#233 - 5 gennaio 2019
AAA ATTENZIONE - Questo numero rimarrà in rete fino alla mezzanotte del 19 aprile, quando lascerà il posto al numero 350. Ora MOTTI per TUTTI : - Finchè ti morde un lupo, pazienza; quel che secca è quando ti morde una pecora ( J.Joyce) - Lo sport è l'unica cosa intelligente che possano fare gli imbecilli (M.Maccari) - L'amore ti fa fare cose pazze, io per esempio mi sono sposato (B.Sorrel) - Anche i giorni peggiori hanno il loro lato positivo: finiscono! (J.Mc Henry) - Un uomo intelligente a volte è costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti (E.Hemingway) - Il giornalista è colui che sa distinguere il vero dal falso e pubblica il falso (M. Twain) -
Racconto

Roulette Russa

di Ruggero Scarponi

‒ Mamma mia, mamma mia! Questo è matto, matto tutto!
Signore mio, fate che ne venga fuori…non per me…per i miei figli…Signore aiutami! ‒
Angelina stravolta dalla paura si raccomandava. Con fervore si raccomandava.
Le tremavano le gambe e la gola le era diventata di gesso. Non riusciva a parlare.
Poteva raccomandarsi, però e lo faceva con foga. Lui, ogni tanto la guardava di sottecchi, malizioso, non cattivo. Tanto sapeva di avere in pugno la situazione, non aveva bisogno di molto di più. Filavano con la macchina.
Centotrenta, centocinquanta, forse più. Filavano.
– Paura? ‒ chiese. Lei asserì con la testa, con forza.
– Tutti hanno paura ‒ sentenziò lui – è questa la differenza tra me e loro. Loro sono dei fifoni e io sono fico. ‒ Fece una pausa, poi continuò. ‒ Sono fico perché non ho paura, io. Loro sì. Tutti hanno paura. Non conosco nessuno che non abbia paura. ‒ Poi si rivolse ad Angelina – Tu pure hai fifa, ma per te è normale…‒ troncò la frase.
Intanto, filavano, centotrenta, centocinquanta. Forse più.
Angelina ogni tanto si azzardava a guardare dal finestrino, istintivamente cercava un’improbabile via di fuga. Era notte fonda e l’autostrada era abbastanza libera.
A Centocinquanta orari, oramai dovevano aver fatto un bel po’ di strada.
Angelina aveva perso la nozione del tempo e non aveva coraggio di sporgersi sul sedile per guardare l’orologio nel quadro. Era schiacciata contro il sedile.
‒ Vedi – disse ancora lui – io ho giocato alla roulette russa, un sacco di volte. Io non me la sono fatta sotto. Quando ho dovuto giocare…pam! Ho giocato.
Ci vuol coraggio, bella mia, altro che. Tu adesso non sai nemmeno che piano c’ho in mente.
Sei spaventata …Ma loro, i fifoni, vedrai come se la fanno sotto.
Io sono fico, convieni? no, dico, guardami, dai, senza timore, sono o non sono fico? Dillo se non lo pensi, dillo, non ti faccio niente, puoi dirmi tutto…
Centotrenta, centocinquanta, lui parlava e non guardava la strada.
Angelina era impallidita. Non sapeva se aver più paura di lui come bandito e suo rapitore o di lui per come guidava la macchina. – Allora? ‒ riprese lui ‒ secondo te, uno come me, che ha fatto quello che ha fatto stasera, com’è? E’ fico, o no? ‒ Angelina asseriva con la testa, aggrappata con tutte e due le mani al sedile.
– A proposito com’è che ti chiami? Non ci siamo neanche presentati.
Io sono Vittorio e tu com’è che ti chiami? – fece una pausa, la guardò in tralice e poi disse:
‒ Lo sai che sei pure carina? ...
Cosa Signore? – Ebbe appena il coraggio di dire Angelina.
Lui si mise a ridere sonoramente. – Cosa Signore? – fece il verso ad Angelina. Poi la guardò intensamente – niente, niente, lascia perdere. ‒
Centotrenta, centocinquanta, i lampioni dell’autostrada filavano che era una bellezza e Angelina avrebbe voluto dire:
– Per favore non fuggite così, fate qualcosa, salvatemi da questo matto, c’ho marito e figli, io! ‒
Le venne da piangere. Singhiozzò. Ma si riprese. Lui la guardò, e lei girò la testa cercando disperatamente di controllarsi.
‒ Madonna mia, aiutami! che ho fatto di male!
Non ce la fece. Cominciò a singhiozzare. Lui sembrava neanche la sentisse.
Era immerso in un suo pensiero. Lo si capiva perché stava dritto con la testa a guardare avanti ma in realtà non guardava la strada, stava seguendo un suo pensiero.
Centotrenta centocinquanta.
– Eccoli! – Disse lui, ‒ eccoli che vengono i fifoni. Gliela faccio vedere io a quelli.
