondo piano rispetto alla terribile crisi sanitaria che ci ha investito con la pandemia da Covid-19. Ma paradossalmente questo rende in certa misura il libro ancora più attuale (ed in verità lo stesso appello di papa Francesco).
Sì, perché il libro parla di educazione che non funziona più, di genitori che non “vogliono” crescere e di figli che di conseguenza non “possono” crescere, di adulti sempre più persi nei loro riti e miti e di adolescenti sempre più in difficoltà con la vita. Ebbene, mai come in questo momento storico, è dato alle famiglie e dunque ai genitori la possibilità di confrontarsi con il loro indispensabile compito educativo. Già nel lockdown della scorsa primavera, la permanenza forzata a casa aveva avvicinato molto i genitori e i figli. E probabilmente, in un grande spirito di squadra, sono riusciti a trovare risorse e gesti per andare oltre, senza dover affrontare i grandi nodi educativi prima richiamati.
Ma ora che assistiamo ad una recrudescenza della pandemia da Covid-19, ora che un lockdown come quello della primavera è impensabile, il tema educativo ritorna. Sì, ritorna perché i figli a scuola non ci possono andare. E non sappiamo ancora per quanto tempo. E anche se le scuole dell’infanzia, le scuole elementari ed una parte delle scuole superiori di primo grado sono aperte, risulta che in molte regioni anche quest’ultime sono passate alla didattica a distanza ed in altre molte tantissime classi di queste scuole si trovano in quarantena. E la situazione ci fa pensare che i figli ce li avremo ancora a casa, e a casa tutto il giorno, per un bel po’.
La didattica a distanza è – non trovo espressione migliore – una vera sciagura, una sorta di male minore da accogliere come tale. Insegnando all’università, non ho mai fatto così tanta fatica a svolgere il mio bellissimo mestiere come ora, da quando abbiamo avviato questa pratica. E posso solo immaginare la fatica degli studenti! Puoi essere il migliore professore del mondo, ma se ti mettono “a distanza” dai tuoi allievi, è come se ti tagliassero la lingua…
Eppure, questo “male necessario” potrebbe diventare occasione perché i genitori per un momento ritornino a pensare al loro compito educativo. Lo dico con molta discrezione. È inutile girarci intorno: siamo diventati una società senza educazione. E i primi a non credere alla potenza dell’educazione sono gli stessi genitori.
Da tempo, infatti, immaginano che il pargoletto che hanno dato alla luce goda di miracolose profondità ontologiche, gnoseologiche e spirituali tali da renderlo, sin da subito, sin dall’uscita dal grembo materno, uno già grande, uno già pronto alla vita, uno che, seppure in formato small, è all’altezza dell’umano. Pensano ed agiscono come se il loro piccolo fosse in realtà “un semplice adulto di bassa taglia”, chiamato a vivere l’infanzia come periodo destinato unicamente al suo accrescimento verticale. Non serve educarlo, basta contemplarlo.
E lo trattano proprio da adulto, chiedendogli cosa vuole mangiare (ma cosa ne sa un piccolo di due, tre anni di proteine, carboidrati e vitamine?), cosa vuole vedere in tv o sul cellulare (ma come può capire uno di due anni la differenza tra Masha e Orso e un gioco di guerra?), dove vuole andare per la spesa della famiglia; ed ancora proponendogli sontuosi sillogismi aristotelici ogni volta che debbono semplicemente chiedergli di fare qualcosa (tipo mettersi un giubbino o prendere una medicina) oppure sottoponendolo a esami di introspezione degni di una seduta da uno di quelli bravi (ma perché hai fatto così? Perché ti sei comportato in quel modo? Sei sicuro di non voler andare a scuola? Quanto dolore ti fa questa cosa qui?), e tante altre cose di cui si parla nel libro.
È chiaro che così è facile fare i genitori, altro che quel mestiere impossibile di cui parlava già Freud. È chiaro che così i piccoli letteralmente “impazziscono”: non possono fare i bambini, perché sono sollecitati a fare gli adulti, ma non possono fare gli adulti, semplicemente perché sono bambini.
È tempo di affrontare di petto questa situazione. È questa forma di lockdown leggero può forse sortire l’effetto del riavviare l’educazione nella nostra società. O almeno di pensarci su da parte dei genitori. Vorrei così riproporre alcune “idee” per uscire da questo tempo di adultizzazione dei piccoli e di infantilizzazione dei grandi di cui parlo nel libro. Nulla di miracoloso, va da sé. Piuttosto un paio di suggerimenti che possono risvegliare quel “buon educatore addormentato” che giace nel cuore di ogni genitore. Perché ogni genitore, se solo interroga la sua intelligenza e non solo il suo cuore, scopre da sé qual è il sentiero di ogni processo educativo che favorisce la crescita reale dei figli: il sentiero che passa dal tenere ben distinti ma in feconda interazione il “voler bene ai figli” e il “voler il bene dei figli”.
- Ricordati che il grande sei tu! Sempre. In ogni caso. Sotto ogni condizione metereologica.
- Ricordati che i bambini sono solo bambini!
- Ricordati che tu poi “farti” bambino, mentre i tuoi figli non possono “farsi” adulti.
- Ricordati di giocare, almeno una volta al giorno, “da bambino” con il tuo bambino (basta abbassarsi un pochino).
- Ricordati che dare il cellulare a tuo figlio, perché stia tranquillo, significa spesso dirgli che in quel momento non vuoi “pensarlo”. Ma se non li pensiamo quando siamo in loro compagnia, come potranno sviluppare il pensiero che noi li pensiamo quando siamo distanti da loro?
- Ricordati di parlare di cose “da bambini” con i bambini e di parlare di cose “da adulti” con gli adulti. A guardare certe trasmissioni tv, sembra che ci siamo abituati al contrario!
- Ricordati che i nonni sono una grazia, ma non sono i genitori. I nonni attivano nei figli il piano del piacere. Sono i genitori che attivano nei figli il piano della realtà.
- Ricordati che “la maniera in cui vivi ciò che fai” è per tuo figlio molto più importante di ciò che fai.
- Ricordati che “la maniera in cui vivi ciò che dici” è per tuo figlio molto più importante di ciò che dici.
- Ricordati infine che “i tuoi figli non sono figli tuoi” (Gibran). Li aspetta il mondo, perché essi sono del mondo e il mondo sarà il loro.