Televisione, gioia e dolore
Zapping
Frammenti semiseri di cronaca televisiva
di Luigi Capano
Non possiamo evitare di soffermarci sul protagonista del momento, il temibile coronavirus che svuota le città, mortifica il commercio e trasforma ogni contatto umano in un’unzione potenzialmente letale (torniamo al saluto romano, suggerisce Vittorio Feltri tra il serio e il faceto). Su quel parassita microbico che assume un aspetto regale (“coroniforme”) al cospetto del microscopio da laboratorio e che, a detta di certi medici, starebbe trascinando l’umanità sulla soglia della pandemia! Hai voglia a fare zapping! Ovunque, si intervistano medici e opinionisti che discettano di medicina, di sanità e di virus. Perché, da qualche settimana, i medici hanno fatto le scarpe agli chef stellati più o meno in tutti i ritrovi televisivi. Dove si è smesso di friggere e di spiattare e gli spazi un tempo dedicati ai sughi e al bollito ora sono zeppi di collegamenti con questo o quell’ospedale, di interviste a specialisti sanitari di ogni sorta. L’effetto degli spettacoli (come quello domenicale di Fazio) privi di pubblico in sala, trasmessi, in particolare, dagli studi milanesi è inatteso, straniante e per nulla rassicurante come tutto ciò che ci capita per la prima volta.
A Quarta Repubblica, Nicola Porro intervista, in collegamento, sul fatidico argomento, il filosofo e psicanalista Umberto Galimberti che spiega: “ Senza la paura non potremmo vivere perché essa è un ottimo meccanismo di difesa. Nel caso del coronavirus proviamo angoscia e questa, a differenza della paura, non ha un oggetto determinato: il coronavirus può venirmi da chiunque e in qualsiasi luogo. Proprio questa indeterminatezza determina l’angoscia”. Quindi Galimberti indugia sul nostro pessimo rapporto con la morte che un tempo- ci ricorda - a causa delle guerre e delle pestilenze era qualcosa di molto familiare. Mentre oggi- spiega - “come si mette in circolo la possibilità di morte ci spaventiamo tutti e allora diamo un’importanza enorme a tutto ciò che può essere una strada verso il morire. Perché abbiamo dimenticato che in fondo non è che moriamo perché ci ammaliamo ma ci ammaliamo perché fondamentalmente dobbiamo morire”. Mormorii in sala, Porro ironizza nervosamente: il filosofo ha colto nel segno e accenna una risata. In fondo a che serve la televisione, con il suo volume sonoro regolabile a piacere, se non a distrarci da qualcosa di basicamente ineffabile col razionale pretesto dell’informazione, e a regalarci l’illusione di poter passare ad libitum dallo spettacolo alla tragedia e viceversa, con un semplice, puerile gioco del telecomando? Ma i virus, creature elementari, nulla sanno dei nostri telecomandi e delle nostre lambiccate elucubrazioni apotropaiche.