Angelina comprese che quelli, i fifoni, dovevano essere i poliziotti. Cercando di non farsi notare voltò lo sguardo verso lo specchietto retrovisore lato-passeggero.
Due lontane lucette blu intermittenti stavano a confermare che si, era proprio vero: I fifoni stavano arrivando. Insomma, pensò Angelina, questo non ha scampo, prima o poi incapperemo in un casello o in un posto di blocco, questa è un’autostrada, per lui è una trappola, non ha via d’uscita, dev’essere un pazzo, un pazzo o uno scemo.
– Bellezza, ora arriva il momento, quasi ci siamo – disse lui in preda all’eccitazione.
Stai attenta e guarda. Ancora no, falli correre ancora i fifoni. E rise, di cuore. Oddio, pensò Angelina, non so quel che vuol fare, ma questo è matto.
Centotrenta centocinquanta, filavano nel buio della notte.
Da alcuni minuti l’autostrada appariva completamente libera.
Probabilmente per effetto dei blocchi ai caselli che nel frattempo la polizia doveva aver istituito. Intanto le lucette blu pian piano si avvicinavano.
– Porca puttana – fece lui – porca puttana! –
In lontananza davanti a loro si scorgevano altre luci, blu, bianche arancioni.
‒ Porca puttana – continuò lui – maledetti fifoni…, adesso gliela faccio vedere.
Di un po’ – disse rivolto ad Angelina – Tu alla roulette russa c’hai mai giocato? ‒
Angelina negò con la testa.
Oddio, mi sento male, mi viene da vomitare, questo è pazzo per davvero, che vuol fare?
Signore per carità proteggimi, fallo per quelle creature. ‒
Centotrenta, centocinquanta, duecento!
Le lucette blu, dietro di loro cominciarono ad allontanarsi mentre quelle multicolori davanti si avvicinavano…
Lui cominciò a ridere sgangheratamente.
– O – disse rivolto ad Angelina – Che notte eh! Te la stai facendo sotto, ma una notte così non te la scorderai più! ‒
Angelina era stremata. Non ne poteva più.
Perché proprio stasera le era venuto in mente di fermarsi all’autogrill a prendere un caffè?
Non lo faceva mai. Quello, aveva rapinato il bar, e poi per garantirsi la fuga l’aveva presa come ostaggio.
Ora il posto di blocco davanti a loro non distava più di qualche centinaio di metri.
Era stato sistemato proprio al fondo di un lungo rettilineo in modo che lui, il folle, avesse modo di vederlo per tempo e fermarsi. Non aveva scampo.
Bisognava dargli la possibilità di fermarsi per benino, aveva un ostaggio, una signora, madre di tre bambini. Bisognava evitare stragi o roba simile.
La polizia era intervenuta con un piano di emergenza e dal ministero, erano giunti ordini severissimi. Massima cautela, evitare il coinvolgimento di innocenti.
Centocinquanta, duecento, duecentoventi.
Rideva lui, rideva forte.
– Sono fico io – andava urlando – Fifoni! Fifoni! Siete tutti dei gran fifoni! ‒
Angelina dette di stomaco. Lui neanche se ne accorse.
– La roulette russa! bisogna giocare alla roulette russa per vedere se hai coraggio! –
Lo diceva non si sa a chi, visto che l’autostrada era totalmente deserta.
Angelina ebbe un secondo conato di vomito, improvviso e investì in pieno il parabrezza.
Era in preda a una crisi isterica. Vomitava e piangeva restando incollata al sedile.
Al secondo conato, lui si voltò verso Angelina. Non era arrabbiato, disse solo – signora, e su! ‒ Ora erano a ridosso del posto di blocco. Lui riprese a ridere tutto eccitato. Angelina era convinta che si sarebbero schiantati contro gli sbarramenti. Non erano a più di cento metri. Angelina si sentì proiettare in avanti con una forza incredibile. Temette di finire contro il parabrezza.
Disse solo – Dio mio, salvami. –
Poi improvvisamente udì lui che diceva – fregati! fregati! Io alla roulette russa ci gioco quando mi pare! –
Poi rivolto ad Angelina – Io sono fico e loro sono fifoni!
Angelina non capiva. Guardava lui senza capire. Avvertiva un forte giramento di testa.
Centotrenta, centocinquanta, duecento, duecentoventi, duecentocinquanta!
Com’è che ora incrociavano le lucette blu che prima stavano dietro di loro…
Angelina cominciò a realizzare quanto era avvenuto.
Oddio – disse – Oddio! poi guardò lui.
E urlò con quanto fiato aveva in gola: yuguuu! e vai!

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