Televisione gioia e dolore
Zapping
Frammenti semiseri di cronaca televisiva
di Luigi Capano
Come risulta dalle tante immagini diffuse dalla Tv e dal Web - oltre che dalle narici mortificate dei residenti - Roma, la Capitale, è circonfusa da una variegata quanto olezzante coltre di spazzatura. Con accluso corteo di gabbiani, topi, scarafaggi. Ci vorrebbe qualche volenteroso epigono del neorealismo per cavarne un capolavoro da presentare a Venezia il prossimo settembre, magari in stile pasoliniano.
Anche i Rom, che – come tutti sappiamo - usano perlustrare i cassonetti con puntigliosa accuratezza, sono in evidente difficoltà . Vagano in tondo spaesati, sembrano aver perduto la bussola. Non è giusto. Colpa di un’amministrazione incompetente? Di una opposizione irresponsabile? Di problemi tecnici? Di un malocchio molto ben confezionato? Non sappiamo: ci limitiamo a fare i cronisti e a registrare un fatto che è sotto il naso di tutti e che offre, ormai da parecchi mesi pane e companatico alla stampa e al telegiornalismo.
Altro profluvio di immagini viene dedicato anche in questi giorni assolati agli sbarchi degli immigrati sulle coste italiane, ai barconi in mare pieni zeppi di disperati spesso mescolati assieme ai loro aguzzini (o sfruttatori che dir si voglia).
Alla ribalta della cronaca per aver – secondo taluni “eroicamente”- disobbedito alle leggi italiane e aver favorito quindi lo sbarco dei migranti, il comandante Carola Rackete, chiamata familiarmente – chissà perché - semplicemente Carola. Fatto, questo, che ha procurato ai giornalisti, da più parti, accuse di “sessismo”. Effettivamente bisogna riconoscere che se il comandante fosse stato un uomo, difficilmente lo si sarebbe apostrofato semplicemente Mario, Filippo o Giacomino.
Anche questo dei migranti è argomento sfruttato fino all’osso sia dai giornalisti che dai politici di tutti gli schieramenti. E purtroppo, neanche lo zapping riesce a salvarci dai migranti e dai loro aedi col megafono, di ogni colore o parrocchietta.
Altre e più colorite immagini che abbiamo occasionalmente incrociato nelle nostre rapide scorribande televisive sono quelle carnascialesche dei gay pride (sempre condite da un vispo accompagnamento musicale) che di questi tempi si “celebrano” in ogni parte del mondo o quasi (messi alle strette, si preferisce sempre non mettere a repentaglio gli zebedei, nonostante tutto). Si ha come l’impressione che certe categorie “sociali” godano di una licenza di “cazzeggio” straordinaria che se fosse fatta propria dalla restante umanità sarebbe considerata cosa riprovevole o per lo meno sconveniente come mettersi le dita nel naso o pulirsi la bocca col polsino della camicia. Ma tant’è: la funzione profittevole e salutare della “riserva indiana” è cosa vecchia e collaudata.